Viaggio nella storia di Brindisi Da Roma al Mediterraneo
Nel 1884 un alto prelato brindisino riuscì a istituire, a Brindisi, il primo Museo archeologico della città. Si chiamava Giovanni Tarantini e, oltre a possedere una sua collezione d’antichità, come molti uomini colti del tempo, avviava e dirigeva scavi in città, in qualità di referente della Soprintendenza alle “Opere di Antichità e d’Arte della Puglia”.
La prima sede del Museo fu il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, un tempo Chiesa di San Giovanni, edificata dall’ordine cavalleresco dei Canonici Regolari del Santo Sepolcro intorno al 1100, nel cuore del centro storico di Brindisi.La piccola struttura, a pianta circolare, accolse alcune collezioni private e le scoperte più significative degli scavi condotti dal Tarantini.
Ben presto, però, il Museo si rivelò troppo piccolo e nacque l’esigenza di una sede più idonea ad accogliere i recenti e sempre più numerosi rinvenimenti di antichità. La soluzione fu trovata grazie all’impegno congiunto dell’amministrazione provinciale di Brindisi e di un altro brindisino d’eccezione, l’avvocato Gabriele Marzano. Intorno alla metà del 1900, la Provincia di Brindisi promosse la costruzione di un edificio che accogliesse una grande Biblioteca e il Provveditorato agli Studi, in uno dei luoghi più significativi di Brindisi: Piazza Duomo. Il Marzano, appassionato d’archeologia e ispettore onorario del Ministero della Pubblica Istruzione, comprese da subito che quella sarebbe stata la sede ideale per il Museo archeologico e, con impegno e convinzione, riuscì a far passare (almeno parzialmente) la sua proposta. Nel 1952 ottenne, infatti, che al Museo fosse dedicata un’ala del Palazzo. Successivamente, intorno ai primi anni Ottanta, con il trasferimento della Biblioteca e del Provveditorato in altri edifici, il Museo archeologico di Brindisi rimase l’unico “inquilino” del palazzo progettato dall’ingegnere Antonio Cafiero. Il Museo fu intitolato a Francesco Ribezzo, glottologo e archeologo brindisino, esperto in lingua e civiltà messapica, e fu inaugurato nel 1954. La sede di Piazza Duomo, tra la Cattedrale dedicata a S. Giovanni Battista, il Palazzo Vescovile, il Palazzo del Seminario Arcivescovile, con la splendida facciata e le sue otto statue in pietra, progettato nel 1720 da Mauro Manieri (oggi sede della Biblioteca Arcivescovile “A. De Leo”), l’antico Portico dei Cavalieri Gerosolimitani, il Palazzo De Marco e l’inizio di Via delle Colonne, è uno dei punti più suggestivi della città, anche perché racchiude e abbraccia, in un emiciclo, le tracce del presente e del passato “più spirituale” di Brindisi. Durante i lavori di sbancamento del suolo, prima occupato da un Ospedale Civico, furono infatti ritrovate numerose parti di strutture pertinenti a edifici cultuali antichi, con templi e capitelli di notevole importanza artistica. Lo stesso Marzano, che aveva documentato lo scavo, avanzò l’ipotesi che nell’area di Piazza Duomo poteva identificarsi l’acropoli brindisina.
Ancora troppo poco conosciuto, il Museo Ribezzo racchiude una storia millenaria e racconta di una città la cui vita si è intrecciata, nel tempo, alla storia di popoli e culture diversi. Racconta di un elemento vitale, il mare, che è stata la sua più grande risorsa. Racconta di donne colte, di mercanti generosi, di viaggi avventurosi, di una città operosa, di arrivi e partenze continue, di naufragi, di case per la vita e per la morte. Un museo di circa 3000 mq, su tre piani, articolati intorno a un ampio cortile interno, in cui sarcofagi, capitelli monumentali ed elementi scultorei di diversa epoca e dimensione, in un’atmosfera un po’ decadente ma suggestiva, introducono a un viaggio da cui il visitatore uscirà stupito ed emozionato.
Il nucleo espositivo originario, quello di San Giovanni al Sepolcro, fu arricchito dai materiali provenienti dagli scavi del Tarantini, poi del Marzano, quindi dalle indagini più moderne e scientifiche condotte, a partire dalla fine degli anni Settanta del Novecento, dalla Soprintendenza archeologica della Puglia e dalla missione archeologica della Libera Università di Amsterdam, rispettivamente a Brindisi, con la scoperta dell’insula romana di S. Pietro degli Schiavoni, della domus di San Giovanni al Sepolcro, della necropoli di via Cappuccini, e a Valesio, in località Santo Stefano.
