Una cooperativa sociale che è anche orto sociale e azienda agricola che a sua volta è strumento per alleggerire gli svantaggi di soggetti più deboli e trasformarli in occasione di inserimento, lavoro, innovazione.
La cooperativa “Semi di vita” che Angelo Santoro con altri 6 soci ha fortemente voluto, creato (quasi dal nulla) e porta avanti con idee sempre più ambiziose è un po’ tutto questo e qualcosa in più perché strizza l’occhio al futuro rimanendo abbarbicata al territorio in cui si trova e sta crescendo!
«Tutto è cominciato nel 2011 a Casamassima (Ba) su un terreno di 2mila metri quadri – racconta Angelo Santoro – con un progetto di agricoltura sociale rivolto all’impiego di soggetti disabili». Molte difficoltà ma sempre avanti con la convinzione che l’agricoltura possa essere strumento di rinascita fino a quando, nel 2017, nasce un progetto di inserimento di giovani lavoratori con esperienze penali alle spalle; su un’area di 400 metri quadri all’interno della Casa di rieducazione “Fornelli “ di Bari, la cooperativa di Angelo rimette a nuovo una serra che ospiti la coltivazione di funghi cardoncelli e un essiccatore di prodotti alimentari. Naturalmente ad occuparsene, sotto lo sguardo vigile della cooperativa, sono 2 ragazzi rispettivamente di 21 e 23 anni del Fornelli e la produzione è destinata alla vendita al pubblico nel negozio di Valenzano (Ba) dove tra l’altro lavorano 3 ragazzi che svolgono servizio civile.
E arriviamo al 2019, anno in cui l’azienda agricola, certificata bio, vince il bando del Comune di Valenzano per l’assegnazione della gestione di terreni confiscati alla mafia. «Erano 26 ettari nudi: sulla carta riportavano l’esistenza di 10mila alberi di ulivo – puntualizza Santoro che della cooperativa è anche il portavoce e il curatore della comunicazione – rivelatisi poi in realtà 600, 200 salvati e tuttora esistenti».
Oggi, grazie ad un investimento di 580mila euro rivenienti da fondi della cooperativa e privati, il terreno comprende 9 ettari di frutteto con melograni, albicocchi, noccioli e mandorli, 7 ettari di seminativo, 3mila metri quadri di orto e un allevamento a terra di 500 galline ovaiole.
E se da un lato la terra produce seguendo i ritmi e le stagioni, dall’ altro gli uomini, ovvero i soci della cooperativa, provvedono a lavorare, trasformare e vendere i prodotti; così le uova diventano anche paste artigianali, i frutti marmellate, gelatine, dolci vari e il pomodoro dà vita al “pomovero” cioè la salsa. E così i prodotti arrivano ai consumatori più vicini, cioè del territorio e piano piano a quelli più lontani grazie anche ad un paziente lavoro dimostrativo, alla partecipazione a eventi, mostre, fiere…
«Tutto con etichette parlanti che raccontano la storia di ogni singolo prodotto – dice orgoglioso Santoro – e con prezzi che sono in linea col bio e a volte anche un po’ inferiori».
Ma, c’è sempre un ma, ora la storia si complica perché all’obiettivo di rendere appetibile la cooperativa per i soci si affiancano altri chiamiamoli desideri come realizzare una masseria didattica e un bosco, poi una struttura di ristorazione (in verità il posto ci sarebbe già, una masseria posta al centro dei terreni avuti in gestione ma che è ancora dei proprietari) dove per esempio si potrebbe portare avanti un’idea di presidio della cipolla di Acquaviva per il recupero del calzone agrodolce di Valenzano…
E ancora, si parla in questi giorni con il comune di Valenzano della presa in gestione di un garage confiscato alla mafia e di 1 ettaro di terreno su cui la cooperativa farà nascere entro 1 anno 40 orti da dare in gestione ai privati.
«Perché trasformare un bene confiscato alla mafia in bene dedicato alla comunità – ci dice Santoro salutandoci – significa lenire quelle ferite che la mafia ha procurato al territorio» ma il suo sguardo è già oltre, sta pensando ad altre mete da raggiungere e ad altri obiettivi… sociali.
di Caterina Cappelluti Altomare