Elogio del Trullo, è il titolo del bellissimo libro di Giuseppe Giacovazzo, edito da Dedalo nel 2012, purtroppo l’ultimo dell’autore, pochi mesi prima della morte. Una raccolta di storie, memorie e testimonianze tra i paesi e le campagne della Valle d’Itria; racconti, uno per ogni lettera dell’alfabeto, incarnati nelle esperienze concrete delle persone e nei ricordi tramandati e custoditi, di generazione in generazione, o rinvenuti negli archivi. “Scrivi solo quando sei certo di aver fatto esperienza della fondatezza delle notizie”, la regola di Giacovazzo, direttore negli anni Ottanta de La Gazzetta del Mezzogiorno.
L’innovazione dell’opera è nella conoscenza integrata delle storie. I trulli protagonisti plurisecolari, dal Quattrocento in poi. Meglio co-protagonisti, perché i veri costruttori, “creature-prodigio”, come diceva Il Salmista (139,14), sono stati i contadini-coloni, che con il loro coraggio e il loro spirito hanno trasformato la miseria in un’opera via via salvifica per sé, la famiglia e le comunità. Servi del signore, braccianti, poi piccoli proprietari, autonomi e intraprendenti, attivi nella campagna e nei mercati. Giacovazzo segna un nuovo inizio nella interpretazione delle vicende umane. Giornalista tra i migliori, l’amore per il teatro, scrittore, e poi politico per 10 anni (1987-1996) fedele alla lezione di Aldo Moro. Impegno illuminato dai valori dell’umanesimo cristiano. Vicende dei contadini ri-vissute alla luce di Umanesimo integrale di Jacques Maritain, e del personalismo di Emmanuel Mounier, letture raccomandate da Paolo VI, Papa Montini, già assistente della Fuci negli anni della transizione dal fascismo al dopo-dittatura. “La Puglia è persona”, afferma Giacovazzo. Così i contadini, da servi della gleba, diventano generatori di dignità e di libertà economica.
I trulli simboli di riscatto e di bellezza artistica. La terra inospitale e conosciuta per il legno delle querce indispensabile per costruire imbarcazioni da guerra (le origini di Alberobello in un documento del 1272 sono da rintracciare in sylva aut nemus arboris belli) rigenerata in un sistema eco-produttivo: da micro-comunità agro-pastorali alla qualità produttiva (cereali, uliveti e frutteti) in comunità ramificate.
Giacovazzo supera anche l’impostazione accademica e specialistica, (idrogeologica, ambientale e sociologica). Oltre la trattazione sociale di Tommaso Fiore, nelle lettere a Gobetti nel 1925 e 1926, del “popolo di formiche”. Tanto meno indulge al richiamo del grande successo turistico, grazie anche al riconoscimento del Trullo da parte dell’Unesco come patrimonio culturale dell’umanità.
I trulli “cuore” della narrazione, nell’accezione di Pascal di fonte della ragione, luogo attivo di un paesaggio interiore e antropologico, nel quale briganti, baroni e contadini trovano il loro ruolo storico. La bellezza dei paesaggi o delle opere dell’uomo non è trascrivibile con le semplici parole, la bellezza vive nell’armonia e nelle voci che da essa sgorgano. Il 19 febbraio 2004, nell’Aula Magna Aldo Moro, le autorità accademiche, guidate dal rettore Giovanni Girone, presentaronoPuglia. Il suo cuore, grande libro sempre di Giacovazzo, tradotto in inglese. Le due opere dovremmo leggerle insieme. Giuseppe De Tomaso, direttore de La Gazzetta e allievo di Giacovazzo, in un articolo, riporta una frase imperdibile di Lord Warwick: “Non è Giacovazzo che scrive, ma il suo trullo”. Con il migliore pensiero umano, razionale e spirituale insieme.
