Nei suoi figli la salentinità è come un fiume carsico. Per quanto si pensi sotterranea, prima o poi riemerge inaspettatamente. Il più internazionale dei nostri artisti, Domenico Modugno, benché nato a Polignano a mare, era cresciuto a San Pietro Vernotico. L’affetto per la lingua salentina – che fu scambiata nell’Italia degli anni ’50, che del Salento non conosceva neppure l’esistenza, per siciliano – il cantautore lo faceva emergere spesso nelle sue canzoni minori, come “la sveglietta” (Ieu tegnu na sveietta ca quannu camina fa tic tac) o “Lu frasulino” (ddhumame, stutame). Un gruppo di ricerca dell’Università del Salento, alcuni anni
fa, rintracciò perfino una versione del celeberrimo “il vecchio frac” in cui il gatto citato nella canzone veniva chiamato “musci”. C’è qualcosa in chi è cresciuto al di sotto della via Appia che rimane indelebilmente dentro e prima o poi tradisce l’appartenenza. Perfino in quello che forse è stato il miglior crooner italiano, il più “colto” dei nostri cantanti, Nicola Arigliano. E’ infatti strano che un artista noto per la dizione impeccabile – lui che era stato balbuziente – cantasse nel classico “Maramao, perché sei morto?” dell’ansalata che era nell’orto, invece che dell’insalata. La contaminazione fra il dialetto della sua nativa Squinzano e l’italiano aveva prodotto quell’involontario neologismo. Che nessuno ha pensato di correggergli.
Per chiunque abbia più di 50 anni, Nicola Arigliano è una figura impressa nella memoria. Per chi era bambino negli anni 70 era il volto del noto “Digestivo Antonetto” del Carosello. In realtà Arigliano è stato un grande interprete, uno dei più grandi, della canzone italiana. Di più, è stato l’unico artista italiano a trovare la sua cifra nel fraseggio jazz, soprattutto nello swing, anche in canzoni “leggere”. “Un giorno ti dirò”, “Amorevole”, “I Sing “Ammore”, “My wonderful bambina”, “I love you forestiera”, “Simpatica”, “Permette signorina”, furono successi straordinari negli anni sessanta che giocavano spesso col bilinguismo, anche sonoro, e portarono Arigliano alle vette dello stardom nazionale. Da lì arrivarono anche la televisione e il cinema. Il nostro artista recitò anche ne “La grande guerra” con Sordi e Gassman e fu “l’ispettore Giusti” della serie televisiva. Venne quindi ricercato dai pubblicitari (Digestivo Antonetto, Punt e Mes, Amaro Cora). Divenne un protagonista dei sabato sera italiani a a partire dal nell’anno 1963, con “Il cantatutto”, dove i partecipanti erano soliti esibirsi in alcune simpatiche scene dalla sfumatura comica. Nel 1977 fu il pistolero di Non stop, la storica una trasmissione di Enzo Trapani, che “uccideva” gli artisti, pronunciando la battuta: «Non voglio noie nel mio locale!». Insomma, Arigliano fu artista a tutto tondo, gentile e ironico, disposto a non prendersi sul serio. Con l’amico Franco Cerri, il grande chitarrista noto ai più come “l’uomo in ammollo” della pubblicità di un noto detersivo, condivideva l’amore per il jazz e l’attività di attore di pubblicità, ma era quando si
esibivano insieme che si vedeva per cosa erano nati. Infatti, nonostante le molteplici attività, Nicola Arigliano rimaneva un cantante di jazz in un paese che non era pronto. Riuscì finalmente a coronare il sogno di essere riconosciuto come l’unico cantante swing d’Italia solo in età matura, quando venne riscoperto da critici e produttori. Ne seguirono tour con repertorio jazz, dischi dal vivo e tardivi omaggi da parte dei colleghi. Arrivarono anche i premi (vinse il Premio Tenco nel 1996 e la Targa Shomano nel 2004). Sull’onda del ritrovato interesse della critica, nel 2005 Arigliano si presentò al festival di Sanremo a ottantuno anni di età, divenendo il cantante più anziano a parteciparvi. Presentò il brano “Colpevole”, vincitore del Premio della Critica. Fu la sua ultima apparizione nelle case degli italiani, una apparizione sempre piacevole, elegante garbata come era stato lui per tutta la vita.
La sua ultima esibizione risale all’ 8 Settembre del 2007, quando la natia Squinzano volle omaggiarlo di un premio alla carriera. Dopo quella sera scomparve dalle scene. Nessuno immaginava che l’uomo dolce, discreto e modesto che aveva accompagnato le famiglie italiane fra dopoguerra, boom economico e anni di piombo fosse rimasto nella sua terra natia, perché il Salento è un fiume carsico che si ripresenta, solo e dimenticato da tutti. Lo sapemmo solo il giorno della sua morte, il 30 Marzo del 2010. Si trovava da tre anni, come un anonimo vecchietto, in una casa per anziani di Calimera. Aveva 86 anni. Il Salento non si dimentica, ma dimentica.
di Luigi Corvaglia