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domenica, Novembre 24, 2024

Sabrina Maggio. Calo demografico e crollo delle nascite

Sabrina Maggio

Sabrina Maggio ha conseguito la Laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Lecce (oggi Università del Salento) nel 2000; qui ha inoltre conseguito il dottorato di ricerca in Metodi Economici e Quantitativi per l’analisi dei mercati, con una tesi su “Studio comparato di alcune classi di modelli di covarianza spazio-temporale”. Dal 2005 è Ricercatrice in Statistica presso il Dipartimento di Scienze dell’Economia dell’Università del Salento e ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a Professore Associato nel luglio 2017. Ha frequentato vari corsi di specializzazione in Economia Computazionale, in Geostatistica Applicata e in altri ambiti scientifici affini alla Statistica. È stata componente attiva in numerosi progetti di ricerca su tematiche in campo ambientale, sociale e inerenti al patrimonio culturale, in ambito sia locale che internazionale.

Nel 2020 in Italia abbiamo il nuovo minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia e massimo storico di decessi dalla seconda guerra mondiale: 16.000 nascite in meno rispetto al 2019 con 404.104 bambini in un anno. Quasi il 20% in più i decessi: 112 mila in più rispetto al 2019. Come vede il futuro?

«Sulla base dell’ultimo report ISTAT del 26 marzo 2021, il nuovo minimo storico di nascite in Italia (404 mila), unitamente al numero di decessi costantemente elevato, così come riscontrato anche nell’ultimo anno (pari a 746 mila), in uno scenario mai così negativo a partire dal secondo dopoguerra, fanno sì che si aggravi sempre di più la dinamica demografica del nostro Paese. Gli effetti negativi indotti dalla pandemia dovuta al Covid-19 hanno ulteriormente amplificato il trend decrescente della popolazione italiana.

Tuttavia, l’effetto della mortalità da Covid-19 rispetto al quadro demografico dovrebbe risultare più contenuto, se confrontato con le pandemie del passato. Non sono, tuttavia, da trascurare gli effetti comportamentali della crisi economica derivata dalla pandemia, per quanto concerne sia le scelte di concepimento sia le dinamiche migratorie. Pertanto, per il futuro è ragionevole attendersi che il peggioramento delle condizioni economiche potrà condurre nei prossimi anni l’Italia ad un ulteriore ribasso del tasso di natalità, aggravando ancora di più il declino demografico attualmente in corso. Inoltre, il clima di incertezza sul mercato del lavoro potrà tendere ad attrarre meno immigrazione, con conseguente indebolimento del principale canale di aggiustamento demografico che, sin da inizio millennio, ha finora compensato in gran parte le mancate nascite. Per questi motivi, in assenza di politiche efficaci per la crescita del nostro Paese, la crisi pandemica rischia di aggravare oltremodo il calo demografico atteso dalle previsioni ISTAT».

Siamo cresciuti in un Paese dove non era raro incontrare uomini di nome “Quintino, Settimio, Decimo” il quinto, settimo, decimo nato di una famiglia. Da anni assistiamo ad un decremento costante e progressivo della popolazione. Oggi siamo il Paese dei figli unici, quando va bene… Quale è la situazione in Puglia?

«La riduzione della natalità nel nostro Paese si ripercuote in modo significativo, ormai dal 2008, anche sui primi figli. Questo calo si registra significativamente in quasi tutte le regioni centro-settentrionali, a dimostrazione della difficoltà che le coppie incontrano, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli. D’altro canto, fino all’inizio degli anni 2000, la problematica riguardava in particolare il passaggio dal primo al secondo figlio. Il numero medio di figli per coppia in Italia è principalmente in calo al Centro (da 1,15 del 2018 a 1,11 nel 2020) e al Nord (da 1,20 a 1,17), mentre nel Mezzogiorno si registra una riduzione più contenuta (da 1,24 a 1,23). A livello nazionale è in costante aumento la quota di donne senza figli: passando dalla generazione delle donne nate nel 1950 a quella delle nate nel 1979, tale quota risulta essere più che raddoppiata, (dall’11,1% al 22,6%).

