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martedì, Dicembre 3, 2024

Il Museo Castromediano tra tradizione e rinnovamento – Parte prima –

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

La terra degli Iapigi – così gli antichi greci e latini chiamavano la nostra regione – è ricca come poche di tesori archeologici. Il perché è presto detto. Da sempre è un crocevia di uomini e genti, lingue e culture, merci e idee che si susseguono, ancora oggi, quasi senza soluzione di continuità.



La comprensione della straordinaria complessità del mondo antico che l’evoluzione della scienza archeologica ha reso possibile è oggi il miglior strumento disponibile per condividere memorie, contaminare stupore e restituire identità alle comunità di riferimento. Più di qualcuno è convinto che l’arte sia un linguaggio le cui più rilevanti espressioni siano ormai fruibili da un’elite di iniziati (1), e che il più delle volte e quasi per caso, attraverso mediazioni e giudizi qualificati si possa arrivare ad una effettiva comprensione. Ovviamente l’affermazione è riferita all’arte contemporanea. Ma io aggiungo che – se mai dovesse essere vera – lo sarebbe a maggior ragione per le opere antiche, quelle che attengono all’archeologia, vale a dire al logos, ragionamento, sugli inizi della storia dell’Uomo, della sua quotidianità, dei suoi linguaggi e quindi anche dell’arte.

Questo dell’arte come linguaggio non fruibile da parte di tutti è un po’ l’arcano su cui i professionisti del museo Castromediano – curatori, operatori, ricercatori e professori, archeologi, sociologi, architetti e informatici – hanno ragionato e ponderato, cercando di cavarne un significato convincente e che, al tempo stesso, evitasse banalizzazioni o, peggio, imprecisioni.

E la scelta, motivata e inevitabile, è caduta sul Paesaggio o, meglio, sui tanti Paesaggi che hanno plasmato nei millenni l’identità salentina e oggi la rappresentano. I nuovi percorsi allestiti del museo Castromediano vogliono essere il racconto del- l’articolato complesso caratterizzato dall’azione di fattori naturali e umani e dalle loro interrelazioni, prodotto del pensiero intelligente e del lavoro dell’Uomo nel corso dei millenni, una meravigliosa narrazione in cui è riportato, come parole su pagine di un immenso libro, l’avvicendarsi in questo territorio di stagioni e civiltà. Negli spazi architettonici aperti e ininterrotti dell’ex Collegio Argento, ridisegnati dall’architetto Franco Minissi, il viaggio tra e nei paesaggi del Salento è un’immersione totale, un risveglio di sensazioni e visioni, uno stimolo a guardare con i sensi, occhi, mente e cuore. È un itinerario tra mare e terra, tra spiritualità e sopravvivenza, tra preghiere di naviganti e favole di eroi, tra grotte magiche e segni di pietra, strumenti di lavoro, gesti quotidiani, storie di alterità e di amicizia. E come compagni di viaggio, un dialogo immaginato e possibile con l’arte contemporanea, la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto – in prestito dal Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli -, le visioni di luce del visual performer Hermes Mangialardo e la street art di Chekocs  e, ancora, la guida intelligente offerta dalla più moderna tecnologia, un’applicazione di intelligenza artificiale appositamente sviluppata da Noovle, società partecipata Google, che indirizzerà il visitatore/ospite verso ciò che più lo attira ed incuriosisce, filtrando le informazioni/narrazioni a seconda di età e interessi.

Cinque gli itinerari proposti: Paesaggi di Mare, Paesaggi di Terra, Paesaggi e segni del Sacro, Paesaggi dei Vivi e dei Morti; ai quali si aggiungeranno presto i Luoghi dello Spettacolo, la Stanza delle Meraviglie del Castromediano, il Laboratorio aperto “Dallo scavo al Museo”, la Pinacoteca con i suoi Paesaggi barocchi e salentini.

Alle raccolte litiche, vascolari, epigrafiche, collezionate dalla visionaria tenacia del Duca Sigismondo Castromediano e riportate alla luce dalla passione di archeologi, storici e letterati dell’allora ‘Commissione per i monumenti e le belle arti di Terra d’Otranto’ durante le campagne di scavo ottocentesche nell’intero territorio regionale, si aggiungono i risultati dello studio e delle ricerche sul campo condotte nella seconda metà del ‘900 dai direttori che si sono succeduti e, negli ultimi tre decenni, dalle equipe di archeologi dei diversi insegnamenti del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, in collaborazione e sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologica di Puglia.

Ogni Paesaggio è rappresentato da un reperto iconico, scelto e isolato per il messaggio intrinseco che reca e l’alto valore simbolico che lo caratterizza, e dalle parole di poeti, storici e geografi, antichi e non, che straordinariamente riassumono e concentrano il senso di ogni itinerario tematico.