Negli anni dal 1988 al 1990, il Museo ha promosso campagne di scavo in località Giancola, in collaborazione con l’Università di Siena, portando alla luce importanti impianti manufatturieri databili fra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale, come due grandi fornaci per la produzione di anfore commerciali.
Sempre negli stessi anni, ha avviato un importante progetto di ricerca e analisi dei fondali marini fino ad allora poco conosciuti. Le numerose campagne di prospezioni archeologiche sul litorale brindisino, da Egnazia a Torre San Gennaro, hanno costituito un altro capitolo, importante, della vita della città di Brindisi e del suo Museo.
Infine, la scoperta dei Bronzi di Punta del Serrone, nel 1992, cambiò definitivamente l’equilibrio espositivo del Ribezzo, costituendo uno dei cardini su cui fu costruito il nuovo allestimento museografico, inaugurato nel 2009. Le ricerche subacquee, condotte dall’Università del Salento, in collaborazione con la neonata Soprintendenza del Mare e con la Regione Puglia, costituiscono oggi una delle principali fonti di conoscenza e valorizzazione della storia della città e del Ribezzo, nei cui uffici dallo scorso anno ha sede l’ESAC, acronimo inglese del Centro Euromediterraneo per l’Archeologia dei Paesaggi Costieri e Subacquei.
Le ricerche archeologiche, sinteticamente evocate, unite al nucleo originario del Museo ottocentesco, con l’aggiunta della collezione archeologica “Annibale de Leo”, affidata al Ribezzo dalla Curia arcivescovile di Brindisi, della Collezione “Gorga”, di proprietà del Ministero della Pubblica Istruzione in concessione al Museo dal 1954, e della collezione dell’avvocato Marzano, acquistata dal Museo nel 1989, costituiscono il multiforme ed eccezionalmente ricco patrimonio storico- archeologico del Museo Francesco Ribezzo.
Il percorso espositivo è articolato in sei sezioni: l’Antiquaria, l’Epigrafia e la Statuaria, la Preistoria, La Messapia, Brindisi Romana, l’Archeologia Subacquea. Vediamole in dettaglio, soffermandoci – per obbligata necessità di sintesi- sugli oggetti più rappresentativi di ogni ripartizione.
La visita ha inizio nell’atrio del Palazzo e nel porticato che circonda il cortile centrale, proseguimento ideale e moderno dell’adiacente e suggestivo Portico dei Templari.
Qui sono collocati materiali archeologici eterogenei: ceppi d’ancora in piombo, sculture e stele onorarie di primo secolo a.C., sarcofagi in tufo e vari elementi architettonici appartenenti a edifici cittadini rappresentativi, di cui non è sempre noto il contesto. Degni di attenzione sono due grandi capitelli con scene figurate, appartenuti all’abbazia benedettina di Sant’Andrea (XI secolo d.C.), ubicata all’ingresso del porto di Brindisi, sulle cui rovine Alfonso I d’Aragona fece costruire il suo Castello, a difesa della città.
La prima sezione raccoglie il nucleo originario del Museo che, come abbiamo ricordato precedentemente, è il risultato di collezioni di varia origine (dalle prime esposte a S. Giovanni al Sepolcro a quella del Marzano, ultima in ordine di acquisizione), di cui quasi mai è noto il contesto di provenienza. L’allestimento, in questo settore, procede quindi per classi di materiali disposti in vetrine monotematiche: ceramica, manufatti in bronzo, terrecotte figurate, terrecotte architettoniche, lucerne, oggetti in vetro, monete. Si offre, così, al visitatore un campione di oggetti scelti per rarità di forma e di decorazione, in linea con il gusto estetico tipico del collezionismo ottocentesco.
Notevole la raccolta di terrecotte figurate e di antefisse, ma anche di ceramica attica con decorazione a figure nere e rosse, di ceramica apula con decorazione figure rosse, di ceramica indigena della Messapia, con una particolare quantità e varietà di trozzelle, e di ceramica in stile di “Gnathia”, dalla tipica decorazione sovraddipinta in ocra, rosso e bianco su fondo nero.
