Muti testimoni della storia di Puglia, l’aria a volte un po’ arcana, stanno lì da secoli, portatori di una bellezza cui spesso ci siamo assuefatti. Sono i rosoni, candidi merletti di pietra che impreziosiscono le facciate delle chiese di tutto il territorio pugliese, da Monte Sant’Angelo a Santa Maria di Leuca, e oggi protagonisti del progetto “I rosoni di pietra”. Lanciato nei mesi scorsi a Bari dalla “Compagnia degli Exsultanti” per dare avvio all’iter di riconoscimento agli stessi del titolo di Patrimonio Mondiale Unesco; tasselli di un mosaico artistico, ma soprattutto sapienziale, incastonato nella pietra da uomini antichi che non avevano smarrito la visione dell’unità del creato. Al contrario di noi.
C’è il rosone della Cattedrale di Gravina, che rievoca l’antico luogo di culto costruito nel 1095 dal signore normanno Unfrido d’Altavilla e distrutto nel 1456 da una calamità naturale: ventiquattro raggi e al centro il bassorilievo della Madonna Assunta. C’è quello dell’Abbazia di San Leonardo di Siponto, a pochi chilometri da Manfredonia, che a mezzogiorno del solstizio d’estate viene colpito dal Sole, delineante al centro della navata principale una rosa luminosa di undici petali che si proiettano su una croce intagliata nel pavimento. Lo stesso effetto si produce nello stesso giorno a Carovigno, dove il Sole a partire dalle ore 16.30 proietta al centro della vecchia navata e indi sul pavimento, attraverso il rosone della Chiesa madre, il suo disco infuocato. Abbagliante per la bellezza spartana, a Laterza, anche il rosone della Chiesa di San Lorenzo Martire, armoniosa fusione tra elementi di architettura dalmata e il romanico pugliese: una semplicità che richiama la sobrietà del rosone della Cattedrale di Trani, a sedici raggi come quello della Chiesa madre di Matera.
Niente a che fare con l’opulenza del rosone barocco di Santa Croce a Lecce, ricamo di pietra – probabilmente tra i più fotografati al mondo – così perfetto da poter quasi percepire, avvicinandosi al sagrato, i profumi delle sue ghirlande e il fruscio d’ali dei suoi angioletti. Meno famoso, ma probabilmente anteprima proprio di quello leccese – per identità dei progettisti – il rosone della Chiesa madre di Minervino di Lecce, eretta nel 1573 ad allargamento di un precedente luogo di culto sempre dedicato a San Michele Arcangelo. Anche qui uno di quei fenomeni che fanno la gioia degli appassionati di archeo-astronomia, perché nei giorni intorno all’equinozio di primavera e d’autunno il Sole al tramonto colpisce esattamente la parte alta dell’abside, penetrando appunto attraverso il rosone e disegnando un disco luminoso sulla parte orientata a est del tempio, in direzione della Terra Santa. Un patrimonio di bellezza secolare che attendeva di essere guardato con occhi nuovi, avverte Antonio Gelormini, presidente della “Compagnia degli Exsultanti” e dunque promotore della campagna di sensibilizzazione per ottenere il riconoscimento Unesco: «L’obiettivo principale è quello di accrescere il livello di consapevolezza delle comunità locali, che “possiedono” questi manufatti preziosi da secoli ma ormai li guardano distrattamente».
I rosoni compresi nel progetto sono quelli della Cattedrale di Troia, dell’Abbazia di San Leonardo di Siponto, del Duomo di San Pietro a Cerignola, della Cattedrale di Bovino, di San Francesco Fasani a Lucera e di San Severino abate a San Severo per la provincia di Foggia; nella Bat i rosoni della Cattedrale di Trani (lato mare) e di Barletta; nel Barese, i due della Cattedrale di Bari (facciata e abside) e quello di Ruvo di Puglia, della Cattedrale e della Madonna delle Grazie di Gravina, di Sant’Eustachio ad Acquaviva delle Fonti, delle Cattedrali di Bitonto, Altamura e Conversano, della Madonna della Greca di Locorotondo, di San Domenico a Monopoli, di Santa Lucia a Gioia del Colle, della Chiesa della Madonna di Loreto a Mola di Bari, del Duomo e dell’Assunta di Giovinazzo, della Chiesa madre di Noci, della Chiesa di San Michele a Bitetto e della Madonna Veterana a Triggiano. E, ancora più giù, quelli della Chiesa del Cristo di Brindisi, della Cattedrale di Ostuni, della Chiesa madre di Carovigno, di San Giovanni Battista a Fasano; di San Domenico Maggiore a Taranto, della Cattedrale di Manduria, della Chiesa matrice di Grottaglie, della Chiesa di San Lorenzo a Laterza. E poi Lecce: il rosone della Cattedrale di Otranto, quello della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, quello della Chiesa di Cristo Re a Santa Maria di Leuca, di Santo Stefano a Soleto, della chiesa di San Michele Arcangelo a Minervino, e quello appunto della Basilica di Santa Croce nel capoluogo salentino.
Sono idealmente disposti lungo un asse territoriale che comprende tre punti forti: il rosone della Cattedrale di Troia, quello del Duomo di Ostuni e quello della Chiesa madre di Otranto. Ma il progetto, le iniziative di promozione e gli itinerari artistici che ne potranno scaturire saranno di quelli per cui i viaggiatori di qualità sarebbero disposti a tutto: «Necessari una presa di coscienza collettiva di tanto valore, un modo inedito di narrare la Puglia e un nuovo modello di sviluppo per la rinascita che parta dai piccoli comuni, dai piccoli centri», conclude Gelormini, che con la Compagnia degli Exsultanti sta girando il territorio regionale per illustrare l’iniziativa e raccogliere proseliti entusiasti, tra cui alcuni atenei e molte associazioni. Il 21 dicembre la prossima presentazione a Cerignola; poi, presto, toccherà a Roma, forse al Senato.
di Leda Cesari