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sabato, Novembre 23, 2024

Nino Della Notte, la “bellezza dei luoghi”

Artisti e identità locale

Nell’accingermi a scrivere il contributo per il presente numero di “In Puglia tutto l’anno”, non ho potuto fare a meno di pormi una domanda. L’oggetto dei miei studi e delle mie ricerche sono stati e sono tuttora le opere d’arte, in particolare di pittura e scultura, che, come noto, rientrano nella categoria generale, e potrei anche dire universale, dei Beni Culturali (la maiuscola è d’obbligo) e la domanda, sollecitata dai tempi e dagli eventi che stiamo vivendo, è: cosa dà veramente valore a questi oggetti. La risposta più semplice, e forse anche scontata, è: la bellezza. Poi, però, mi sono ripetuto che nei secoli di storia dell’arte – per restare nell’ambito dei miei studi – l’idea di bellezza è mutata, avendo assunto varie forme. Allora ho pensato all’altro valore che oggi, ormai, attribuiamo ai Beni Culturali, il loro essere, come ormai è convinzione comune, “simboli identitari”, un valore, cioè, che deriva dalle radici da cui nascono, donde anche la necessità di proteggerli e conservarli. È grazie a questo valore che abbiamo imparato a riconoscerli come la vera ricchezza della e per l’intera umanità, una ricchezza, perciò, che unisce e non dovrebbe mai alimentare divisioni, perché i Beni Culturali, in quanto tali, non hanno confini.

Bastioni di Castro olio su tela 60×80

Pochi anni fa, ho collaborato con un mio contributo alla Mostra “Genius Loci”, organizzata dalla Pinacoteca Metropolitana di Bari, il cui sottotitolo recita così: «Riflessi dell’identità locale in Cinquanta artisti pugliesi tra passato e presente». Nel contributo indicai pochi artisti, tra i quali Nino Della Notte, che intendo riproporre all’attenzione dei lettori in questa occasione. L’artista figurava nella sezione “Puglia. La bellezza dei luoghi”. La sezione, cioè, in cui era messo in luce il modo in cui gli artisti avevano interpretato il loro legame con il territorio, nel quale erano nati e del quale avevano provato a cogliere l’identità profonda. Le opere che ho deciso di segnalare sono quattro, tutte della sua fase più matura: Castro (Darsena), Bastioni di Castro, Dune a Porto Cesareo, Salento arcaico.

Preciso, subito, che la funzione dei titoli dati alle opere dall’autore non è un semplice modo di battezzarle, ma indicano i luoghi veri del suo vissuto: Castro, ad esempio, fu meta costante delle sue vacanze estive. A quelle opere egli era arrivato dopo un percorso segnato da un atteggiamento di continua riflessione sulla realtà e sui modi della rappresentazione, che s’era arricchito via via di nuovi apporti culturali, che lo hanno portato all’inizio degli anni Settanta agli esiti stilistici più maturi e definitivi. Una maturità essenzialmente stilistica e poetica, testimoniata, appunto, dalla straordinaria serie di dipinti che egli esegue a partire dal ’70, tra i quali spiccano per qualità e intensità poetica quelli dedicati ai luoghi del Salento. A quest’ultima fase corrispose non casualmente una maggiore attenzione della critica, che colse non solo il carattere nuovo ma anche la particolare forza espressiva delle opere. L’impressione immediata che si ha alla loro visione è dovuta al mezzo espressivo dominante, il colore, al quale, a ragione, Vittorio Pagano, un attento interprete delle sue opere, riconobbe una funzione quasi assoluta, con parole,  che mi pare opportuno riproporre: «Tracimato dai pennelli, dalle spatole e dai colpi di pollice, il colore si fa massa diffusa: rossi bianchi gialli azzurri verdi in campiture atterrite sulla tela che ne accusa l’invasione (l’esigenza di testimoniare rappresentando) lasciandosi intravedere matericamente, a volte in qualche scucitura fra le zone cromatiche, in qualche rifinitissima mancanza di rifinitura, quasi a celebrare la prepotenza degli estri creativi contro la sua originaria pretesa di neutralità». Un passo che mette in luce il nesso intimo e inscindibile tra gli elementi tecnici e linguistici e i valori poetico-espressivi. Non sfugge, perciò, come è ben visibile nei primi due dipinti, che il colore, nella sua esaltazione e autonomia, non ha nulla di gratuito, la sua bellezza sta nel suo materiarsi e solidificarsi in un vero e proprio ordine architettonico, che è quello dei luoghi e degli elementi antropici che li caratterizzano; esso si fa costruttivo e strutturante in rapporto al dato oggettivo, per cui l’esigenza a cui risponde non è quella di esprimere autonomamente uno stato d’animo, una sensazione o una emozione, bensì quella di cercarne la verità profonda, cioè ciò che ancora trasmettono i segni lasciati dall’intervento umano.