Tra i vasi attici a figure nere più significativi, un frammento di kylix con personaggi danzanti affrontati e una coppa schifoidale con un auriga in corsa su biga, risalenti rispettivamente alla fine del VI e agli inizi del V secolo a.C.
L’esposizione prosegue nel piano sotterraneo, dove è ospitata la sezione epigrafica e statuaria, che ha conservato inalterato l’allestimento iniziale di metà Novecento. Il Ribezzo possiede una delle più ricche collezioni di epigrafi in lingua latina di tutta l’Italia.
Questa collezione, già nota al Mommsem nel 1883, è cresciuta nel tempo grazie alle numerose scoperte archeologiche effettuate in città e nell’ager brindisino, nel corso degli anni. La documentazione epigrafica illustra il tessuto sociale, economico, culturale, politico e amministrativo del municipio brindisino, integrando le informazioni desunte dalle fonti letterarie antiche e dai ritrovamenti archeologici. Numerose anche le epigrafi in lingua greca, sia funerarie che onorarie, attestanti la presenza di stranieri provenienti dal Vicino Oriente, impegnati in traffici commerciali su Brindisi, come nel caso dell’iscrizione dedicata a Farione, mercante di Laodicea di Siria.
La capacità degli scalpellini locali di eseguire bene testi sia in greco sia in latino è rappresentativa della posizione e della funzione strategica della città e dei suoi abitanti, sempre in contatto con idiomi greco-orientali.
Completano la collezione epigrafica tre iscrizioni in lingua ebraica, di cui una in onore di una giovane donna morta prematuramente, a cui il dedicante augura le siano aperti i giardini dell’Eden. Al centro della sala, tra le iscrizioni, sono esposte numerose sculture di età romana, provenienti dalla città. Si tratta di statue decorative di età repubblicana, statue iconiche e ritratti di età imperiale, sia femminini sia maschili, che trovano un coerente riscontro con le testimonianze edilizie della stessa epoca, consentendo di valutare il livello e il segno culturale dell’apparato decorativo, scultoreo, che caratterizzava l’edilizia pubblica e privata della Brindisi romana, nella fase più significativa del suo sviluppo urbano.
Tra le raffigurazioni di personaggi maschili, notevole interesse riveste un torso loricato di età tardo repubblicana che, insieme alla statua ritratto di togato capite velato, sono emblematiche del periodo relativo a quel momento della storia in cui Brindisi divenne municipium di Roma e fu teatro ricorrente di operazioni politiche e militari. Anche la statua di una figura femminile, interpretata come la personificazione di Roma-Virtus in veste amazzonica, concorre a integrare una forte appartenenza al mondo romano e a i suoi antiqui mores. Terminata questa prima parte espositiva, ereditata essenzialmente dal nucleo originario del Museo (e quindi maggiormente influenzata da una più antica tipologia di allestimento museale), il percorso prosegue al primo piano e si articola in senso cronologico, ricostruendo la storia della città di Brindisi dai primi insediamenti alle ultime e più recenti scoperte.
Si parte dalla sezione dedicata alla Preistoria, periodo in cui la presenza umana a Brindisi, e nel brindisino, risulta già abbondantemente attestata.
L’esposizione è caratterizzata dalla ricostruzione di diversi aspetti della vita e delle attività nel territorio brindisino dal Paleolitico Superiore al Neolitico, dall’Eneolitico all’età del Bronzo, con l’ausilio di esaustivi pannelli didattici. Ognuno di questi periodi è caratterizzato dal rinvenimento di materiale ceramico, lapideo e metallico, in siti ben documentati grazie a numerose campagne di scavo condotte dall’Università di Lecce, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della Puglia e il Museo Ribezzo.
Si passa dall’esposizione di strumenti litici risalenti al Paleolitico superiore, da Torre Testa, alla produzione vascolare ad impasto, di uso domestico, del Neolitico, proveniente da insediamenti agricolo-pastorali di varie località: Francavilla Fontana, Torre S. Susanna, Lama Morelli.
L’età dei Metalli è maggiormente documentata per la presenza di numerosi insediamenti costieri e dell’entroterra, da Torre S. Sabina, Torre Guaceto e Punta delle Terrare a Grotta Morelli, Grotta S. Angelo, Grotta del Gatto Selvatico e Cellino S. Marco.
Notevoli, pure, i materiali ceramici risalenti all’età del Bronzo, che presentano numerosi confronti iconografici con il repertorio decorativo della ceramica di Laterza.
