Da Roma a Bari
Partiamo da Roma, dalla chiesa di S. Nicola in Carcere, detta così perché vicina all’antico carcere Tulliano. Qui si festeggiava il 6 dicembre in modo assolutamente particolare: da ogni scuola partiva una processione preceduta da uno studente a cavallo, scelto fra i più bravi, vestito regalmente con scettro e corona e seguito dai compagni; giunto in chiesa il corteo, nel quale non mancava la statua del protettore, si assisteva alla messa solenne, si recitava una orazione in latino o in volgare, o una composizione poetica, e poi a tavola a mangiare di tutto e di più, senza trascurare però il pane benedetto, fra suoni di trombe e rulli di tamburo. La gioventù era rappresentativa delle abitudini della capitale e della rivalità fra le lettere e le armi, le prime coltivate durante l’inverno a scuola, le seconde durante l’estate sui campi di battaglia. A tutto dava la sua approvazione e la benedizione San Nicola, che apriva ufficialmente il periodo delle vacanze: ognuno aveva diritto al riposo e il periodo di pausa natalizia durava circa un mese, fino all’Epifania. Il banchetto, lo scambio di doni fra i maestri e gli allievi, la rappresentazione di un dramma sacro, spesso ispirato alla vita del Santo, erano elementi immancabili e la tradizione presto si diffuse anche fuori Roma. È facile individuare alcuni degli elementi originali nel festeggiamento del nostro più borghese Natale: erano appartenuti al culto pagano, ed andavano perciò opportunamente depurati e decontestualizzati.
Da Roma ora spostiamoci a Bari, dove S. Nicola è signore: non starò a ricordarne la vita (narrata peraltro nei libri del Beatillo, 1632, e del Bonafede, 1643,) né le “eccellenze, virtù, meraviglie del prezioso liquore”, cioè la manna o mirra che “dalle sacrate ossa scaturisce” e che si raccoglieva nelle colorate bottiglie esportate in tutto il mondo, né gli infiniti ed incredibili – per noi del III millennio – miracoli operati. È più importante segnalare, ed affiancare a quanto si riferiva alla scuola, la particolare predilezione del Santo per il mondo del mare, le navi, i marinai, i viaggiatori, i commerci, la pesca, e collegarlo con la stagione invernale, la più ardua per la navigazione, quella in cui ogni viaggio era un rischio e giungere a destinazione quasi una sfida. Per salvare chi lo invoca o per proteggere le navi poste sotto la sua protezione e tenerne sotto controllo il carico, il Santo “nelle vesti da patriarca, con occhi splendenti ed un bastone fiammeggiante in mano, cammina sul mare”, (come Gesù), ne moltiplica il grano dolosamente sottratto (come Gesù con il pane ed i pesci), e si prodiga in interventi sempre stupefacenti, puntigliosamente tramandati dall’agiografia. In tanta abbondanza e diversità, solo due qui interessano, la salvezza dalla prostituzione delle tre figlie da marito (mediante tre sacchetti d’oro), e la ricomposizione dei resti e la restituzione alla vita dei tre fanciulli assassinati e smembrati, non solo per la insistenza sul numero tre, ma per questa palese “imitazione di Cristo”, che potrebbe stare alla base della vocazione e della missione di Nicola: l’iconografia comprende queste scene, ed in più l’ancora, la nave, ed il libro del Vangelo stretto in mano, sul quale si giurava e che testimoniava della sua sapienza.
Ma l’aspetto più singolare di questo amore esclusivo per il mare è dato dalla leggenda di Nicola pesce e dalla sua forte presenza nel folklore mediterraneo. Si tratta di questo: viveva a Napoli un giovane che aveva un dono di natura, poteva starsene per giorni interi nel fondo del mare senza bisogno di respirare, come se si trovasse nel proprio elemento. A servizio del re – forse Federico II – aveva esplorato le profondità più recondite per soddisfarne la curiosità e prelevarne preziosi tesori di gemme e monete d’oro; per coprire lunghe distanze si faceva inghiottire dalle balene, ed arrivato a destinazione ne squarciava il ventre con un lungo coltello per poter uscire: era insomma un fenomeno e il re lo metteva continuamente alla prova per scoprire il suo segreto, finché un giorno, richiesto di recuperare una coppa d’oro elegantemente cesellata (anche S. Nicola aveva riportato in vita un giovane, annegato con un calice d’oro per colpa dei genitori fraudolenti) non scese troppo a fondo, rimase intrappolato, e non riemerse più. Un bassorilievo visibile ancora oggi nella popolarissima via Mezzocannone lo raffigura fedelmente e ne conserva il ricordo. Dopo Benedetto Croce, Arturo Graf, Giuseppe Pitrè, il racconto fu inserito da Maria Savi Lopez, la gentile poetessa di Terlizzi, nel suo libro Leggende del mare del 1894, che se ne servì per esaltare, in nome del patriottismo, le tradizioni marinare italiane. E ci aveva visto bene donna Maria perché afferma: «In una poesia del poeta provenzale Ramon Jordan, che scrisse verso la fine del secolo XII, trovasi un ricordo del nuotatore che vien chiamato Nicola di Bari» (pag.350). Questi i versi originali del poema: «Tal estarai com Nicola debar / qu’estet lonc temps mist los peissos en mar», e in italiano: «E tu sarai come Nicola da Bari / che insieme ai pesci attraversava i mari». In più, in un passaggio del Don Chisciotte, in cui Cervantes elenca le doti di un perfetto cavaliere errante, si dice che costui “deve sapere anche nuotare bene, proprio come il Pesce Nicola”: ulteriore prova dell’ampia diffusione della storia, almeno a livello letterario.
