Il mio primo incontro con l’opera di Paola Scialpi risale al 2005, in occasione della sua mostra personale al Conservatorio di Sant’Anna a Lecce, della quale curai, senza incertezze, la presentazione. Le opere allora esposte costituivano un nuovo ciclo tematico dal titolo efficacissimo “L’Altro Barocco”, e, come ebbi modo di verificare, seguivano, dal punto di vista dello stile, la svolta segnata dalle personali del 2000 (Cerniere) e del 2002 (Countdown), in particolare dalla seconda. In questa, i temi affrontati – la violenza, la guerra, le ingiustizie, i pregiudizi e le discriminazioni sociali e religiose – erano di quelli che possono esporre al rischio di una interpretazione in chiave ideologica, ma le soluzioni espressive da lei adottate furono ben lungi dal correrlo e anzi si erano rivelate particolarmente efficaci e, soprattutto, dimostravano pienamente la sua capacità creativa. Di quelle opere una in particolare mi sembrò esemplificare in modo, a mio avviso, straordinario l’uso dei mezzi espressivi utilizzati, e cioè le immagini fotografiche e l’intervento pittorico.
L’opera, che qui ripropongo, è Profilo di donna con burqa, un titolo che sembra non rendere il senso vero dell’immagine, ma che nel preciso riferimento al tipico abbigliamento anticipa il carico di significati che ha ormai assunto. È, infatti, grazie all’intervento pittorico che il burqa svolge la funzione significante prevalente: si staglia netto il metonimico dettaglio del copricapo sul fondo nero, compatto e senza respiro spaziale, mentre le fluenti e ondulate striature chiare sottolineano la leggera torsione e la reclinata postura del capo, un atteggiarsi che sembra esprimere il pudico e rassegnato schernirsi della donna, mentre il rosso intenso e le griglie nere ne completano simbolicamente l’iconografia, facendo dell’immagine l’emblema, oggi ancora parlante, di una condizione fatta di violenza, oppressione e disperata incomunicabilità.
Sulla premessa delle novità stilistiche, Paola Scialpi aveva, dunque, dato vita alla nuova serie tematica che giudicai una singolare rivisitazione del Barocco Leccese, la stagione artistica considerata la più feconda, fervida ed esaltante della storia di Lecce e del Salento e che è stato ed è tuttora anche parte significativa del suo vissuto quotidiano, testimonianze della storia e patrimonio più che noto, frequentato da fotografi e artisti, studiato ed esaltato, e però non sempre avvertito in tutto il suo potere fascinatore. Il titolo della serie nel modo formulato ben sintetizzava l’alterità del suo approccio artistico, che ancora una volta si avvaleva dell’uso dell’immagine fotografica e del trattamento pittorico, che, a sua volta, tiene conto delle relative qualità formali della prima. Inutile aggiungere che gli aspetti decisivi di questa sono la riconoscibilità iconografica e l’essere in bianco e nero. Anche per questo ciclo, propongo un esempio, L’Altro Barocco n.1., che mi sembra dimostri bene le capacità inventive dell’artista. Sulle immagini fotografiche di elementi scultorei riconoscibili (chi ha familiarità con il Barocco leccese riconoscerà, ad esempio, l’animale mostruoso che è una delle mensole del balcone della facciata di santa Croce a Lecce) e di motivi decorativi (volute e foglie) di monumenti architettonici l’artista ha sovrapposto un’ampia stesura pittorica di nero, alcuni, limitati, ritocchi di bianco e la vistosa macchia di rosso vivo, aggiungendovi, sul nero, la bianca corona del rosario.
Un motivo iconografico, quest’ultimo, che funziona da richiamo simbolico alla sfera del sacro per tutta la raffigurazione. Dunque, una raffigurazione che non parla dell’architettura sacra del Barocco come espressione del “trionfalismo religioso”, ma del “sacrificio” (il rosso) e della “morte” (il nero) quali temi propri della pratica religiosa e della vita del tempo. Fu l’analisi anche delle altre opere della serie che mi consentì di sintetizzare così la mia lettura: telamoni e cariatidi, angeli e serafini, mascheroni e animali mostruosi, frutti e ghirlande, demoni e santi, tutto il repertorio iconografico che fa mostra di sé sugli altari e sulle facciate delle chiese e dei palazzi, sono stati estrapolati, decontestualizzati e rimontati, attraverso riquadrature e tracciati pittorici, che hanno stabilito nuove gerarchie e nuove relazioni virtuali, ora dissacranti, ora ironiche, ora misteriose e angoscianti – è qui che ha giocato tutta la capacità immaginativa dell’artista – e che altro non sono se non un lucido e reale disvelamento delle ambiguità e ridondanze simboliche del Barocco Leccese. Non, dunque, un divertissement di forte valenza decorativa, ma un richiamo alla dimensione autentica di quella stagione creativa, che nella pietra modellata condensò le ansie e le paure, il senso religioso della vita e della morte, la fede e le passioni di intere generazioni.