Il rinvenimento, a Punta delle Terrare, in un insediamento costiero a sud del porto di Brindisi, di ceramica micenea conferma l’ininterrotto scambio commerciale fra la costa adriatica della Puglia e i centri di irradiazione culturale del mondo Egeo. Il momento finale dell’età del Bronzo, che segna poi l’inizio di un periodo più vicino a noi, è documentato a Torre Guaceto, noto insediamento costiero a nord-ovest di Brindisi. I reperti ceramici rinvenuti consentono di ipotizzare la presenza di un abitato inquadrabile cronologicamente tra il Bronzo Medio e la seconda età del Ferro.
Siamo ormai nella Puglia degli Japigi. Ben presto l’arrivo dei greci, con il fenomeno della colonizzazione in Occidente, a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C., determinerà quella frantumazione culturale dell’unità indigena in tre sub-regioni: Daunia, Peucezia e Messapia. Brindisi rientrerà, di fatto, nel distretto culturale della Messapia, che per prima risentirà dell’influenza greca, anche perché geograficamente in contatto costante con il mondo egeo.
L’esposizione introduce, ora, il visitatore alla scoperta dei Messapi, attraverso l’ausilio di carte geografiche e di pannelli didattici, con il richiamo alle fonti letterarie ed epigrafiche che attestano la presenza, nel brindisino, di numerosi insediamenti messapici, sia della costa sia dell’entroterra: Egnazia, Carovigno, Ceglie, Oria, Francavilla Fontana, Mesagne, Latiano, S. Vito dei Normanni, Valesio.
Nelle vetrine sono esposti corredi tombali acquisiti attraverso scavi, donazioni e sequestri, in una forma differente rispetto a quanto visto nella sezione antiquaria. Qui, in una sola tomba, ritroviamo insieme diverse classi ceramiche, così come accadeva nel momento della loro deposizione.
Numerose sono le lastre funerarie e cultuali con iscrizioni in lingua messapica, accompagnate da pannelli che illustrano le analogie tra l’alfabeto greco e quello messapico, proponendo per alcune iscrizioni anche traduzioni e interpretazioni.
La ricostruzione di una tomba a cassettone rinvenuta a Valesio, con una parete interna decorata con fiaccola demetriaca e piccola iscrizione messapica dedicata alla sacerdotessa di Demetra, aggiunge fascino a una sezione che merita il tempo e l’attenzione del visitatore.
L’esposizione prosegue al piano superiore. Da una piccola scala si accede ad una grande sala, dove un corridoio introduttivo, rivestito da qualche metro di accurati pannelli esplicativi, fronteggiati da vetrine con resti di anfore e di materiale vario, ritrovati nell’area del porto, preparano bene ad un notevole salto cronologico e culturale. Siamo nella sezione della Brindisi romana, suddivisa in area urbana e area necropolare. L’area urbana è declinata, a sua volta, in quattro zone diverse, ma complementari: il porto, gli edifici religiosi, il foro, l’edilizia civile.
Il porto di Brindisi, scenograficamente rappresentato da una gigantografia, a destra di chi entra, e dalla ricostruzione della prua di una nave oneraria romana, a sinistra, fu la fortuna della città messapica.
I romani, dopo il 244 a.C., anno della fondazione della colonia latina di Brundisium, lo preferirono al porto di Taranto, spostando progressivamente ogni interesse commerciale dalla città di Taras a quella di Eracle. La presenza di numerose testimonianze epigrafiche, in questa sala, documenta di commerci importanti e floridi, di mercanti che transitavano da Brindisi e che nel suo porto trovarono anche un riposo tranquillo e sicuro.
La collocazione, al centro della sala, di un plastico che riproduce l’impianto produttivo delle fornaci di Giancola, dove anfore vinarie e olearie erano fabbricate a migliaia, e a ritmo incessante, rende bene l’idea dell’ampiezza dell’attività commerciale e portuale brindisina. Non mancano i riferimenti alle fonti letterarie che ricordano il porto di Brindisi, come alcuni passi di Ennio e Plinio, e la traduzione di Marina Silvestrini di una delle epigrafi più toccanti del Ribezzo, quella “del mercante ignoto”, risalente al I secolo d.C.