Per inquadrare la situazione in Puglia, con riferimento alla tipologia e alle dimensioni medie delle famiglie, è opportuno evidenziare che, in base a un’indagine risalente al 2019, esistono 1.609.952 famiglie, pari al 6,2% del totale nazionale; la dimensione media risulta di 2,5 componenti, leggermente più elevata rispetto al dato medio nazionale (2,3 componenti). La distribuzione della dimensione media delle famiglie è omogenea su tutto il territorio regionale con lievi eccezioni rappresentate dalle province di Barletta-Andria-Trani (2,7) e di Lecce (2,4).Nel biennio 2017-2018, relativamente alla composizione familiare, in media il 26,4% delle famiglie (ovvero oltre una famiglia su 4) è composta da persone sole, con un’incidenza inferiore rispetto al dato nazionale (che si attesta sul 33%).Quasi una famiglia su dieci (9%) è composta da un solo genitore con uno o più figli, mentre complessivamente le coppie, con o senza figli (anche non considerando quelle che vivono nelle famiglie con più di un nucleo), sono poco più dei tre quinti del totale delle famiglie: il 40,6% ha figli conviventi (il dato nazionale è pari al 33,2%) e il 20,6% non ha figli conviventi (nel resto dell’Italia il dato è pressoché analogo, pari al 20,1%)».

Quali fattori sono intervenuti ad accelerare la caduta della natalità in Italia?

«La geografia delle nascite mostra una riduzione generalizzata in tutte le aree del Paese, per il 2020 maggiormente evidenti al Nord-ovest (-4,6%) e al Sud (-4,0%). Il calo delle nascite si è presentato sia nel mese di novembre che nel mese di dicembre (-10,3%), a testimonianza degli eventuali effetti della prima ondata epidemica. I motivi della denatalità vanno inoltre ricercati nei fattori che hanno portato all’andamento negativo nell’arco dell’ultimo decennio: riduzione progressiva della popolazione in età feconda e scenario di generale incertezza per il futuro. Il fenomeno della denatalità in parte si può spiegare con gli effetti “strutturali” dovuti alle significative modificazioni della popolazione femminile italiana in età feconda, che convenzionalmente viene fissata tra i 15 e i 49 anni. In tale fascia le donne risultano, anno dopo anno, sempre meno numerose: da una parte, le cosiddette “baby-boomers” (ovvero le donne nate tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima metà dei ‘70) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o stanno comunque per concluderla); dall’altra, le generazioni più giovani hanno una sempre minore consistenza. In seguito, a partire dagli anni duemila, con l’ingresso di popolazione giovane a seguito del fenomeno dell’immigrazione, si è avuto un apporto positivo nel bilancio demografico, con un parziale riempimento dei “vuoti” lasciati nella struttura per età delle donne italiane. Tale contributo, tuttavia, sta lentamente perdendo efficacia man mano che sta invecchiando anche il profilo per età della popolazione straniera residente in Italia.

La dinamica migratoria si è via via attenuata con la crisi degli ultimi anni. In Italia, inoltre, la popolazione femminile straniera è interessata da un progetto migratorio in cui le donne presentano tassi di occupazione assai elevati (si pensi ad esempio alle donne ucraine, albanesi, moldave o di altra nazionalità, che lavorano prevalentemente come “badanti”, prestando servizi alle famiglie italiane) e, di conseguenza, da livelli di fecondità progressivamente inferiori. Queste motivazioni hanno determinato nel tempo una lenta riduzione del contributo delle cittadine straniere alla natalità della popolazione residente in Italia. La crisi economica, in aggiunta, ha influito negativamente sulle nascite, in conseguenza del rinvio dell’esperienza riproduttiva verso età sempre più avanzate. È sufficiente una posticipazione anche relativamente poco pronunciata per causare, come nella fase attuale, una drastica riduzione del numero medio di figli per donna.