Ecco, allora, i primi due dipinti, Castro(darsena) e Bastioni di Castro, entrambi legati a due rapporti fondamentali del luogo, quello con le attività connesse al mare e quello legato alla sua storia. Forte della sua parentesi “astrattista”, l’artista aveva compreso che la qualità poetico-espressiva dell’opera non stava solo nella scelta di determinati contenuti, ma nella forza trasfigurante della forma e del colore. Non è inutile, tuttavia, dire che se è tentativo vano quello di cercare di riconoscere le caratteristiche reali dei luoghi, non essendovi le piacevolezze cromatiche del paesaggismo tradizionale, l’indicazione, in entrambi i casi precisa, del luogo, la darsena, e del soggetto, i bastioni, è indispensabile per comprenderne la traduzione visiva.  I bruni, i neri, gli improbabili cieli azzurri, striati di chiarori e luminescenze, i muri compatti delle costruzioni, appena toccati dai caldi bagliori di un probabile tramonto, parlano di una condizione dello spirito, di una sorta di meditazione sui segni e sulle testimonianze del passato.

Dune a Porto Cesareo olio su tela 51 x 61

In Dune a Porto Cesareo e Salento arcaico sono rispettivamente gli elementi naturali e le radici storiche dei luoghi che hanno stimolato l’invenzione artistica. Per comprendere il primo dipinto, il cui titolo sembra un semplice richiamo a un fenomeno naturale, non è inopportuno ricordare che le dune sono state, fino a quando lo sconsiderato intervento dell’uomo, per la speculazione dei luoghi costieri, non le ha in parte cancellate, un segno distintivo del tratto di coste dove sorge il piccolo centro, fino agli anni Sessanta del ‘900 abitato per lo più da pescatori e agricoltori. Per me immigrato nel Salento nel lontano 1960 le dune furono una scoperta impressionante per la loro naturale incontaminata bellezza. È evidente che per Della Notte quel fenomeno era qualcosa di più, non lo ha tradotto in un facile e piacevole paesaggio evidenziandone i colori naturali, ma trasfigurato. Anche qui il colore svolge il ruolo dominante. Un rosso intenso s’estende sin quasi al limite superiore, delineato con l’andamento curvo della forma delle dune, mentre al centro sono reiterate di nero le linee sinuose, chiude, infine, la loro estensione la striscia di mare e di cielo. Quale pensiero abbia guidato l’artista in questa trasfigurazione non è facile spiegare. Certo è che anche per questo luogo si può parlare di sedimentazione storica e naturale. La conferma, se si vuole, è il dipinto Salento arcaico, un titolo inequivocabile che rimanda alla storia plurimillenaria del Salento, condensata nell’aggettivo “arcaico”, dagli studiosi utilizzato per riferirsi alle testimonianze archeologiche e epigrafiche delle civiltà che hanno abitato la penisola salentina. (Non casualmente la data del dipinto coincide col tempo in cui venivano svolte le ricerche in ambito universitario sugli insediamenti preistorici). Stilisticamente prossimo al precedente, inutile cercarvi un qualche rimando iconografico, ma sono sempre e comunque i colori forti e, in qualche misura, violenti, che ci dicono ciò che la visione di quei luoghi ha prodotto in lui, e se volessimo, a tutti i costi, riconoscere qualcosa, guardando alle sagome scure, non potremmo che parlare di tracce.