Ma alle spalle di Nicola Pesce c’è la vicenda di Teseo, figlio del dio Poseidone, cantata dal poeta greco Bacchilide e rappresentata secondo alcuni archeologi nella tomba detta “del tuffatore” a Paestum: sbarcato a Creta nelle sue peregrinazioni, l’eroe sfida il re Minosse e questi gli propone l’impossibile, cioè immergersi nelle acque per ripescare un anello lanciato in precedenza. Teseo vince la scommessa, raggiunge il meraviglioso palazzo di Cnosso, e si presenta allo sfidante ricoperto da un mantello scarlatto: decisivo è stato per lui l’aiuto del padre che gli ha fatto raggiungere il fondo, ritrovare l’anello, e ritornare in superficie completamente asciutto. È una prova della sua natura divina, ma è anche una conferma dell’antichità e della persistenza di un mito perenne, che esalta il legame ancestrale fra l’uomo e l’acqua e prefigura la discesa agli inferi e la risalita, simbolo della risurrezione: mito pagano ancora una volta, accolto poi dal cristianesimo, del quale si rende protagonista S. Nicola.
E c’è anche un nuotatore più moderno che si può considerare l’erede di Nicola Pesce e di Teseo: alludo ad Oronzio De Bernardi (1735 – 1806), nativo anche lui, come la Savi Lopez, di Terlizzi, ma frequentatore della spiaggia di Barletta, autore di un libro, il primo del genere in Italia, intitolato L’uomo
galleggiante ossia l’arte ragionata del nuoto (Napoli, 1794). Non molti conoscono il suo nome, ma fu un vero pioniere, ed oltre ad essere sacerdote e Vicario della diocesi di Tropea, fu soprattutto uno scienziato, esperto di fisica e matematica, studioso attento delle leggi del galleggiamento. Non sappiamo se provò anche ad immergersi in profondità, e se sapesse dei suoi più illustri predecessori. Certo è sorprendente questa coincidenza, ed il riproporsi, a distanza di secoli, di un’antica ambizione dell’uomo, quella di esplorare il mare profondo e se possibile viverci, traguardo raggiunto solo grazie alla moderna tecnologia: dalle sirene al mostro di Loch Ness è stato lungo il cammino della fantasia umana prima di giungere ai sommergibili, e il posto occupato da De Bernardi è significativo anche nella tecnica del nuoto e nella storia dello sport, mentre S. Nicola è sempre lì, dietro l’angolo, a vegliare e benedire da vescovo solerte.
Il cerchio così si chiude e si torna al Santo di Mira, oggetto di grande devozione anche a Terlizzi, dove il giorno della festa, il 6 dicembre, i bambini depongono ai suoi piedi la classica “letterina di Natale” con la richiesta di doni. Le chiese a lui dedicate sono migliaia sparse nel mondo, ma la protezione nei confronti dei Baresi è speciale, perché qui a partire dal 1087 riposano le sue ossa miracolose ed affluiscono ogni anno in gran numero i pellegrini. Ed il biografo Niceforo così giustamente esalta la città che lo accolse: «Gioisci Bari, senza limiti, colma di letizia! Gioisci Bari e tienti stretta questa nuova eredità di salvezza! Gioisci Bari d’essere fra tutte le rocche di Puglia la più degna di lode! Gioisci tu per essere stata incoronata per una trionfale vittoria, ché Nicola significa “vittoria del popolo”! Gioisci Bari perché potrai vedere i suoi devoti annoverati fra le schiere angeliche! Gioisci infine perché sarai conosciuta in tutto il mondo per la tua celebrità!».
Inutile – ed impossibile in questa sede – trattare del Natale e di Santa Klaus, ultima metamorfosi di S.Nicola: dalla prima chiesa a lui dedicata a Manhattan nel 1906 sono trascorsi più di cento anni e le renne, la slitta, il paesaggio innevato ed il tradizionale, abete sono conosciuti nel mondo intero. L’anniversario decembrino lo ricorda a tutti ed il Santo immancabilmente si ripresenta, solo smessi i paramenti sacri e rivestito vistosamente in rosso, ma sotto, a ben guardare, c’è ancora traccia dell’infallibile e infaticabile patrono della gente di mare, forse l’unico e più vero S.Nicola.
A questo punto la più recente fra le metamorfosi, La forma dell’acqua, il film di Guillermo Del Toro vincitore della Mostra del cinema di Venezia del 2017, che, vi garantisco, vi farà stupire e riflettere sulla vitalità di S.Nicola. Se non lo avete visto vi consiglio di andarlo a vedere…magari durante le vacanze di Natale.
di Alessandro Laporta
Pubblicato il 19 dicembre 2022 alle ore 11:25