L’anatomia architettonica del trullo è un osanna alla sostenibilità. Entrando nel “Trullo Sovrano” ad Alberobello, sede del museo della Valle d’Itria, gli oggetti parlano. È l’unico con un piano sopraelevato, costruito con la malta, sovrano perché è il più grande e ricco di simboli, la cupola conica alta 14 metri al centro di un gruppo di 12 coni, costruito in più fasi, dagli inizi del 1600 alla metà del 1700, completato nel 1796 per conto della famiglia del sacerdote Cataldo Perta. Ignoto il maestro murario: dai microcantieri dei trulli, riparo per attrezzi e animali con costruzioni a secco con le pietre calcaree della Valle, alle costruzioni più ardite.
Coloni e piccoli costruttori sono i veri attori di questa epopea via via estesa ad un’area tra le tre province, Bari-Taranto-Brindisi, partendo dai nuclei originari delle proprietà dei conti Acquaviva di Conversano che alla fine del XV secolo decisero di attirare coloni nel loro territorio offrendo immunità. I coloni, in fuga dalle terre d’origine con conti in sospeso con la giustizia o a causa dei debiti, occuparono le colline, tra le quali quella di Alberobello. I conti Acquaviva obbligavano a costruire le abitazioni a secco, da smantellare nel caso di controlli della corona. Nel XVII secolo l’accelerazione: dalle zone calcaree un flusso continuo di chianche e chiancarelle per costruire cisterne, pavimenti con base quadrangolare e mura portanti a secco con un’inclinazione verso l’interno, per motivi statici e in modo da ridurre il diametro della costruzione fino a raggiungere un’apertura minima per arrivare al cono superiore. Continui i simboli religiosi, tra questi il pinnacolo, elemento di congiunzione tra terra e cielo e di equilibrio umano-cosmico. Tecnica costruttiva, capacità di convogliare le acque piovane fino alla cisterna evitando le infiltrazioni nella parte abitata, orto, bosco, ecco il miracolo della Puglia “Murgia dei Trulli” che oggi comprende 21 comuni nell’ambito territoriale del piano paesaggistico.
Giacovazzo abitava nel suo trullo nella campagna di Locorotondo, via vai di intellettuali e persone di ogni livello sociale. A pochi passi, lungo la strada per Cisternino, il ristorante Casa mia, con Vincenzo pronto a cucinare e imbandire. Leonardo Sciascia, collaboratore de La Gazzetta, innamorato della Puglia, da Racalmuto giungeva al trullo. Ascoltava da Giacovazzo le storie e le vicende elettorali con Moro, ucciso dalla Brigate rosse nel maggio 1978. Il libro L’affaire Moro è stato preparato nel trullo.
Il trullo aiutava i racconti. Lo scrive, con parole indimenticabili, Andrea Camilleri che in un trullo tra Locorotondo e Alberobello, sulla collina, trascorse la luna di miele con la moglie. La scelta del trullo la fece Giacovazzo: tre coni, frutteto, boschetto, casa con l’orto. In questa “reggia” Camilleri felice. Il suo pensiero: “Il fatto sorprendente di abitare un trullo è che questo ti impone una nuova visione del mondo. Dentro il trullo non esistono spigoli, esiste la circolarità. Te ne accorgi solo dentro. Lo sguardo che i muri determinano ti obbliga a pensieri circolari e questo, in circostanze normali, accade raramente. Il nostro sguardo negli ambienti normali incontra di continuo spigoli, triangoli, punte che interrompono la visione e quindi l’osservazione.
Nella visione interna del trullo, invece, il coordinamento del pensiero scorre in modo fluido soprattutto nel caso di una invenzione narrativa o poetica. Se penso al trullo penso immediatamente alla circolarità del pensiero del trullo”. L’asserto di Dostoevskij, “la bellezza che salverà il mondo”, rivela la sua autenticità. Dai ruderi e dalla “selva della guerra” alla luce della bellezza della vita.
di Tonio Tondo