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venerdì, Gennaio 31, 2025

Intervista a Lino Patruno

Sono passati tre anni dalla prima edizione, il testo è stato presentato in vari contesti riscuotendo successo e stimolando il dibattito. A riscriverlo oggi, cambierebbe qualcosa? La lezione comincia ad essere appresa? È ottimista?

Cambierei, nel senso che aggiungerei altri casi di successo che si sono intanto sviluppati al Sud, sia fra imprese, sia fra startup, sia fra meridionali che si affermano ovunque. E sono sempre più sorprendenti. Quanto alla lezione, chi ce la fa al Sud nonostante tutto è una lezione sul campo. Dubito che chi la dovrebbe imparare abbia intenzione di farlo: basta vedere il tentativo di imporre quell’autonomia differenziata che sarebbe una ulteriore discriminazione contro il Sud. E però è avvenuto per il Sud qualcosa di significativo. È avvenuto che dal Covid in poi il Sud sia cresciuto non solo più del Centro Nord, ma anche dell’Europa nel complesso e addirittura di Paesi come il Giappone, gli Stati Uniti, il Canada. Parlo di percentuali di crescita, sia chiaro. Perché questo? Perché, magari anche senza volerlo, al Sud si sono investiti fondi del Pnrr e dello Sviluppo e Coesione: così confermando che, se sul Sud si riprende a investire, il Sud cresce e fa crescere anche il resto d’Italia. Ma era dalla Cassa per il Mezzogiorno che lo Stato non investiva sul Sud considerandolo uno spreco. Mentre ancora una volta si è dimostrato che la chiave dello sviluppo dell’intero Paese è al Sud, che l’Italia cresce se si danno al Sud i mezzi sempre negati per crescere. Ottimismo? Senza ottimismo non si fa neanche uno spillo.

Dove si annidano le maggiori resistenze?

Nei poteri forti del Paese: la grande industria, le grandi banche, la grande finanza, i grandi giornali. E in generale in una organizzazione economica che ha sempre riservato al Sud il ruolo di portatore di braccia (la forza lavoro di riserva della quale parlava Marx). L’industria si doveva sviluppare al Nord e il Sud doveva dare l’emigrazione per farla andare avanti. Emigrazione quindi non casuale, ma decisa a tavolino. Questo dal dopoguerra in poi, a cominciare da quel “Miracolo economico” che senza gli emigrati meridionali non ci sarebbe mai stato. Ma c’è una resistenza anche in chi, stando al Sud, ha interesse a tenerlo succube dell’assistenza piuttosto che dargli i mezzi per fare da solo. Ricattabile cioè dalla politica, dalla quale deve dipendere tutto: un posto di lavoro in cambio del consenso elettorale. Non parlo di voto di scambio, ma di politica “estrattiva”: non do i mezzi al Sud, a cominciare da servizi e infrastrutture, anzi glieli tolgo per lasciarlo sempre così. Dipendente. Ma poi il Sud riesce a fare il più col meno, cioè la lezione che il resto d’Italia deve imparare.

Il Sud deve diventare più Sud, cioè potenziare i suoi aspetti identitari. La qualità della vita ha nel Sud indicatori diversi da quelli del Nord: la lentezza è un punto di forza?

C’è stata finora (dalla rivoluzione industriale del ‘700 in poi) l’idea che la modernità coincida con la velocità. È moderno (e funziona) ciò che è veloce. Il Sud dimostra che c’è una diversa modernità, per la quale la lentezza non è un problema ma un punto di forza. Una lentezza finora considerata un crimine della ragione e ora rivalutata anche da chi l’ha considerata la vera causa dell’arretratezza del Sud. Sappiamo invece che l’incompleto sviluppo del Sud e il famoso divario derivano dalla discriminatoria politica dei vari governi la cui spesa pubblica è sempre stata maggiore per ogni cittadino centrosettentrionale rispetto a ogni cittadino meridionale. La famosa spesa storica: si è sempre fatto così. Ora succede che in tutto il mondo si cerchi la lentezza come nuovo stile di vita. Chiaro che non si pensa all’icona del messicano (con tutto il rispetto) che se ne sta immobile a cuocere al sole sotto il suo sombrero. Lentezza significa non privare la propria vita personale di momenti e di aspetti e di valori che non siano legati a una produttività ossessionata. È una riscoperta che riguarda tutto il mondo, come le mille iniziative e i mille esempi dimostrano. A cominciare dalle dimissioni di massa che sono seguite al Covid, lavoratori che hanno detto: devo pensare anche a me. Il Sud è questo, quindi è il nuovo modello mentre prima glielo rinfacciavano come una vergogna e come il suo peccato mortale.

Innovazione, creatività, imprenditorialità trovano nel suo libro esempi d’eccellenza nel Sud. Eppure i nostri giovani continuano a cercare lavoro e affermazione professionale nel Nord, in Europa e nel mondo senza barriere. Dal suo osservatorio prevede una emigrazione di ritorno?

Non la prevedo io: c’è. Un controesodo non di massa, ma continuo. Lo ha favorito anche lo smart working. Lo favorisce il lavoro davanti a un computer che non impone più una sede. E poi, quasi centomila ragazzi ogni anno lasciano il Nord per andare all’estero. L’Italia è tutta così, non solo al Sud. Ma il Sud diventa il nuovo senso della vita e ritorna la vecchia promessa.

A cura di Mariarosaria De Lumé – giornalista

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