di Mario Blasi
Figulo sta per chi, in forma artigianale e in proprio, con l’aiuto di familiari o di pochi dipendenti, produce oggetti d’uso o di ornamento in ceramica la cui realizzazione richiede una particolare capacità tecnica e un certo gusto artistico.
Come nasce il Museo della Ceramica?
«Dal 1978 a Cutrofiano si svolge la mostra della ceramica, diventata poi la “Mostra Mercato della Ceramica Artigianale”. Sin dalla prima edizione si allestiva uno stand dedicato alla storia e alla memoria di questa tradizione con oggetti antichi e rilevanti sul piano museale, che, conclusa la mostra venivano restituiti ai rispettivi proprietari. Dall’ipotesi di poter trattenere e mostrare in modo permanente questi oggetti nasce l’idea di un museo. Con l’aiuto dell’allora assessore Giovanni Leuzzi, abbiamo dato corpo alla ricerca, alla richiesta e alla raccolta, sino a venire in possesso di un centinaio di reperti che hanno costituito il primo nucleo patrimoniale per la fondazione del museo che nasce nel 1980, ubicato nel piano superiore della biblioteca comunale, concepito anche come centro di raccolta permanente».
Quale funzione, che prima mancava, svolge il Museo?
«Direi che in quegli anni si conosceva molto poco della storia di Cutrofiano e la nascita del Museo dette stimolo a un lavoro di ricerca e attività storiografica più sistematici e approfonditi. Ricordo che mi recai presso la Biblioteca Provinciale, allora diretta da Giovanna Delli Ponti, la quale dopo averci fatto una breve relazione ci suggestionò con le seguenti parole: “Guardate che il Museo non è soltanto una mera raccolta di materiali, un museo è soprattutto ricerca”».
È iniziata un’altra era?
«Parte da quel periodo il lavoro di ricerca che ha coinvolto me, studiosi come Enzo Liguori e molti altri, che ci hanno consentito di conoscere meglio il passato del paese; soprattutto, attraverso i numerosi scavi nelle campagne siamo riusciti ad arricchire notevolmente le conoscenze sulla storia della ceramica a Cutrofiano».
A che epoca risale lo sviluppo delle attività attorno alla lavorazione della ceramica?
«Le origini di Cutrofiano, come altri comuni del Salento, risalgono attorno al Mille durante la seconda fase della conquista bizantina. La traccia più antica del paese è stata rilevata proprio nei pressi del Municipio, dove durante alcuni scavi è emerso un piccolo lembo di ceramica, (il resto è andato distrutto), dipinta a bande larghe risalente attorno al dodicesimo secolo, nel passaggio dal periodo bizantino al periodo normanno, ora conservato presso l’Università del Salento in quanto necessario ancora di studi. L’attività però, esisteva, addirittura, prima della nascita del paese, rilevabile dall’emersione di una fornace in agro poco distante dall’abitato databile in epoca romana attorno al terzo secolo dopo Cristo. Lo sviluppo più importante avviene in epoca medievale, nel periodo svevo-angioino visto l’abbondante recupero di ceramiche raccolte e databili attorno al 1400. Ma l’attenzione per la lavorazione della ceramica a Cutrofiano nasce dalla natura del territorio circostante ricco di argilla, di acqua e di legname vista la ricca presenza boschiva andata distrutta nell’ Ottocento, documentata da un ricco incartamento ritrovato sui contenziosi per la proprietà della foresta».
La lavorazione della ceramica come valorizzazione della ricchezza del territorio ricco di argilla.
«Un territorio ricco di argilla turchina lavorabile che veniva estratta scavando in profondità fino a 6 metri dopo aver rimosso uno strato di argilla gialla non adatta alla lavorazione della ceramica. Per anni la materia prima è derivata dall’estrazione dell’argilla delle numerose cave ormai tutte dismesse alla fine degli anni ‘70, localizzate in quello che oggi si chiama “Parco dei Fossili”, un museo all’aria aperta nel territorio che si estende tra Cutrofiano ed Aradeo. Oggi l’unica attività estrattiva è rappresentata dalla Colacem, moderno sito industriale che produce cemento».
Cosa vuol dire “la creta piange”?
«Fino all’ Ottocento, quando si iniziavano i lavori per l’estrazione dell’argilla non si sbancava in superficie a cielo aperto, come si fa adesso fino a trovare lo strato, ma si andava in sotterraneo, si scavava un foro mettendo degli incavi lungo i lati come appoggio per scendere e, arrivati al banco di argilla, si scavavano strette gallerie. Appena estratta, l’argilla veniva trasportata con un arganello e tirata fuori da un operaio addetto. Attività estremamente pericolosa in quanto l’argilla non è stabile e bisognava stare molto attenti a notare lo sgocciolamento d’acqua come segnale di infiltrazioni che potevano provocare dei crolli. Proprio lo sgocciolamento era un segnale di allarme da cui scappare subito e definito “la crita chiange”, un detto popolare ancora molto citato. Ci sono stati diversi morti provocati dai crolli di banchi d’argilla. Un documento degli inizi del ‘900,da me riportato, testimonia la morte di un ragazzo di 23 anni, rimasto sepolto dalle macerie di un cedimento».
