In lode del vino di Gianni Seviroli
A declamar m’accingo la bevanda
che più di tutte l’altre si fé amare,
nell’epoche più varie e in ogni landa,
fra monti, fiumi, laghi, terra e mare:
del vino intendo, breve la parola,
ma storia molto lunga da narrare,
che originata in Africa, poi vola
ovunque fra i millenni. Lì agli inizi
cresceva l’uva bianca, nera e viola,
sul fertil’ Nilo, rio sacro agli Egizi
ove Osiride a morir fu gettato.
Da Iside, stando a mitici indizi,
par ch’ei fu tra i viventi riportato
per giudicar i morti e far feconda
la terra. Ma rimanendo al passato
ed alle origini della gioconda
usanza di coltivare la vite
per poi spremerne il frutto, la seconda
tesi v’è certo nota cari, udite,
è quella del dio Dioniso, ossia Bacco,
che dalle ninfe fu allevato e, mite
bambino, chicchi d’uva mangiò un sacco
dai tralci che la grotta sua non d’uomo,
ma di dio, facean bella. Poffarbacco,
crescendo cosa fec’ei tomo tomo?
Il modo trovò d’inventare il vino:
per far felice l’uomo rio e il buonuomo,
offriva quel suo nettare divino
a ognuno, e tutti dopo l’ossequiavano
con risa e canti… Ma svio un attimino
l’attenzione dalla Grecia: mi stavano
aspettando coloro che convinti
son che la vite inve’ la coltivavano
ai primordi gli Indiani. Da dipinti
antichissimi par che il nostro succo,
da loro molto amato, desse ai vinti
o ai vincenti, per non restar di stucco
o peggio di fronte a nemico o a sorte,
presagi e visioni. Chissà se ciucco
era l’oracolo che vita o morte
nel vino andava a leggere! Ed ora,
a prescindere da ciò spero forte,
e tal speranza il mio rimar rincuora,
che mi si riempia un buon bicchiere. Ma
quante ipotesi son rimaste ancora:
dei fossili ritrovati qua e là
su tufi di Provenza e Lombardia
ci dicon che lì l’uva venia già
pigiata anticamente in allegria.
Omero la fé bere a Polifemo
per man d’Ulisse, il quale sulla via
del suo ritorno il ciclope fe’ scemo.
E l’uve di Sicilia Anacreonte
cantò pure, assieme all’amor – qui gemo –
erotico. Ma ampliamo l’orizzonte
delle origini della lieta usanza
di far con l’uva il vino: un’altra fonte
di tale uman diletto trova istanza
nell’Enotria, Italia meridionale
in greco: la parola stessa avanza
l’ipotesi del luogo originale
di tal coltura. E dunque con orgoglio
il verso ora vo ad aggiustar di sale,
poiché quei vini ricordare voglio
del Salento che san’ di mirto, pino,
fichi, rucola, finocchietto e scoglio…
Ah, non l’ho detto? Sono Salentino,
e garantisco per la Malvasia,
il Negroamaro ed ogni rosso vino,
ma pur per il rosato… una magia!
Ma ecco che negli occhi, tutta intera
la Puglia mi si staglia… bella mia…
In ogni dove uva c’è, sincera:
Aglianico, Bombino, Leverano…
qui a nominarle tutte è impresa vera…
Verdeca, Ostuni, Galatina, Fiano…
E ancor chiamato vengo, ma più forte,
da mill’altri vitigni: “Italiano
sono anch’ïo, e l’ sarò fino a morte!”
Se v’ho scordati, io maledetto sia,
ma a tutti quanti apro le mie porte,
ché amo ogni buon vin d’Italia mia.
E riprendendo il passo, adesso vo
dal re Salomone, la cui maestria
spazio trovò nella bibbia: un po’
di vino ei consigliò a vecchi e ammalati
nei proverbi, sapendo quanto può
far bene in certi casi delicati.
E per associazione vo a citare
Noè, il qual per sé, pei figli amati
e pei posteri, prese a coltivare
la vite, avendo cura ogni segreto
nei dettagli a loro di confidare
su come si fa il vin da un bel vigneto,
e ciò per evitar l’orrendo rischio
che il vin da botte non fosse secreto
un sol dì nel lor futuro. Rimischio
ora un po’ le carte… e vo alla preistoria:
fra i primitivi il più anzian con un fischio
la sera dava inizio alla baldoria
e tutti insieme attorno ad un gran fuoco
col vino davan luogo a bevitoria.
Col tempo si calmarono non poco,
ma ad ogni modo, allora come adesso,
ber vino non è esattamente un gioco,
si beva allor non proprio tanto spesso,
che poi si rischia mai di soddisfar
la sete. E qui coi miei versetti cesso;
m’appresto in fretta tutti a salutar.
È sera, e com’ogni misero umano,
la quiete bramo dopo il travagliar.
Allor vo a cena e col bicchiere in mano
al vino brindo, di cuore e di testa,
che sull’umanità come un sovrano
ancor regna, seco recando festa
e dolore, gioia, riso e allegrezza.
E brindo infine all’uva nella cesta,
a tutto il suo candore, alla purezza,
all’eleganza bella e all’armonia
del succo suo che par magica brezza…
Per sempre sia pigiata, così sia.