Tra le cause del calo dei primi figli va considerata la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, dovuta a sua volta ad una varietà di fattori, quali il protrarsi del periodo formativo, le difficoltà incontrate dai giovani nell’accesso al mercato delle abitazioni e al mondo del lavoro e la sempre maggior precarietà del lavoro stesso, nonché da un trend di lungo periodo di bassa crescita economica, oltre ad altri possibili fattori di tipo socio-culturale.La grave instabilità economica e le persistenti difficoltà di natura occupazionale e reddituale hanno spinto un crescente numero di giovani a ritardare le tappe della transizione verso la vita adulta rispetto alle generazioni precedenti, con inesorabili conseguenze sul piano demografico».

Quanto ha inciso questa pandemia?

«Dalla lettura del report ISTAT del 26 marzo 2021 emerge che il senso di sfiducia verificatosi durante la prima ondata, in particolare al Nord, può aver inciso negativamente nella decisione da parte delle coppie di rinviare la scelta di avere un figlio. D’altronde, il clima più favorevole venutosi a determinare nella fase di transizione può aver condotto a benefici effetti, poi nuovamente annullati dall’arrivo della seconda ondata. Come richiamato da Boberg-Fazlic et al. (2017), gli effetti di una epidemia sulla struttura demografica si possono classificare in effetti biologici ed effetti comportamentali. I primi includono l’aumento di mortalità e la riduzione di fecondità dovuta all’impossibilità fisica di concepire (legato a mortalità o stato di malattia della popolazione fertile, delle gestanti e agli aborti spontanei). I secondi comprendono variazioni volontarie delle scelte di concepimento (ad esempio, potenziali genitori potrebbero decidere di avere meno/più figli o posticipare le nascite a seguito di modifiche sostanziali nelle proprie condizioni socio-economiche). Ci si aspetta che, rispetto alle pandemie del passato, il Covid-19 avrà effetti sulla mortalità che, alla lunga, si riveleranno più contenuti e concentrati nella popolazione in età non feconda, con conseguenze sulla struttura demografica della società presumibilmente limitati, soprattutto grazie alle forti misure di contenimento e restrizioni alla mobilità e alle interazioni sociali attuate in Italia, come nel resto del mondo. Si possono, inoltre, ipotizzare ulteriori effetti negativi sulla fecondità, plausibilmente limitati alle fasi di maggior restrizione della mobilità: tra questi si consideri il maggior peso per la cura dei figli dovuti alla chiusura delle strutture educative, nonché le difficoltà nell’accesso a tecniche di fecondazione assistita, anch’esso riconducibile alle restrizioni imposte dal distanziamento sociale.

Del resto, la crisi economica venutasi a creare con l’avvento della pandemia ha causato un forte calo dei redditi e un aumento della disoccupazione e dell’incertezza sulle prospettive future, con implicazioni molto forti sulle decisioni delle famiglie. Una fase negativa del ciclo economico può scoraggiare la scelta di concepire soprattutto tra le fasce di età più giovani, cioè nei casi in cui tale decisione può essere più agevolmente posticipata. Va anche sottolineato come evidenze microeconomiche confermino inesorabilmente che la condizione di incertezza economica e il graduale peggioramento delle aspettative sul reddito futuro influiscono negativamente sulle scelte di concepimento».

C’è il timore è che si possa trattare non di una oscillazione occasionale ma di un malessere strutturale. È d’accordo?