Il passo successivo all’estrazione?
«Una volta estratta, l’argilla veniva portata e depositata in bottega dove col tempo si induriva. Per la messa in opera veniva prima frantumata con un martello dalla bocca di ampio spessore e poi setacciata per privarla dalle impurità e una volta bagnata, diventando malleabile, veniva tagliata in diverse dosi o “pallottole” dimensionate in base all’oggetto che si doveva realizzare. Il passaggio sul tornio le dava la forma degli oggetti che oggi riconosciamo come ceramiche».
Quindi, l’attività figula a Cutrofiano c’è da sempre.
«Cutrofiano viene chiamato “Il paese delle terrecotte” e lo sviluppo dell’attività figula è parallela alla crescita del paese. Abbiamo reperti che risalgono, come già detto, all’epoca medievale quando era già molto sviluppata. Pensi che nel ‘700, dalla compilazione del catasto onciario richiesto da Carlo di Borbone, risultano in questo paese, su una popolazione di circa 700 abitanti, 24 botteghe di cui quattro ancora oggi attive ed una quinta che svolge una piccola attività commerciale conservando la fornace originaria risalente al primo ‘700, una sorta di bottega-museo vero e proprio. La commercializzazione delle ceramiche era strettamente connessa alla produzione e avveniva in modo ambulante di paese in paese».
C’e un tipo di coccio (n.d.t. terracotta ordinaria, di poco pregio), che rappresenta il “genius loci” della ceramica salentina?
«Certo è la “pignata”, un tipo di coccio utilizzato soprattutto per la cottura dei legumi che per secoli sono stati l’alimentazione di base della popolazione salentina. Una pentola slanciata, aperta, con due manici dallo stesso lato che servivano, sia per accostarla al fuoco, che cuoceva di lato e non di sotto, che per spostarla, quando per una buona cottura bisognava rimestare i legumi. Quest’ultima operazione veniva fatta anche con un cucchiaio di legno di braccio lungo, da cui il detto popolare: «Li guai te la cucchiara li sape la pignata ca li ota» e cioè i guai del cucchiaio li conosce la pignata in quanto mescolando si potevano ravvisare le lacerazioni del coccio che potevano causarne la rottura. In Salento si usa dire “Ho mangiato la “pignata” intendendo non di aver mangiato il coccio, ma i legumi cotti dentro, talmente la terracotta è identificativa del tradizionale cibo popolare».
Quando prendeva forma l’argilla?
«Lo strumento utilizzato per dare forma all’argilla, che diventa terracotta se rimane grezza di colore naturalmente rossiccio e superficie porosa, diventa ceramica se viene rivestita e decorata, è il tornio. Uno strumento di lavoro molto semplice da costruire, che facendolo girare sotto le sapienti mani artigianali modella l’argilla trasformandola nei più svariati utensili e oggetti decorativi che ancora oggi utilizziamo e ammiriamo per usi domestici e ornamentali. A Cutrofiano c’è ancora un anziano artigiano che su richiesta è disponibile a fare delle dimostrazioni sul lavoro della terracotta al tornio, che conserva intatta la sua magia come tutti i processi creativi dell’artigianato artistico. Ma gli stessi Colì, la tradizione famigliare più industrializzata dell’arte figula cutrofianese che oggi usa generalmente le forme per la produzione in serie, utilizzano ancora il tornio per ceramiche che lo necessitano».
L’ultima fase della lavorazione è la cottura, da cui, appunto, terracotta.
«Certo, una volta fatto l’oggetto bisognava essiccarlo e cuocerlo e per fare ciò era necessario un forno, nel nostro caso di grandi dimensioni e cioè una fornace. A Cutrofiano, nel centro storico è rimasta una sola fornace risalente ai primi del ‘700, una vera e propria casa museo come dicevo prima, con l’unico proprietario rimasto il Sig. Antonio Colì, facente parte di un ramo della famiglia più prolifica della nostra tradizione figula, in là con gli anni che con pimpante destrezza è sempre disponibile a illustrare al visitatore, ai turisti, allo studioso ed a tutti i cittadini interessati il funzionamento della fornace».
Salvatore Matteo è stato il responsabile della biblioteca di Cutrofiano dall’anno della sua fondazione, il 1973, sino al 2011, quando è andato in pensione. Rappresentando la memoria storica della biblioteca e dell’annesso Museo della Ceramica, non ha mai smesso di dare il suo prezioso contributo in quanto profondo conoscitore della storia e dei protagonisti dell’arte figula cutrofianese.
Il Museo della Ceramica di Cutrofiano nasce all’interno della biblioteca, in seguito a un finanziamento regionale per la costituzione di un museo della civiltà contadina. Avendo Cutrofiano una importante tradizione nella lavorazione della ceramica con tutte le sue implicazioni storiche, economiche, sociali e culturali, si è ritenuto di utilizzare quei fondi per differenziare l’offerta museale rendendola maggiormente attrattiva turisticamente e offrire al territorio un importante strumento di conoscenza e della memoria dell’arte figula.