Dalla sala del porto, si accede alla seconda sotto-sezione della Brindisi romana, dedicata al foro, il luogo in cui si svolgeva la vita politica e culturale della città. La ricerca archeologica ha attestato che l’area del foro, attualmente identificabile con la zona del mercato coperto, era ricca di edifici importanti e di sculture, di iscrizioni dedicatorie e onorarie, confluite nel Ribezzo. Tra queste, si segnalano epigrafi che raccontano il cursus
honorum di magistrati brindisini nel periodo in cui la città divenne municipium, da cui si evince una totale adesione alle cariche magistratuali di Roma; epigrafi attestanti il sincretismo religioso e la libertà di culto, di cui godeva la città; iscrizioni che dimostrano l’esistenza del culto dell’imperatore, attraverso la presenza di Augustali e Mercuriali. E ancora busti di personaggi illustri e sculture di soggetto ideale.
Protagonista di questa sezione è senza dubbio la statua acefala di Clodia Anthianilla, con il suo basamento iscritto, che racconta la storia di una giovane donna appartenente a una importante famiglia del municipio, considerata benemerita nei confronti di Brindisi e morta prematuramente. Le fu dedicata una statua nel foro intorno al 144 d.C., un onore rarissimo per una donna. Nell’iscrizione incisa sul basamento della statua, si sottolinea che i “progressi” di Clodia Anthianilla “splendidi, anche al di sopra della sua età, erano attesi tra gli ornamenti” del municipio brindisino, ma non è esplicitato per quale attività la fanciulla dimostrasse doti così notevoli. Una delle proposte interpretative più attendili ha ipotizzato che Clodia fosse una promettente letterata, con una propensione verso la condivisione pubblica, sociale, del suo ruolo culturale.
Una passerella, con la riproduzione grafica di una parte del tracciato della Via Appia, conduce il visitatore mentre distoglie lo sguardo dalla statua di Clodia, posta a sinistra dell’antica via, nell’area dedicata all’edilizia privata.
La localizzazione delle domus brindisine è da identificare, con molta probabilità, nell’insula di San Pietro degli Schiavoni, scavata – come abbiamo ricordato precedentemente – alla fine del secolo scorso.
Lungo il percorso sono esposti pavimenti a mosaico, stucchi e intonaci dipinti, provenienti in prevalenza da quest’area. Tra i mosaici, merita particolare attenzione una pavimentazione completa, rinvenuta in via Carmine, bicroma (in bianco e nero), raffigurante un labirinto con al centro la ricostruzione del suo emblema, riproducente Teseo e il Minotauro. Tutt’intorno al labirinto, il perimetro di una città dotata di cinta muraria con porte e torri, sulle quali poggiano piccoli passerotti, forse allegoria di Brindisi.
Nelle vetrine, si espongono alcuni elementi rappresentativi degli arredi interni delle domus più importanti: oscilla in terracotta, grandi dischi marmorei e fittili, elementi tubolari in osso, cerniere di armadi lignei, chiavi in bronzo e in ferro di porte e forse anche di scrigni. Una ricca documentazione numismatica, compresa in una teca posta alla fine della sala, rinvenuta sia in contesti funerari che in prossimità di quartieri abitativi e di aree monumentali e termali, scandisce il passaggio dall’area abitativa a quella necropolare, esterna al circuito abitativo della città.
Una serie di pannelli e un plastico ricostruttivo della necropoli di via Cappuccini introducono il visitatore al regno dei morti e ai suoi rituali funerari. Le numerose vetrine racchiudono oggetti di rara bellezza, corredi funerari di uomini, di donne e di bambini, in cui figurine e giocattoli in terracotta si alternano a gioielli raffinati, oggetti di toelette in osso e avorio, servizi di vasi per banchetto, cinturoni in bronzo, strigili, dadi e pedine da gioco. Notevoli i piccoli lacrimatoi in vetro, deformati dal fuoco della pratica dell’incinerazione, collocati dai familiari accanto al defunto, sulla pira.
Uscendo da questa sezione, in cui pure non mancano epigrafi funerarie in lingua latina e messapica, si entra nell’ultima macro-sezione del Museo Ribezzo, dedicata all’archeologia subacquea, i cui materiali provengono dalle ricerche effettuate lungo il litorale brindisino, da Egnazia a Torre S. Gennaro, fra il 1972 e il 2007.