Salento arcaico IV olio su tela 60×70

La critica ha rilevato in queste opere una pienezza creativa e inventiva frutto dell’arricchimento della sua visione, riconoscibile nella forza che ogni immagine ha di offrirsi nello stesso tempo come parte di una totalità e totalità essa stessa, come se in ogni angolo, in ogni porzione o in ogni luogo del Salento viva tutta intera la sua più autentica essenza. Un esito maturo del suo scandaglio rivolto a cogliere della realtà del Salento non la sua apparenza fenomenica, ma la complessa trama di fattori che legano indissolubilmente ad essa la vita di un uomo e di una intera comunità. La sua tematica, tratta, inizialmente, come aveva evidenziato già Vittorio Pagano, dalla cronaca e dal folklore del Salento meno sfruttato, del Salento quasi clandestino delle campagne e delle viuzze paesane, s’era, così, ampliata via via a quella dei luoghi visti come espressione di uno scandaglio interiore, rivolto a esplicitare quello che ogni uomo si porta dentro, della propria terra, della sua storia, della sua cultura, essendosi impresso nella sua coscienza. Non a caso quelle opere hanno sollecitato nella critica interpretazioni tutte convergenti sugli aspetti distintivi e profondi del paesaggio naturale. Ecco, allora, chi vi ha visto “un recupero di cosmicità primordiale ed arcaica”, “l’approdo ad un Salento ctonio e ab-origine, qualvolta perfino magico”, “nel suo splendore cromatico”, chi “l’approssimazione al destino di questa terra, fra dissoluzione e utopia e speranza. Come in un morire della sua storia e in un rinascere di suoi valori elementari e supremi”, chi “un’idea essenziale del Salento, quasi un colore acuto come un grido, naturale complemento di una immagine ridotta ormai a quel minimo archetipico che è la matrice comune di una ‘condizione ‘ culturale e spirituale”.


Nino Della Notte (Nardò 1910 – Lecce 1979). Biografia

Nino Della Notte, nato a Nardò il 19 ottobre 1910, dopo la prima formazione nella Regia Scuola D’Arte Applicata all’Industria” G.Pellegrino” di Lecce, si trasferì a Roma, dove frequentò il primo anno dell’Accademia Libera e per due anni il Museo Artistico Industriale e nello stesso tempo gli studi dello spagnolo Antonio Fabres e di Ferruccio Ferrazzi, sperimentò l’incisione con Diego Pettinelli e la pittura murale con De Prai. Nel 1931 si trasferì a Napoli, dove perfezionò lo studio della pittura con Balestrieri, Barillà, Viti e Brancaccio. Rientrato a Lecce, nel 1934-35 tenne l’insegnamento di pittura decorativa nella Scuola d’Arte di Lecce, continuando a mantenere i contatti con Napoli. Nel 1935 decise di trasferirsi a Milano per «rompere ogni compromesso provinciale» e dove ebbe modo di partecipare alla “Rassegna del Cartello Pubblicitario” vincendo il premio ENAPI. Seguirono nel ’37 e nel ’39 le esperienze militari in Africa e in Albania, nel settembre del 1940 sul fronte greco e nel 1943-44 prima in Sardegna e poi a Roma, occupata dai tedeschi. Tra una campagna e l’altra aveva intanto assunto il ruolo di insegnante di Discipline artistiche nella Scuola media di Lecce. Con la conclusione della guerra riprese finalmente con continuità la sua attività artistica. Con i poeti Vittorio Pagano e Vittorio Bodini e col pittore Lino Paolo Suppressa, partecipò anch’egli al rinnovamento artistico e culturale della città. Nel 1950 trascorse i mesi estivi a Parigi, un soggiorno che lo introdusse più direttamente nel clima della ricerca artistica contemporanea. Dall’inizio degli anni Cinquanta visse la sua singolare esperienza del “realismo”, intensificando la sua partecipazione a importanti rassegne, come la Mostra di Pittura del Maggio di Bari, alla cui seconda edizione ottenne con il dipinto Donne di Puglia il premio Primavera, o come il Premio Terni, e l’organizzazione di mostre personali. Dal 1960 fu direttore degli Istituti d’Arte di Corato, di Poggiardo e infine di Nardò. Nel 1961 curò l’allestimento del Padiglione regionale pugliese alla Mostra delle regioni italiane per la celebrazione del primo centenario dell’unità d’Italia a Torino. Dalla metà degli anni Cinquanta il suo stile fu incentrato sempre più sul colore e privilegiando come tema il Salento, presto amato e poi riscoperto nelle componenti naturali e nella sua storia. La morte, avvenuta nel settembre del 1979, non gli consentì di portare a termine la serie di pannelli, dedicati alla rievocazione dell’assedio turco e del martirologio di Otranto del 1480 e destinati alle celebrazioni del quinto centenario dell’evento.


di Lucio Galante

Pubblicato il 03 giugno ore 11:23

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