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sabato, Novembre 23, 2024

La Regione Puglia a favore delle donne.

Loredana Capone

Negli ultimi anni c’è stata in Puglia  una accelerazione, anche a livello legislativo, degli interventi a favore delle donne. Passo dopo passo, anche per sollecitazione di associazioni sempre in trincea a rivendicare l’attuazione di principi che spesso rimangono solo buone  intenzioni, la politica a favore delle donne  ha guadagnato terreno.  Se ancora sono poche le presenze femminili nei posti che contano, se ancora bisogna parlare con forza di pari opportunità perché non vanno date per scontate, se insomma il tetto di cristallo è stato solo scalfito, tuttavia i segnali positivi ci sono e vanno messi in evidenza.

Iniziamo da quello più evidente e che è stato sottolineato da più parti: per la prima volta, dallo scorso novembre,  presidente del Consiglio regionale è una donna, Loredana Capone  (ultimamente è stata eletta anche all’interno del Comitato Europeo delle Regioni).  Anni di impegno sia a livello provinciale (vice presidente Provincia di Lecce), sia assessore regionale nel settore Cultura e Turismo, l’hanno vista impegnata a rivendicare il ruolo femminile nelle istituzioni, in prima linea promotrice di interventi che hanno ottenuto consensi unanimi al di là degli schieramenti di partito. Ne è esempio  la legge sulla parità retributiva di genere approvata all’unanimità dal Consiglio regionale (la Puglia  è stata la seconda regione in Italia dopo il Lazio). Nonostante l’art.37 della Costituzione  e gli articoli 8 e 157 del Trattato UE che riguardano la rimozione delle disuguaglianze e la  parità di retribuzione tra i sessi per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, la realtà è che  le donne sono svantaggiate e a parità di impegno lavorativo il loro  differenziale salariale  oscilla dal meno 20 al meno 31%. E non è un gap che interessa solo i livelli dirigenziali, ma tutti i settori (impiegate, apprendiste). Accanto a questo aspetto c’è da considerare anche un altro dato preoccupante: tra gli occupati  solo il 37,7%  sopra i 15 anni è donna. Se aggiungiamo poi i danni causati da due anni di pandemia in cui le donne per ragioni legate soprattutto  agli aspetti di cura  sono state penalizzate (spesso costrette a rinunciare al lavoro per seguire i figli in Dad), capiamo l’importanza della legge approvata dal Consiglio regionale. Si tratta di

19 articoli  che, affermando il principio della parità retributiva dei sessi, mirano a promuovere il lavoro femminile,  sia dipendente che autonomo, a potenziare i servizi (asili nido)  che permettono di favorire  i tempi di conciliazione vita lavoro. Previsti obblighi per i datori di lavoro e sanzioni per licenziamenti illegittimi o per la violazione delle norme a tutela della maternità e paternità,  premialità per le  aziende che assumono donne con contratti stabili. Fissata anche per il 9 febbraio di ogni anno la Giornata regionale contro le discriminazioni di genere sul lavoro. Non è da sottovalutare nemmeno il sostegno delle ragazze che decidono di specializzarsi in percorsi STEM, cioè  Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica, ritenute materie prevalentemente  di pertinenza maschile. Una legge, quindi, che dovrà permettere un gran passo avanti anche se nessuno si nasconde che l’attuazione non sarà semplice perché si tratta di realizzare una conversione culturale, a iniziare dalla concezione del lavoro di cura che continua ad essere considerato prettamente femminile. 

La parità retributiva compensa anche la presenza di un altro paradosso che riguarda il mondo femminile all’ingresso del mondo del lavoro.  Le donne, come risulta dal “primo rapporto tematico di genere” realizzato dal consorzio universitario AlmaLaurea, concludono più velocemente e con migliori risultati dei loro colleghi maschi il percorso di studi. Poi il vantaggio svanisce all’ingresso del mondo del lavoro: di solito le donne, potendo scelgono il posto fisso, i maschi la libera professione e, a cinque anni dal titolo conseguito, risultano guadagnare il 20% in più delle loro colleghe.

Di fronte a questi dati si comprende bene che bisogna ampliare il campo di azione, che bisogna, non solo a parole “fare squadra”, ma creare una rete di azioni solidali.  Ecco un altro segnale che è il caso di sottolineare e che coinvolge il mondo della politica: la legge   regionale, n.7 del 2007, art. 25, comma 1, lett. C prevedeva l’istituzione della “Rete regionale delle elette”  con l’obiettivo di scambiarsi informazioni, promuovere iniziative comuni per rafforzare la presenza femminile nei luoghi decisionali. Ora la Rete è attiva, le elette si incontrano, anche perché nei luoghi della politica la presenza delle donne rimane scarsa:  nei Comuni con più di 15mila abitanti abbiamo 62 sindaci uomini contro solo 5 donne e 785 consiglieri uomini contro 306 donne; in quelli più piccoli  160 sindaci uomini contro 17 donne, 1223 consiglieri uomini contro 695. I numeri parlano chiaro e proprio da qui bisogna partire per analisi, confronti, strategie comuni che devono coinvolgere  tutti, donne e uomini.

MRDL

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