Vado a trovare Lucio Mariano nella sua casa di Castro Marina, un orizzonte mozzafiato, dove si rifugia appena è possibile e trae ispirazione per i nuovi progetti. Ci conosciamo sin da bambini, quando i tempi nel paese erano scanditi dalle feste: a febbraio i paratori della sua azienda di famiglia tiravano fuori dal magazzino i pali, gli archi, i rosoni…e iniziava l’attento lavoro di manutenzione sotto lo sguardo vigile di suo padre Eliseo (Cici), mentre lo zio Salvatore (Toto) disegnava i bozzetti delle nuove parazioni. Era una sensazione particolare vivere così la primavera, la rinascita, l’inizio di un nuovo anno, l’attesa della calda estate.
Poi iniziava il ciclo delle feste patronali, i paratori partivano per Castro, Diso, Galatina… e finalmente tornavano a Scorrano per la festa di Santa Domenica, il 6 luglio: già un mese prima comparivano in piazza cataste di pali e pezzi di luminarie, e un brulicare di operai con scale, fili di ferro, fili elettrici riempiva il centro del paese. Vecchi e bambini osservavano incantati il “montaggio del giocattolo”, gallerie, casse armoniche, frontoni, che venivano su, leggeri, frutto della sapienza accorta dei paratori.
Mariano e De Cagna, De Cagna e Mariano, ogni anno era una gara a chi realizzava le opere più belle: la sera della prima accensione restava indimenticabile nella nostra memoria quella magia delle luci sullo sfondo nero del cielo, e guardavamo le parazioni con orgoglio, come se le avesse fatte ognuno di noi, e ci piaceva bearci dentro gli occhi dei forestieri e dei turisti.
Lucio, dimmi innanzi tutto dei ricordi che ti raccontava tuo padre
«Nei ricordi di mio padre c’erano le parazioni a carburo: prima dell’avvento dell’elettricità, sotto ogni arco veniva posizionato un recipiente contenente carburo che, reagendo con acqua, produceva acetilene, un gas infiammabile, distribuito poi per tutto l’arco con dei cannelli. Alle famiglie abitanti vicino agli archi si chiedeva la disponibilità a versare di tanto in tanto l’acqua in ogni contenitore di carburo, operazione che costava un qualche sacrificio dato che nelle case acqua corrente non ce n’era. E mi raccontava delle squadre di paratori che partivano per gli addobbi nei paesi vicini, si restava sul posto per tutto il tempo delle feste patronali, si dormiva sotto la cassa armonica in qualsiasi condizione climatica, ma nella squadra non poteva mancare il cuoco, assicurarsi un pasto caldo era certamente la priorità!».
I tuoi personali ricordi cominciano circa 40 anni fa; cosa è cambiato e cosa non è cambiato in questi ultimi quarant’anni?
«Moltissime cose sono cambiate: la svolta importante si è avuta intorno al 1990 con l’uso delle piattaforme di sollevamento che possono raggiungere anche i 30 m di altezza. Le piattaforme aeree ci danno la possibilità di sviluppare qualsiasi tipo di progetto: fatte salve le norme di sicurezza sul lavoro e la risoluzione di problematiche strutturali connesse a pioggia e vento, non ci sono limiti, il limite è la fantasia, mentre prima il limite erano le scale a carrello e la disponibilità di un operaio-scimmia che si arrampicava senza grossi problemi. Ma la vera rivoluzione si è avuta dieci-dodici anni fa con l’avvento del LED che ha sostituito le lampade ad incandescenza. Il LED consente un risparmio enorme di energia elettrica, basti pensare che in una festa come Santa Domenica a Scorrano erano necessari 2500-3000 kilowatt forniti da potenti gruppi elettrogeni o cabine di distribuzione, mentre oggi con i LED sono sufficienti 100-150 kilowatt; possiamo così ridurre anche la sezione dei cavi elettrici che prima avevano uno spessore di 50-60 mm quadri. Tutto questo ha avuto ricadute positive sui bilanci delle feste, sull’economia delle aziende e sull’impatto ambientale. Quello che non è cambiato è la passione che caratterizza sempre noi imprenditori, lo staff dei tecnici e gli operai e che ci consente di gestire l’enorme complessità organizzativa di oggi, di lavorare 10-12 ore al giorno in ogni condizione meteorologica e sopportare la fatica».
In pochi decenni si sono avuti cambiamenti enormi. Quali sono state le altre tappe dell’innovazione?
