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“Le disavventure di Totò”, di Vittorio Capotorto

“Le disavventure di Totò”, l’ultimo lavoro di Vittorio Capotorto, un puglies14e a New York

Come erano i bambini di settanta anni fa, quelli nati quando cominciavano ad aprirsi nuovi orizzonti di pace sulle macerie di due guerre mondiali?  Quale lo stile educativo delle famiglie in una città del Sud? A quali principi si ispirava l’educazione che veniva impartita ai bambini sulla soglia dell’adolescenza? A queste curiosità risponde il testo di Vittorio Capotorto “Le disavventure di Totò”, pubblicato dalla Tau editrice con la prefazione di Dacia Maraini e le illustrazioni di Franco Mannarini.

Negli scorsi decenni erano in tanti i Totò, nome che sta per Salvatore, forse ritenuto  troppo importante e lungo. Meglio ricorrere all’ipocoristico e breve Totò,  apocope del dialettale Totore.  Un vezzeggiativo scoppiettante, veloce, adatto ai bambini. Nome diffusissimo nel Sud (pare che nella lista dei nomi più usati, occupi il quarto posto, (almeno qualche anno fa perché i nomi  oggi più diffusi esulano da riferimenti religiosi tradizionali).

Vittorio Coporto e la moglie Maureen

Vittorio Capotorto, originario di Mola di Bari, una vita avventurosa tra teatro, cinema, giornalismo, da qualche anno a New York, per questo ultimo lavoro sceglie questo ragazzino, Totò e le sue disavventure, (che tali non sono in senso proprio) e lo rende l’archetipo di un’epoca e di un modello di formazione tra le mura domestiche.

Totò è un ragazzino vivace, intelligente, pieno di curiosità che non ha paura di esternare alla mamma. Sono le curiosità che diventano”disavventure” che poi si annullano dopo le delucidazioni che dà la mamma con encomiabile pazienza. E anche con estrema semplicità. Avviene così che  “misteri” che nei secoli hanno cercato di svelare teologi e filosofi si sciolgano con facilità nelle parole e nelle soluzioni della madre.

«In questi racconti dallo stile tradizionale – scrive Dacia Maraini nella prefazione – Capotorto porta il lettore dentro le storie, facendolo sentire parte di una famiglia italiana piena di vita,anche se ormai lontana e persa. Nei vivacissimi ricordi della sua adolescenza, incontriamo Totò che fa tante domande, che casca dalla Luna come Candide, che si muove con struggente ingenuità nei meandri della scuola e dell’ambiente in cui vive e cresce».

Tutto lo incuriosisce, di tutto chiede spiegazioni, è attratto dai riti della religione che nei consigli della madre diventano regole di comportamento. Il linguaggio con cui vengono spiegate verità teologiche è addirittura disarmante; è come, a pensarci bene, ci si deve rivolgere ai bambini di fronte a misteri della fede  che mettono in crisi anche gli studiosi e i filosofi.

Totò  attraversa la sua età con mille domande ma con la certezza di essere amato e di avere dei punti di riferimento precisi, la famiglia, la parrocchia, mentre comincia a prendere atto che ci sono battiti del cuore che non derivano solo  dalla paura. Le sue “disavventure” si concretizzano, tutto sommato, nella voglia di conoscere e di crescere.

Intorno a Totò un mondo di cui non rimane traccia, un Sud ormai cancellato dall’omologazione di comportamenti e di cultura. Un mondo a cui Capotorto è affezionato e che ricorda ancora con nostalgia. Perché è chiaro che il secondo nome di Totò è proprio Vittorio (di cognome Capotorto)  che, nonostante le varie esperienze umane e culturali, conserva ancora nel profondo del cuore quel candore  proprio dei ragazzini che si affacciano al mondo e quella curiosità che nutre la bella avventura della vita.

Pubblicato il 14 ottobre 2022 alle ore 11:38

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