«Per rispondere a questa domanda, è innanzitutto necessario partire dalle previsioni demografiche già prima della pandemia. Nel report ISTAT del 3 maggio 2018 è stato stimato, secondo lo “scenario mediano”, che in Italia la popolazione residente attesa sia pari a 59 milioni nel 2045 e a 54,1 milioni nel 2065, con uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno verso il Centro-nord del Paese. Nel 2020, il tasso di fertilità per l’Italia è risultato pari a 1,3 nascite per donna, seguendo una graduale flessione rispetto al valore di 2,4 registrato nel 1971. Con riferimento al tasso di fertilità, è utile citare un mio studio realizzato, nel 2016, in collaborazione con la prof.ssa Sandra De Iaco (professore ordinario di Statistica presso l’Università del Salento) sull’andamento del tasso specifico di fertilità per età della madre in Italia. In base al modello di previsione utilizzato in quest’articolo, si dimostra che il tasso di fertilità massimo potrà continuare a decrescere fino al 2025. Tale studio conferma indirettamente l’ipotesi di calo demografico prevista dall’ISTAT. Le future nascite non basteranno a compensare i decessi, con un bilancio sempre più negativo sulla situazione demografica.

Va in tutti i casi ricordato che le previsioni demografiche possono ritenersi valide solo entro un determinato livello di confidenza, e l’incertezza da attribuire è tanto più ampia quanto più ci si allontana dall’anno considerato come base. In ogni caso, pur in uno scenario di profonda incertezza sulla futura entità numerica, è altamente probabile che la popolazione italiana subirà in futuro una progressiva diminuzione: in particolare, l’ISTAT ritiene che nel 2065 la popolazione si aggirerà attorno ai 54 milioni, mentre l’ONU prevede, per lo stesso anno, una stima ulteriormente ridotta, vicina ai 50 milioni di residenti.

Tali previsioni ISTAT effettuate già prima della pandemia ed i fattori individuati come responsabili della denatalità, descritti in precedenza, non possono che confermare il malessere strutturale e non occasionale della demografia italiana. Determinanti per un miglioramento delle variabili demografiche potranno essere, a tal punto, le politiche di sostegno alla crescita dell’economia italiana, comprese quelle contenute nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».

Il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo afferma: «La natalità in calo, la mortalità tra i nostri anziani in aumento, l’invecchiamento che procede inesorabile. Senza la consapevolezza diffusa e azioni adeguate la pandemia rischia di diventare la “tempesta perfetta” per la demografia italiana». Cosa si può fare per contenere questa tempesta?

«Come già ricordato, il quadro economico generale influenzerà direttamente l’evoluzione demografica nazionale, con una forte dipendenza dalle politiche di sostegno alla crescita e dalla loro efficacia. Una recente ricerca (Aassve et al., 2020) ha dimostrato come, durante l’ultima recessione, la fecondità “si sia depressa” in misura maggiore nelle aree a più bassa intensità di capitale sociale generalizzato. Pertanto, al fine di contenere la “tempesta perfetta” per la demografia italiana è necessario adottare politiche finalizzate alla crescita demografica, il più possibile a sostegno della natalità e dei flussi migratori in ingresso nel nostro Paese. È ben noto come le politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, unitamente alle politiche migratorie, siano cruciali in questa direzione. In tal senso, l’offerta pubblica di servizi forniti in favore dell’infanzia potrà concretamente essere la chiave più efficace nel contrastare l’effetto della recessione, sia nel breve sia nel lungo periodo. Man mano che tale offerta di servizi verrà rafforzata e consolidata nel tempo, si potrà verificare una progressiva attenuazione dell’effetto negativo indotto sul capitale sociale.

Infine, grazie al potenziamento dei servizi pubblici (con azioni formali) e alla valorizzazione del capitale sociale (con azioni informali), sarà possibile mitigare l’effetto dell’incertezza economica sulle scelte di concepimento. Un tema centrale da approfondire nei prossimi anni riguarderà, a tal proposito, la scelta degli strumenti specifici su cui poter agire, in riferimento sia alla loro efficacia sia ai loro costi nel contesto italiano».

a cura di Gioia Catamo

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