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venerdì, Novembre 22, 2024

Se i teatri sono chiusi

Ho sempre pensato di poter cambiare il mondo, senza presunzione, ma partendo dalla mia casa e mettendomi in viaggio per “incontrare” con il mio lavoro e costruire trame nuove per la mia vita e per quella degli altri. Ho sempre avuto una casa, sia per viverci che per lavorarci.

Una casa fisica e una casa ideale e sempre cangiante. Una casa dove vivo e consumo il mio essere cittadino e una casa ideale, che chiamo teatro e che incontro nel mio viaggiare e in ogni luogo diversa. Se all’inizio del mio percorso di artista la casa teatro era solamente l’edificio teatrale, a un certo punto, ho capito, che per me era importante poter spostare la mia azione in luoghi diversi da questo edificio e farlo viaggiando, non solo per le tournée classiche, ma un cammino continuo per costruire relazioni oltre l’evento spettacolare e in luoghi e geografie sempre nuove. Nel 2009, per rispondere a questa esigenza, è nato il “barbonaggio teatrale”. Un atto d’amore verso il pubblico. Un atto simbolico per rimettersi in contatto con la gente e creare nuove platee. Un atto poetico e politico per affermare che gli artisti sono dei lavoratori come tutti gli altri. Un grande viaggio per tutto lo stivale e anche in tutto il mondo. Un viaggio fisico, ma anche di alternanza tra luogo teatro e luogo “strada”, come passare dalla montagna alla campagna e viceversa a seconda delle stagioni/obiettivi. Poi in seguito ho capito che stavo esattamente facendo quello che avevano fatto i miei avi, quando in qualche modo hanno inventato il teatro e di conseguenza ha fatto capolino l’esperienza straordinaria dell’Odin, per citare la più nota. Ho cominciato così, all’inizio anche con molte sfaccettature e sensi che si sono chiariti nel tempo, un viaggio straordinario, parallelo al mio lavoro nei teatri, proponendo il mio
spettacolo, ogni volta, il pomeriggio, prima della serale in teatro, in una piazza della città in cui ero ospitato. Vendevo a pezzi lo spettacolo, su un palchetto molto piccolo, con un ampio impermeabile come costume e parlavo con le persone, le invitavo a teatro, stabilivo relazioni. Ho capito che il barbonaggio teatrale poteva essere uno strumento importante da affiancare al mio percorso nei teatri, non per trasferirmi all’esterno, ma per cercare di portare nuovo pubblico a conoscere e a frequentare l’edificio teatrale. Quest’azione, che all’inizio ha creato un po’ di sconcerto e diffidenza tra gli stessi colleghi e operatori, nel pubblico invece ha suscitato grande adesione, sotto tutti punti di vista. Per farla breve, da quell’agosto del 2009, a questo marzo 2021, ho fatto un lungo viaggio di 11 anni, in più di 500 città in Italia, sono stato ospitato in molte città e capitali europee (Barcellona, Madrid, Parigi, Londra, Berlino) e sono arrivato nella lontana città di Vancouver in Canada. L’espressione “barbonaggio teatrale” è diventata, in qualche modo, una definizione familiare. Le università se ne sono interessate, affidando l’approfondimento a varie tesi di laurea, io sono cresciuto come artista e come persona e continuo a verificare e certificare che tutto il pubblico e tutti i luoghi possono avere una dignità, dal bar più malfamato al più prestigioso teatro. Il barbonaggio oggi è diventato anche azione di creazione di comunità di narratori “su palchetto” in tutto il mondo.

Ippolito Chiarello a Porta Napoli – Lecce –

La gente di tutte le estrazioni sociali e le nazioni in cui ho lavorato, impara a conoscere con semplicità il processo teatrale, nella sua forma più pura e si allena ad abitare i teatri e a ri-conoscere questo mezzo come strumento per raccontarsi, a volte anche in prima persona. Già questo è avvenuto per esempio a Napoli, per il Napoli Teatro Festival, a Vancouver, in Canada, a Nantes, in Francia e in altre città italiane (Roma, Asti, Mantova, ecc). Con la pandemia e la chiusura dei teatri, ho aggiunto la parola delivery ed è stato naturale. Di fatto ho solo continuato un lavoro già iniziato 11 anni fa e che a mio parere dovrebbe sempre esistere, al di là dell’emergenza, per i motivi già detti. Per me, in questo momento di assenza, la cosa fondamentale era fare qualcosa con la mia “funzione” di artista e mettermi a disposizione di un’emergenza sanitaria, che coinvolgeva anche il cuore, un organo di cui mi occupo per lavoro. Non volevo usare nessuna mediazione o artificio, ma, come il barbonaggio teatrale mi aveva insegnato: solo io, il palchetto, le storie e un pubblico che le ascolta e che raggiungo in bici sotto le finestre. Mi sono ispirato alle immagini più forti e che più mi avevano inquietato e illuminato in questi mesi, come i Riders che portano beni di prima necessità, gli unici a circolare nelle città deserte, i balconi, le USCA, il lockdown, ecc. Tutto si è materializzato naturalmente e mi sono detto che, se i teatri sono chiusi, io posso, in qualche modo, ri-aprirli, portando gli spettacoli sotto le case delle persone. Da subito ho lanciato l’idea delle USCA artistiche (unità speciali di continuità artistica), parafrasando quelle sanitarie. Ho semplicemente proposto ai miei colleghi, in Italia e all’estero, di aderire a un pensiero e non a una rete burocratica. La risposta è stata eccezionale. Eccezionale da parte degli artisti, con una massiccia ed entusiasta adesione in Italia e all’estero, del pubblico, delle istituzioni, degli organi di stampa che hanno illuminato il progetto. Sicuramente questa nuova esperienza di portare il barbonaggio teatrale sotto le finestre, a domicilio, nei cortili delle scuole, non morirà con la fine dell’emergenza e della pandemia, almeno per me. Sarà un altro strumento per raggiungere nuovo pubblico, portarlo a teatro ed esercitare l’arte più antica e più bella tutti giorni. Sempre in viaggio.

A cura di Ippolito Chiarello

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