Aree protette e parchi
Immaginiamo di avere foglio e matita a portata di mano. Al centro del foglio, una linea retta. Se ci chiedessero di segnare due punti su quella linea, uno rappresentante la natura e l’altro simbolico della cultura, dove li posizioneremmo? Probabilmente, il senso comune ci porterebbe a segnarli ciascuno ad uno degli estremi. Dopo tutto, siamo abituati a considerare natura montagne, boschi, mari e animali, e cultura tutte le opere umane: automobili, città, arte, etc.
È questa la dicotomia che sfruttiamo nell’interpretazione della realtà circostante, come se l’uomo, a un certo punto del suo cammino evolutivo, avesse portato i suoi passi al di là del regno naturale, per imboccare i sentieri della società. Eppure, discipline come le Scienze naturali e ambientali, l’Antropologia, o la stessa Storia ci insegnano quanto cultura e natura siano strette in un unico nodo onnicomprensivo. Invero, proprio in base ai suoi rapporti con l’ambiente, l’uomo regola modi di pensare, attitudini e attività, secondo più prospettive. L’antropologo contemporaneo Gisli Pàlsson ne identifica due fondamentali e opposte. La prima prospettiva concepisce la natura secondo logiche di esplorazione, conquista e sfruttamento. In questo schema, la natura si presenta come tabula
rasa
che l’uomo ha il diritto di plasmare secondo le sue necessità. La seconda prospettiva è di matrice paternalista e disegna piuttosto rapporti di protezione. In questo caso, la presa di coscienza degli effetti ecologici dell’agire umano porta alla ricerca di un equilibrio nella relazione con la natura. L’uomo, dunque, assume volontariamente il ruolo di custode: vigila sull’ambiente e sugli animali, mettendoli al riparo delle sue stesse influenze.
Proprio nell’intersezione fra le due prospettive, si colloca il bisogno di vigilare sulla natura, pur nella consapevolezza che abitarla significa inevitabilmente modificarla.
Esistono dei luoghi, però, in cui l’uomo non scende a questo compromesso, e sceglie di adottare atteggiamenti puramente paternalisti. Si tratta di una sorta d’istinto primitivo: sin dall’antichità si avvertì il bisogno di considerare e utilizzare un territorio (o sue parti) in maniera “diversa”, perché le sue caratteristiche lo rendevano speciale. Alcuni studi fanno risalire questa pratica a 40.000 anni fa. Sull’asse temporale, ad esempio, sono espressione del sentimento paternalista i “boschi sacri” delle culture celtica e romana, o la “riserva di caccia” tipica dell’età carolingia, oppure i giardini medievali. La svolta si verificò proprio nel meridione italiano, nel 1826, quando nel Regno delle Due Sicilie si vollero conservare i boschi di Montecalvo, San Vito e di Calvi.
Oggi, nel Mezzogiorno, e in particolare nella Puglia, la prospettiva paternalistica è madre e ospite di due parchi nazionali, tre aree marine protette, sedici riserve statali e diciotto aree protette regionali. Questi numeri rendono la regione un territorio meravigliosamente ricco in termini di biodiversità. Secondo le stime, la Puglia accoglie circa il 40% delle specie vegetali italiane e quarantasette degli habitat naturali europei.
Partiamo all’esplorazione di questi labirinti nostrani, in cui le corsie della cultura e i corridoi della natura s’incrociano infinitamente. Per motivi di spazio, non potremo illustrare tutte e 39 le aree speciali che costellano il territorio, ma ci immergeremo in un itinerario che attraversa la Puglia da nord a sud, puntando verso alcuni dei cuori verdi di ogni provincia.
Scivolando sul dorso adriatico italiano, la “terra fra i due mari” riserva al viaggiatore la sorpresa di un lago e di un fiume: il Lago di Lesina e, più in basso, il Fiume Ofanto.
Sulle sponde orientali del primo, in provincia di Foggia, sorge un’area naturale
protetta. Istituita nel 1981 come area di ripopolamento animale, la riserva conta 930 ettari fra zero e due metri sopra il livello del mare, e ospita due habitat protetti dalla direttiva UE Habitat: le “Lagune costiere” e gli “Stagni
temporanei mediterranei”, che si declinano in quattro fasce di differenti vegetazioni. Questa ricca flora è nido di variopinte specie di uccelli, fra i quali vengono recentemente segnalate le presenze del merlo acquaiolo e del fenicottero rosa. Anche le acque lagunari sono popolosi microcosmi di varietà animali come cefalo, orata, spigola, biscia d’acqua e insetti dell’ambiente di palude.
Il ricco patrimonio naturale e culturale del Fiume Ofanto, invece, è tutelato dal Parco Naturale Regionale del Fiume Ofanto. Il corso d’acqua che attraversa le province di Foggia e BAT, è testimone tacito e antico di numerosi avvenimenti storici, come la seconda guerra punica, ovvero la Battaglia di Canne (216 a.C.). Oggi, le rive dell’Ofanto riaffermano nel presente la loro importanza, non solo storica (un ponte Romano ancora lo attraversa a Canosa di Puglia, dal I secolo a. C.) ma anche naturalistica. La vegetazione conta straordinari boschi di querce, frassini, pioppi, salici, olmi, canneti e vegetazioni palustri. Sacerdotesse di questi luoghi sono le voci delle numerose specie d’uccelli che nidificano lungo il fiume (come l’airone cenerino, il martin pescatore, la beccaccia di mare, il cormorano, il piro piro, il grillaio e tantissime altre varietà).