Ora sembra di entrare in un altro museo, per la vastità del materiale esposto e per la diversità dell’allestimento, più recente rispetto a quanto già visto. È senza dubbio un itinerario suggestivo quello che si segue nelle quattro grandi sale che compongono questa sezione. Attraverso la presenza di ceramica d’importazione, sculture, anfore e anforette da trasporto, ceppi d’ancora in piombo, ancore in pietra, si ripercorrono le vicende storiche che hanno visto impegnati il porto di Brindisi e gli approdi minori di Savelletri, Egnazia, Torre Guaceto, Apani e Giancola. L’obiettivo è di cogliere le connessioni che la civiltà pugliese, nella fattispecie brindisina, ha intessuto con il mondo balcanico, la Grecia e l’Egeo orientale. Protagonisti indiscussi di questa sezione, sono i bronzi ritrovati nel 1992 nelle acque di Punta del Serrone.
Un’altra storia incredibile che ci racconta come il mare, per un destino già scritto o per pura casualità, abbia custodito per centinaia di anni opere destinate alla fusione, grazie a un “naufragio fortunato”. Tra il VI e il V secolo d.C., una nave proveniente dal Mediterraneo orientale colò a picco a 400 metri dagli scogli affioranti di Punta del Serrone, a nord di Brindisi. Il suo era un carico particolare. Conteneva oltre settecento frammenti di statue in bronzo, di cui solo duecento riconducibili a forme ben definite.
Opere intenzionalmente demolite, per dismissione, destinate alla fusione. La datazione dei reperti rinvenuti abbraccia un ampio periodo, compreso fra la seconda metà del IV secolo a.C. e l’età romana imperiale. Si tratta di opere di alto livello stilistico, varie sotto l’aspetto tipologico. Una multiforme umanità di bronzo, tra divinità, eroi, imperatori e filosofi, forse appartenuti a un ricco collezionista greco o al tesoro di un santuario della Grecia o del Mediterraneo orientale. Tra i frammenti di statue più notevoli, impossibile non citare il busto maschile, possente e atletico, identificato da Paolo Moreno con Lucio Emilio Paolo, il console romano che nel 168 a.C. trionfa sulla Macedonia, e gli occhi espressivi della testa del cosiddetto “filosofo”, in cui lo stesso studioso ha riconosciuto Antistene, il discepolo di Socrate che nel 399 a.C., alla morte del maestro, fonda la setta dei Cinici. Quest’ultima statua sarebbe stata realizzata, poco dopo la metà del IV secolo a.C., dal bronzista ateniese Silanion. Lasciando i bronzi di Punta del Serrone, una passerella conduce alla fine del percorso, dando l’impressione di essere appena sbarcati da una nave. Si scende, infatti, attraverso la stiva di quella prua con gli occhioni neri che avevamo visto nella sala del porto. Si osservano le anfore ben stipate e, attraverso ormeggi, ancore, boe, si torna sulla “terra ferma”, certi che il visitatore non potrà non ricordare questo viaggio così particolare, e che tornerà per “sentire” ancora quel profumo di mare e di storia millenari che il Ribezzo, al cuore di Brindisi, custodisce e valorizza.
Breve bibliografia di riferimento
- Antonazzo, R. Auriemma, G. Tinunin(a cura di), Nel Mare dell’Intimità. L’archeologia subacquea racconta il Salento, cat. Mostra Brindisi, Aeroporto del Salento, 5 luglio 2019- 5 luglio 2020, Brindisi 2019.
- Cassano, M. Chelotti, G. Mastrocinque, Paesaggi urbani della Puglia in età romana. Dalla società indigena alle comunità tardoantiche, Bibliotheca Archaeologica 55, Bari 2019.
- Marinazzo, MuseoArcheologico Provinciale Francesco Ribezzo, Roma 2009.
- Marinazzo, I Bronzi di Punta del Serrone. Dal mare al Museo Provinciale di Brindisi, Bari 2010.
- Marinazzo, Iconografia femminile. La documentazione archeologica del Museo “F. Ribezzo”, Brindisi 2011.
- Ferrandini Troisi, Iscrizioni greche d’Italia, Roma 2015.
- Silvestrini 2013, Aspetti istituzionali e sociali delle colonie latine dell’Apulia et Calabria, in Epigrafia e Territorio. Politica e società. Temi di antichità romane LX (serie a cura di M. Chelotti e M.Silvestrini), Bari, pp. 171-191.
di Daniela Ventrelli
Pubblicato il 12 settembre 2022 ore 13:43