di Maria Rosaria De Lumé
Ci sono donne che nel secondo millennio fanno scelte che ai più sembrano disancorate dalla realtà, fuori dal tempo e quasi fuori…di testa. Succede quando si parla di monache, in particolare di quelle di clausura, perché risulta davvero troppo difficile capire che giovani donne lascino famiglia, professione, luoghi cari, esperienze di vita e si ritirino in monasteri apparentemente, solo apparentemente però, fuori da ogni contatto con il mondo.
Le mille facce delle donne: donne, donne madri, donne imprenditrici, donne impegnate in politica, donne casalinghe, donne operaie, donne dai tanti mestieri, donne artiste… e poi ci sono le donne, monache, che per essere tali non cessano di sentirsi donne, anzi paradossalmente, nella loro umanità le contengono tutte.
Della loro scelta vocazionale ai nostri giorni abbiamo parlato con le monache clarisse del monastero “S. Nicolò” sul colle della Minerva a Otranto. Un luogo “strategico” con la città ai piedi, vista mare con i monti dell’Albania quando il clima lo consente. Un presidio, un luogo di difesa e di martirio nel 1480 per gli 800 martiri eletti santi il 12 maggio del 2013.
Suor Diana è una Sorella povera di Santa Chiara, una personalità decisa, un sorriso che buca anche la mascherina e passa attraverso la vivacità e la dolcezza degli occhi, un percorso di studi e di impegno. La fraternità spesso è punto di riferimento nell’ambito della formazione cattolica. Nonostante la clausura, verrebbe da dire. Per concludere poi, alla fine della chiacchierata, invece, proprio grazie alla clausura e al senso da dare ad una inconsueta scelta vocazionale.
Le monache sono in genere provenienti dal Salento. Una Sorella scrive icone, un gruppo si dedica alla confezione di paramenti sacri. Un’altra, laureata in pedagogia con indirizzo psicologico, a 25 anni docente di lettere in una esperienza scolastica che dice “è stata importante e ha lasciato il segno”. Poi il conseguimento a Roma di un master per counsellor professionista a indirizzo analitico-transazionale che chiaramente non ha avuto l’opportunità di mettere in atto perché ha obbedito alla chiamata tra le Sorelle Povere di S. Chiara. È stata vice presidente dei giovani di Azione cattolica della diocesi di Brindisi, poi monaca nel monastero di Soleto e dal 2008 in quello attuale di Otranto.
Numerosa la produzione di testi di Sr. Diana Papa. Ricordiamo gli ultimi: “Ai ritmi del cuore”, scritto con Rosanna Virgili dedicato ai giovani, vita consacrata e matrimonio (Ed, Dehoniane Bologna, 2018) e ” Diventare adulti” in collaborazione con Rosanna Virgili, Antonella Fornaro, Antonia Chiara Scardicchio, sempre ed. Dehoniane Bologna 2021. Collabora alla rivista spagnola “Vida Religiosa” e scrive articoli per l’agenzia Sir. Fino al 2012 è stata coordinatrice delle Presidenti delle Federazioni delle clarisse in Italia. Ora dal 2008 a Otranto in una comunità di 9 monache; a Scutari in Albania c’è un’altra comunità di clarisse con sette monache e a Lecce con quattro.
Dal colle della Minerva, quindi, quasi sentinelle del Mediterraneo.
Lo sguardo spazia lontano, eppure il termine clausura sembra innalzare dei paletti, dei limiti invalicabili. Ma è proprio questo il punto. Come la siepe leopardiana apre lo sguardo all’infinito, così per loro: «La clausura è il luogo e lo spazio dove si vive la relazione con Dio e con gli altri. È Lui che ci chiama a una relazione privilegiata. C’è una siepe che abbraccia tutto il mondo e ci impone a essere in relazione con il creato, la natura, con tutti. La nostra regola si riassume nell’impegno a vivere il Vangelo in fraternità senza possedere nulla, “sine proprio”, per dedicarci alla custodia delle relazioni». In questa prospettiva si capisce, quindi, come il possesso delle cose diventa “una perdita di tempo” e i valori importanti diventano altri come “farsi dono agli altri”, e le relazioni come dono da custodire.
Vita contemplativa staccata da quella reale? “La vita contemplativa si coglie nell’amore che si vive”. Non parole, ma cose, gesti di carità e attenzione quotidiani.
Come viene vissuto il monastero dal territorio? Come viene percepita la presenza delle suore, sorelle povere di S. Chiara? Sono vicine soprattutto ai poveri a livello esistenziale o materiale: «Vengono da noi perché si sentono accolti come persone, prima di tutto, senza chiedere niente». Perfetta sintonia e comunione tra chi obbedisce alla regola del “sine proprio”, donne monache che hanno scelto di non possedere nulla e che si sentono vicine a chi è alla ricerca di senso, a chi ha bisogno del necessario per vivere, di uno sguardo attento che dia un significato ai loro problemi. Aiutano tutti coloro che bussano alla porta del monastero, dedicano il loro tempo, oltre naturalmente alla preghiera e alla contemplazione, a fare piccoli lavori di sartoria, dolci e biscotti a Natale e Pasqua, e poi ancora ceri. Il monastero è aperto a coloro che cercano Dio.
Cosa dire alle donne di oggi? A quelle che hanno sempre fretta, che non hanno il tempo di fermarsi un attimo, di guardarsi dentro e di pensare a se stesse? L’invito di suor Diana è quello di “avere cura di sé e degli altri, di riflettere sulla parità che non è sostituzione di ruoli, di interrogarsi e scoprire il senso della vita. Prendersi cura della parte più profonda, lo spirito, per scoprire la bellezza dell’essere donna per aiutare l’uomo a essere più uomo”. Quindi “ascoltarsi reciprocamente e accogliere la bellezza della specificità senza competizione”.
E allora, sentinelle del Mediterraneo, a che punto è la notte? Meglio: voi che avete lo sguardo rivolto ad Est, quanto manca all’Alba?