Nell’area fra le braccia azzurre del Lago di Lesina e del fiume Ofanto, il Parco Nazionale del
Gargano si estende su un’area di oltre 120.000 ettari: incastonato fra arcipelaghi e antiche foreste, accoglie un gran numero di habitat diversi. In seno al parco, trovano spazio varie aree protette, come la Riserva marina delle Isole Tremiti, i cui fondali e grotte brillano di suggestiva bellezza. Spingendosi nell’entroterra del promontorio del Gargano, sopravvive la Foresta Umbra, un habitat risalente all’epoca preistorica. L’area garganica deve la sua ricchezza di habitat e biodiversità alla sua stessa conformazione morfologica. Infatti, centinaia di milioni di anni fa, quando ancora gli Appennini iniziavano ad emergere, il Gargano era un’isola che solo nel tempo si ricongiunse alla terra ferma. La sua origine isolana gli ha lasciato in eredità un cuore verde adornato da ghirlande di laghi costieri, collane d’isole dirimpetto, foreste costiere di pini e lecci e coltivazioni di mandorli, aranci e ulivi.
Imboccando sentieri più a sud, tra Bari e BAT, incontriamo l’ultimo custode della steppa mediterranea in Italia: il Parco Nazionale dell’Alta Murgia. La sua superficie si estende dall’Adriatico ai Lucani, pullula di rocce calcaree, tufi, bauxite, e depositi d’argilla che s’alternano al verde di pinete e boschi. Nelle fitte trame di cardoncelli, funghi, lampascioni, asparagi selvatici, muschi e licheni s’inseriscono armoniosamente muretti a secco e masserie, fiorenti centri economici dell’Italia rinascimentale. Proprio qui, lo stupor mundi, Federico II di Svevia, fece erigere la maestosa residenza di caccia Castel del Monte nel XIII secolo, e ancora oggi rapisce lo sguardo del visitatore.
Spostandoci a sud-ovest, sui versanti ionici del tarantino, la Riserva Naturale Regionale del Bosco delle Pianelle si estende su un territorio di 1.205 ettari: un’oasi di bellezze naturali sui fianchi dell’omonima gravina. La magia dei suoi boschi è spettatrice del fenomeno dell’inversione termica (la temperatura dello strato atmosferico aumenta con la quota, anziché diminuire). Proprio quest’ultima propizia una straordinaria varietà della flora. Non meno ricca si mostra la fauna del bosco: volpi, tassi e donnole abitano gli incantevoli boschi di lentischi, orchidee selvatiche e corbezzoli.
Tornando sulle sponde adriatiche, il nostro viaggio porta i suoi passi nella Riserva Naturale Statale Torre Guaceto, a 17 km a nord di Brindisi. L’area di 110 ettari include una riserva marina e una riserva terrestre, entrambe con elevati tassi di biodiversità. Un ecosistema tra i più ricchi del Mediterraneo, fatto di dune incontaminate pullulanti di numerose specie animali, praterie di posidonia e splendide formazioni coralline. Nel 2019, il Marine
Conservation Institute (una delle più importanti fondazioni mondiali per la tutela degli ecosistemi marini) ha riservato uno dei suoi Blue Park Award a Torre Guaceto, la prima in Italia a ottenere questo riconoscimento prestigioso.
Portiamo più in basso la nostra esplorazione, mantenendoci sulla costa orientale. Nel leccese, la Riserva
“Le Cesine” (dal latino “seges”, ovvero “zona incolta”) gestita dal WWF, si estende per 348 ettari. Nello scrigno verde di quest’area, s’intrecciano dune, aree palustri e macchia mediterranea. L’orchidea spontanea (e le sue declinazioni in 32 specie), l’iris giallo, la violaciocca di mare e il ginepro si alternano in questo habitat incontaminato, attraversato dai voli di aironi, germani reali e farfalle colorate. I due stagni all’interno di questo scrigno di biodiversità ospitano rane, rospi e tritoni. Tra i rettili spiccano la testuggine palustre e il colubro leopardino. Non sono assenti i mammiferi, tra cui il tasso, la faina, il cinghiale e il lupo.
Miriamo finalmente alla punta del tacco, procedendo verso Santa Maria di Leuca. Sul litorale che collega Otranto a Tricase, il Parco Naturale Regionale Costa Otranto – Santa Maria di Leuca e Bosco di Tricase è un susseguirsi di meraviglie all’incrocio fra natura e cultura: dai pittogrammi della Grotta dei Cervi alle stalattiti della Zinzulusa, fino alla plurisecolare Quercia Vallonea di Tricase (unico esemplare in Europa occidentale): la costa propone agli occhi del visitatore spettacoli sempre diversi ad ogni sguardo. I muretti a secco serpeggiano fra i lecci e le distese di finocchi di mare che, in prossimità dell’acqua, lasciano il passo alle suggestive falesie a picco (fra i pochi esemplari di coste alte e rocciose sopravvissute sul territorio nazionale).
L’esplorazione di questi ricami naturali, dei loro mosaici colorati, ci riconduce inevitabilmente ad un contatto profondo con la natura.
Una natura che, simultaneamente, tutela i suoi tesori, ma senza bandirci: anzi, ci invita a contemplarli, e a considerarli emblemi delle nostre irresistibili pulsioni difensive. Ammirandoli, impariamo a guardare dentro noi stessi e a conoscerci: prendiamo coscienza di quanto siamo inscritti nelle logiche della natura, di quanto la realtà social non ci potrà mai davvero separare da lei, e di quanto abbiamo bisogno di proteggerla, per proteggerci.
di Ilenia Orsi
Pubblicato il 04 ottobre 2022 ore 10:43