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sabato, Novembre 23, 2024

In lode del Vino

In lode del vino di Gianni Seviroli


A declamar m’accingo la bevanda

che più di tutte l’altre si fé amare,

nell’epoche più varie e in ogni landa,

fra monti, fiumi, laghi, terra e mare:

del vino intendo, breve la parola,

ma storia molto lunga da narrare,

che originata in Africa, poi vola

ovunque fra i millenni. Lì agli inizi

cresceva l’uva bianca, nera e viola,

sul fertil’ Nilo, rio sacro agli Egizi

ove Osiride a morir fu gettato.

Da Iside, stando a mitici indizi,

par ch’ei fu tra i viventi riportato

per giudicar i morti e far feconda

la terra. Ma rimanendo al passato

ed alle origini della gioconda

usanza di coltivare la vite

per poi spremerne il frutto, la seconda

tesi v’è certo nota cari, udite,

è quella del dio Dioniso, ossia Bacco,

che dalle ninfe fu allevato e, mite

bambino, chicchi d’uva mangiò un sacco

dai tralci che la grotta sua non d’uomo,

ma di dio, facean bella. Poffarbacco,

crescendo cosa fec’ei tomo tomo?

Il modo trovò d’inventare il vino:

per far felice l’uomo rio e il buonuomo,

offriva quel suo nettare divino

a ognuno, e tutti dopo l’ossequiavano

con risa e canti… Ma svio un attimino

 

l’attenzione dalla Grecia: mi stavano

aspettando coloro che convinti

son che la vite inve’ la coltivavano

ai primordi gli Indiani. Da dipinti

antichissimi par che il nostro succo,

da loro molto amato, desse ai vinti

o ai vincenti, per non restar di stucco

o peggio di fronte a nemico o a sorte,

presagi e visioni. Chissà se ciucco

era l’oracolo che vita o morte

nel vino andava a leggere! Ed ora,

a prescindere da ciò spero forte,

e tal speranza il mio rimar rincuora,

che mi si riempia un buon bicchiere. Ma

quante ipotesi son rimaste ancora:

dei fossili ritrovati qua e là

su tufi di Provenza e Lombardia

ci dicon che lì l’uva venia già

pigiata anticamente in allegria.

Omero la fé bere a Polifemo

per man d’Ulisse, il quale sulla via

del suo ritorno il ciclope fe’ scemo.

E l’uve di Sicilia Anacreonte

cantò pure, assieme all’amor – qui gemo –

 

erotico. Ma ampliamo l’orizzonte

delle origini della lieta usanza

di far con l’uva il vino: un’altra fonte

di tale uman diletto trova istanza

nell’Enotria, Italia meridionale

in greco: la parola stessa avanza

l’ipotesi del luogo originale

di tal coltura. E dunque con orgoglio

il verso ora vo ad aggiustar di sale,

poiché quei vini ricordare voglio

del Salento che san’ di mirto, pino,

fichi, rucola, finocchietto e scoglio…

Ah, non l’ho detto? Sono Salentino,

e garantisco per la Malvasia,

il Negroamaro ed ogni rosso vino,

ma pur per il rosato… una magia!

Ma ecco che negli occhi, tutta intera

la Puglia mi si staglia… bella mia…

In ogni dove uva c’è, sincera:

Aglianico, Bombino, Leverano…

qui a nominarle tutte è impresa vera…

Verdeca, Ostuni, Galatina, Fiano…

E ancor chiamato vengo, ma più forte,

da mill’altri vitigni: “Italiano

sono anch’ïo, e l’ sarò fino a morte!”

Se v’ho scordati, io maledetto sia,

ma a tutti quanti apro le mie porte,

ché amo ogni buon vin d’Italia mia.

E riprendendo il passo, adesso vo

dal re Salomone, la cui maestria

spazio trovò nella bibbia: un po’

di vino ei consigliò a vecchi e ammalati

nei proverbi, sapendo quanto può

far bene in certi casi delicati.

E per associazione vo a citare

Noè, il qual per sé, pei figli amati

e pei posteri, prese a coltivare

la vite, avendo cura ogni segreto

nei dettagli a loro di confidare

su come si fa il vin da un bel vigneto,

e ciò per evitar l’orrendo rischio

che il vin da botte non fosse secreto

un sol dì nel lor futuro. Rimischio

ora un po’ le carte… e vo alla preistoria:

fra i primitivi il più anzian con un fischio

la sera dava inizio alla baldoria

e tutti insieme attorno ad un gran fuoco

col vino davan luogo a bevitoria.

Col tempo si calmarono non poco,

ma ad ogni modo, allora come adesso,

ber vino non è esattamente un gioco,

si beva allor non proprio tanto spesso,

che poi si rischia mai di soddisfar

la sete. E qui coi miei versetti cesso;

m’appresto in fretta tutti a salutar.

È sera, e com’ogni misero umano,

la quiete bramo dopo il travagliar.

Allor vo a cena e col bicchiere in mano

al vino brindo, di cuore e di testa,

che sull’umanità come un sovrano

ancor regna, seco recando festa

e dolore, gioia, riso e allegrezza.

E brindo infine all’uva nella cesta,

a tutto il suo candore, alla purezza,

all’eleganza bella e all’armonia

del succo suo che par magica brezza…

Per sempre sia pigiata, così sia.

 

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