«Il passaggio alla tridimensionalità. La prima volta che abbiamo fatto qualcosa di tridimensionale è stato nel 1991 in piazzetta Caduti a Scorrano: realizzammo una galleria completamente coperta larga 8 m affiancata da due piccole gallerie laterali tradizionali larghe 4 m. In quegli anni scoprii il software CAD, e mi si è aperto un mondo. Avendo tutte le luminarie disegnate in formato digitale, si poteva comporre come in un puzzle una nuova spalliera, una galleria, osservare da diversi punti di vista… eccezionale, la fantasia abbinata al computer! E pensare che fino agli anni ’70 zio Toto progettava su carta e poi dipingeva per terra, davanti casa sua, la sagoma in dimensioni reali dell’arco, del rosone, del candelabro, e dal terrazzo di casa osservava il tutto per valutarne l’effetto! Oggi ho un gruppo di lavoro fatto da ingegneri e grafici. C’è stata una forte evoluzione nella figura del luminarista che deve, tra l’altro, avere competenze sull’uso sia del legno che del metallo: per esempio, le strutture autoportanti che abbiamo realizzato a Singapore e Shanghai per conto di Bulgari vanno oltre la luminaria tradizionale e prevedono l’uso del metallo e la collaborazione con l’ingegnere strutturale».
L’evoluzione tecnologica, a mio parere, rischia di condurre all’omologazione, alla realizzazione di strutture uguali da parte di tutte le aziende di luminarie; se la Mariano light e le altre prestigiose aziende del territorio di Scorrano incantano in tutto il mondo con le loro scenografie luminose, evidentemente hanno saputo conservare l’antica arte delle parazioni combinandola in maniera intelligente con l’innovazione. Come evitare per il futuro questo rischio? Come conservare questa bellezza?
«L’industria del fashion, Dolce e Gabbana, Fendi, si rivolgono a noi perché ci vedono bravi a giocare con la luce: abbiamo realizzato sculture di luce sulle facciate dei loro palazzi o all’interno di centri commerciali, nel solco della tradizione delle luminarie. Siamo partiti in questo settore montando luminarie a Parigi per conto di Kenzo, lui fu il primo. Fino a quel momento noi avevamo fatto solo luminarie tradizionali e natalizie, Kenzo invece le volle utilizzare come scenografia per una sfilata di moda: l’effetto fu straordinario, non era solo la luce, anche la struttura, la decorazione, il disegno, il legno… se la fai in ferro non è la stessa cosa. Dopo la sfilata la gente continuava a farsi le foto con le luminarie spente, davanti ai rosoni spenti! Ricordo lo stesso effetto a Huston nell’87: molta gente si avvicinava a copiare su carta i disegni delle luminarie spente, i giornalisti fotografavano le luminarie accatastate per terra o poggiate davanti al muro. A Valencia in Spagna oppure a Kobe, in Giappone, da 25-26 anni si montano luminarie e continuano a volere queste di legno, le altre non sono luminarie. Questo pezzo di legno verniciato di bianco ti prende il cuore, ha un suo fascino, e d’altronde sempre più gente acquista un elemento luminoso da tenere in casa, ha un’identità tutta sua, e quando s’illumina è ancora diverso, evoca tutto quello che c’è dietro, il lavoro artigianale, la magia della festa, i ricordi dell’infanzia. Per conservare questa tradizione ci vuole la passione, e la consapevolezza che possiamo presentare al mondo un prodotto originale, frutto della fantasia e dell’ingegno dei maestri salentini».
Ora è il momento di preparare la ripresa dopo un anno e mezzo di fermo quasi totale. Cosa lascia la pandemia?
«Tanta apatia, un anno e mezzo senza fare nulla, tranne piccoli addobbi natalizi, dopo aver condotto una vita densissima di impegni e aver realizzato progetti importanti in giro per il mondo. Mi preoccupa anche il fatto che le persone abituate a fare questo lavoro si siano adagiate anche loro. Fare questo mestiere non è facile, devi crederci, avere passione per affrontare enormi sacrifici, sole, pioggia, dalle sei di mattina alle sette di sera, si manca da casa a lungo, si va all’estero. Gli operai, finito il periodo di disoccupazione, si sono adeguati a fare altri tipi di lavoro, le persone valide stanno facendo altro, ho paura di non ritrovarle più nel momento in cui c’è la necessità di ripartire. Spero di no e comunque sono certo che quando si potrà ripartire ci faremo trovare pronti!».
Ciao Lucio, in bocca al lupo a te e alle altre aziende di luminarie del territorio di Scorrano!
A cura di Piero Palumbo