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giovedì, Gennaio 30, 2025

I trulli di Valle d’Itria tra miti e realtà

Un tempo agile meta delle giovani scolaresche, i trulli di Valle d’Itria rappresentano oggi uno dei richiami più iconici e attrattivi del turismo internazionale in Puglia.

Dico di Valle d’Itria perché ne troviamo in varie altre zone e non solo da noi. In Turchia, nel nord Africa, in Grecia, perfino nel sud della Francia, simil-trulli ci riportano alla notte dei tempi. Ma è qui che tra le tipologie di costruzioni a secco, ampiamente collegate alla presenza di pietra calcarea nella Murgia a cavallo tra le antiche Peucezia e Messapia, troviamo i nostri, frutto forse di una plurimillenaria evoluzione. La Puglia è stata terra di approdi, dagli antichi Illiri provenienti dal nord della Grecia ai fuggitivi dalle devastazioni in epoca minoica di Creta e Santorini fino all’arrivo, tra miti e realtà, degli eroi troiani. Parrebbe quindi agevole potersi agganciare ad origini orientali per definire la nascita di costruzioni tanto semplici quanto ardite. Ma perché in Valle d’Itria, la valle “dell’acqua” in cui, forse, si celebrava il culto della Madonna dell’Idris (presente anche a Matera nell’area del Sasso Caveoso)?

 Molto si è scritto su una prima ipotesi evolutiva di strutture originarie del medio Oriente e poi progressivamente giunte fino a noi, magari lungo i percorsi dei cavalieri che all’epoca delle Crociate attraversavano la Puglia utilizzando le antiche vie romane: la Vecchia Appia e l’Appia Minucia Traiana. Percorsi lungo i quali, per ordine dei papi, venivano allestiti punti di accoglienza e ospizi gestiti dagli Ordini Monastici, Priorati e Cavalieri di Malta. Parrebbe quindi trovare concretezza l’ipotesi di uno sviluppo della costruzione a “tholos”, a falsa cupola, con il rivestimento esterno in “chiancarelle”, i sottili pacchetti di cui sono spesso fatti i calcari di Bari, rocce compatte intercalate da dolomie di colore grigio disposte in strati o banchi. E certamente questa morfologia non può non aver influenzato la concentrazione dei trulli in quell’area della “Grande Selva di Monopoli” che, all’epoca delle Crociate, comprendeva circa 42.000 ettari.

Una seconda ipotesi, altrettanto concreta, vuole i trulli evoluzione autoctona di capanne primitive con stimoli dettati dalla storia dei luoghi. Durante la guerra gotica (535-553) tra l’impero bizantino e gli Ostrogoti del re Totila e anche in seguito, le popolazioni costiere erano state costrette a fuggire all’interno, portando con sé tradizioni e capacità costruttive che forse si affiancarono a quelle già esistenti. L’antico centro messapico di Egnathia venne distrutto nel 542 e una parte della sua popolazione, lì presente fin dal XV secolo a.C., si trasferì nei casali interni. Nel Medioevo furono gli assalti saraceni e successivamente quelli turchi a decretare una maggiore sicurezza di vita nei territori della Valle d’Itria, benché gli insediamenti collinari (Martina Franca, Locorotondo, Cisternino, Ostuni) testimonino l’esigenza di mantenere comunque attenzione e difesa.

Nel 1481 è il re di Napoli Ferdinando I, detto don Ferrante, a concedere ai conti Acquaviva di Conversano, in ricompensa dei danni subiti nelle lotte contro gli invasori turchi, il luogo chiamato Sylva aut nemur arboris belli (bosco dell’albero della guerra) e questo è il significato di Alberobello: albero della guerra. Si è infatti storicamente individuata in quell’area boschiva la presenza di una quercia dal legno particolarmente adatto alla costruzione di imbarcazioni da guerra. Nell’emanazione da parte di Ferdinando I delle Prammatiche, disposizioni che stabiliscono regole e obblighi per i residenti, viene concesso ai contadini il diritto di pascere gli animali, raccogliere il legname e costruire abitazioni in pietra, con il tassativo divieto di utilizzare leganti come calce e malta in modo da mantenere una sorta di provvisorietà che consentisse l’allontanamento in qualsiasi momento degli indesiderati. In caso di nuove costruzioni permanenti sarebbero stati dovuti i tributi di spettanza regia.

Nel 1644 è il conte Giangirolamo Acquaviva, detto “il guercio di Puglia”, sulla base delle Prammatiche ancora vigenti, in occasione di una ispezione tesa a verificare i contributi da pagare al re di Napoli, a ordinare la demolizione delle casedde; operazione eseguita in una sola notte, tanto che gli ispettori regi non accertano la presenza delle abitazioni, che verranno successivamente ricostruite. È solo nel 1797 che si otterrà dal re Ferdinando IV di Borbone la liberazione dalla soggezione feudale degli Acquaviva.

La struttura dei trulli, il cui nome deriva dal greco trullos, cupola, è accostata all’antica copertura a tholos, la costruzione circolare caratteristica del mondo antico come gli ipogei con corridoi e pseudocupola ogivale della civiltà micenea e come la tomba “a cappuccina”, anch’essa ipogeica, di epoca etrusco-romana. Costruzioni in pietra a secco, quali i pagliari, sono presenti in varie configurazioni in tutta la Puglia, così come ci colpiscono per la loro arcaicità quei trulli ancora esistenti lungo la Costa Ripagnola, la fascia di terra agricola situata tra le frazioni di Cozze e San Vito, a ovest di Polignano. La differenza con questi, tuttavia, è notevole, poiché i trulli murgiani sono più grandi e tecnicamente più complessi. La struttura autoportante interna, detta in vernacolo cannéla, costituita da conci in pietra calcarea (le “pietre-cannéle”) e completati in cima da una lastra orizzontale a chiusura dell’occhio rimasto libero, viene infatti prima rivestita da un misto di pietrame e terra, per poi essere completata e tutelata da cerchi di pietre lastriformi risultato dello sfaldamento naturale della locale roccia e poste con una pendenza verso l’esterno di circa 3°. La plurisecolare facilità di reperimento di queste lastre sfaldate è certamente legata alle operazioni di dissodamento e pulizia dei campi per la preparazione alla semina (i “pastini”). L’assenza di malta consente all’aria di circolare liberamente tra le lastre e fa del trullo una perfetta costruzione solare passiva, con una differenza tra interno ed esterno di circa 10°.

Oggi i complessi di trulli, specie se associati ad altre costruzioni quali le “lamie” o parti di più ampie masserie e ristrutturati alla contemporaneità, stanno vivendo una nuova vita. Resta il sapore del tempo, in un armonico collegamento con la natura e il tessuto agrario a misura d’uomo di cui la Valle d’Itria è preziosa testimonianza. Agli operatori del settore turistico il compito di trasmettere agli ospiti che giungono anche da molto lontano il piacere della scoperta e il desiderio di saperne di più.

di Eugenio Lombardi-architetto

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