C’è un altro ciclo tematico che Paola Scialpi ha voluto porre alla mia attenzione e che ha titolato Tracce di quotidianità, un ciclo, recentissimo, composto di venti immagini, cioè raffigurazioni di venti oggetti, le “tracce”, appunto, che nella loro referenzialità al vissuto e al quotidiano avevano sollecitato in me un di più di attenzione alla vera intenzionalità delle relative scelte espressive. Quello che appare una sorta di realismo potrebbe, infatti, trarre in inganno, eppure il suo stile pittorico non è cambiato, come non sono cambiati il suo impegno e la sua sensibilità “politica”. Per questo ho deciso di proporre in questa circostanza il dipinto n.10 della serie, nel quale l’oggetto raffigurato, come si vede, è un paio di scarpe rosse da donna; credo sia noto che questo oggetto quotidiano ha assunto attualmente una vera e propria valenza simbolica. Non era semplice, tuttavia, trovare una soluzione che non fosse banalmente illustrativa o manifestamente ideologizzata, anche se l’oggetto simbolo era certamente scontato. Ho pensato, perciò, che l’artista deve averci pensato non poco, decidendo, per la soluzione espressiva, di avvalersi innanzitutto del simbolismo dei colori, nero, bianco e rosso. Il primo, simbolo della morte e del male, il secondo, l’opposto, simbolo della luce e della purezza, il terzo, simbolo del sacrificio e della vita. Ma è altresì evidente che ciò che dà ulteriore senso ed efficacia espressiva sono due altri elementi: la disposizione senza ordine delle scarpe, come fossero state abbandonate, e il luogo dove sono state abbandonate, un riquadro al quale ha dato le sembianze di una porzione di strada, una evidente allusione a uno dei frequenti luoghi di violenza.
di Lucio Galante
Paola Scialpi è nata Sannicola (Lecce) il 23 gennaio del 1951. Diplomatasi presso il Liceo artistico e l’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha insegnato educazione artistica nella scuola media e discipline pittoriche presso il liceo artistico “V. Ciardo” di Lecce. Ha al suo attivo più di quarant’anni di attività artistica. A Lecce, all’interno del suo atelier, riserva ad artisti, poeti e scrittori uno spazio in cui si promuovono incontri culturali con esperti del settore.
Attenta da sempre alle problematiche della condizione femminile, nella sua pittura si è ispirata alle tematiche relative, soprattutto quelle dell’emarginazione femminile (prostituzione, violenza, conseguenze derivanti da guerre e povertà, condizioni detentive). Tra le esperienze attive vanno, ad esempio, ricordati i corsi di pittura da lei tenuti presso il carcere Borgo San Nicola di Lecce per detenuti e detenute. Particolarmente importante nella sua esperienza artistica è stata la mostra “Countdown” del 2002, realizzata con l’approvazione della Presidenza della Commissione Promozione e Tutela dei Diritti Umani del Senato della Repubblica, mostra, che ha infatti, segnato una fondamentale svolta stilistica. L’originalità delle nuove risoluzioni espressive le ha consentito di affrontare, senza cedimenti ideologici, temi difficili e impegnativi, quali, ad esempio, le conseguenze della guerra e la condizione femminile in Afganistan. Sulla stessa linea espressiva, si colloca la personale del 2005 dal titolo indicativo “L’Altro Barocco”, una inedita interpretazione della stagione più nota della storia artistica di Lecce, allora capitale della Terra D’Otranto. Tra le altre esperienze vanno ricordate la collaborazione ai presidi del libro “Verba manent” di Sannicola (Lecce) con la realizzazione di una serie di libri d’artista, tra cui quello dedicato a Franco Battiato; a Charlotte Salomon, pittrice ebraica vittima dell’Olocausto e a Rabindranath Tagore, poeta indiano e premio Nobel; la realizzazione di quattro libri d’artista con racconti e immagini: “Mare: una storia da riscrivere” dedicato ai flussi migratori del Mediterraneo; “Ombre “, dedicato ai senza-tetto e alla vecchiaia in solitudine; “Donne” alle varie esperienze femminili e “Fuori tempo massimo” dedicato all’ambiente e ai cambiamenti climatici; la più recente personale “Tracce di quotidianità” del 2018; alcuni pieghevoli pittorici dedicati ai poeti provenienti da tutto il mondo presenti al festival internazionale della poesia di Como; e nel 2021 le illustrazioni (27 tavole) del libro di poesie del poeta rumeno Tomaso Kemeny “25+2 appuntamenti con il sicario”. Il suo studio è in via Caracciolo 19, Lecce.