All’inizio era il mare…

Fin dai tempi più remoti, il Salento è terra fruttuosa di scambi e contatti tra genti e culture diverse, aperta e intermedia tra un Oriente greco ed illirico da un lato e un Occidente italiota ed etrusco dall’altro. Le lunghe ed alterne frequentazioni dei suoi tanti approdi sull’Adriatico e sullo Ionio, i contatti e gli scambi con i siti dell’interno, favoriti dall’aspetto peninsulare e dalla natura pianeggiante dei luoghi, lasciano segni archeologici evidenti e continuativi, favorendo ed accelerando il processo di formazione dei tratti caratteristici delle genti iapigie, dalle quali si differenzieranno quindi i Messapi.

Grazie al mare, primaria e fondamentale via di comunicazione, merci preziose, manufatti esclusivi, oggetti ‘esotici’ viaggiano nell’intero bacino del Mediterraneo, vengono scambiati per stringere alleanze e sigillare amicizie tra elites dominanti, scelti per raffigurare il prestigio di una famiglia e distinguere modelli di vita aristocratici, selezionati per rappresentare l’immaginario di un gruppo e sedimentare storie e miti.

Il Mediterraneo rappresenta, dal II millennio a. C. fino ben oltre la fine dell’età antica, il più straordinario strumento di penetrazione delle civiltà e delle culture che inevitabilmente ambiscono ad affacciarvisi. Tutto attorno a questo mare si definiscono e si diffondono tecnologie, idee, costumi, divinità, alfabeti, ricette. Lo specchio d’acqua che va da Oriente verso Occidente pullula di mercanti e artigiani che trasportano e scambiano materiali preziosi e oggetti di uso comune, suppellettili e materie prime, forme ed immagini. E questi scambi e commerci, a loro volta, portano e trasmettono mode e idee, caratteristiche esotiche e storie millenarie, innovazione e tradizioni antichissime che rafforzano in modo esponenziale il valore distintivo dei semplici oggetti che passano di mano in mano.

Come le anfore per il trasporto di vino e olio preziosi, purtroppo mai giunte a destinazione, e i piatti da pesce dotati di incavo portasalsa che, sul principio del III sec. a.C., decoravano la ricca tavola di un antico abitante di questo lembo di Apulia. Mentre le prime testimoniano dei rischi e dei pericoli che correvano gli antichi mercanti (negotiator) per soddisfare bisogni primari legati al trasporto di beni di prima necessità, per lo più derrate alimentari (come cereali, vino, olio d’oliva, salse e conserve di pesce, carne, miele, sale), sotto forma di materie prime o semilavorate; i secondi  – con il loro rimando al cibo sottoposto a manipolazione (triturazione, cottura, ecc.) che bisogna di cuochi professionisti, di una coreografia della tavola e di grandiosi allevamenti (piscinae) dove i piscinarii allevavano e trattavano il pesce destinato ai banchetti – raccontano di un cambiamento e di una evoluzione delle antiche società verso il consumo e l’amore per il lusso, quella luxuria così censurata e pure ricercata, che divide inevitabilmente le genti ma unisce gli uomini nel nome delle imprese commerciali e del massimo profitto.

Nel museo Castromediano il viaggio nel Paesaggio del Mare, tra stive di navi con i loro  carichi di anfore d’olio e vino preziosi, attrezzi per la pesca e l’allevamento dei mitili di antichi villaggi di pescatori della costa salentina, ancore di pietra e di piombo, merci e oggetti pregiati e diversi arrivati per mare, relitti e carichi affondati trasformati in fondali marini e bombarde e cannoni per la guerra sul mare, si conclude con uno sguardo incantato sulle coste del Salento disseminate di approdi, imbarcazioni, grotte-santuario e preghiere di marinai.

Il grande cambiamento: da isolani diventano continentali… e fondano città

La storia del popolamento del Salento ha inizio nel Paleolitico medio, intorno ai 130.000 anni fa, e continua per tutto il Paleolitico Superiore (tra 40.000 e 10.000 anni fa): in un periodo di intense oscillazioni climatiche, le tante grotte della penisola offrono riparo ai gruppi di cacciatori-raccoglitori, prima Neanderthal e quindi Sapiens. Con la conclusione delle glaciazioni, tra 10.000 e 8.000 anni fa (Mesolitico), gli ultimi cacciatori-raccoglitori accedono a nuove aree, continuano ad utilizzare alcune cavità, ne occupano altre.

Ma è con il Neolitico, a partire da 8.000 anni fa, che nei modi di vita delle comunità del Salento si attua una vera e propria rivoluzione: dal mare giungono, attraverso un percorso di diffusione iniziato due millenni prima nel Vicino Oriente, piante, animali e un patrimonio di conoscenze indispensabile per praticare l’agricoltura e l’allevamento e, nei punti salienti del paesaggio salentino, in prossimità di fonti d’acqua e di buona terra, si impiantano villaggi di  capanne in legno e terra cruda.

Se per l’età del Rame non vi sono testimonianze sulle modalità di occupazione del territorio, nel II millennio a.C. la situazione cambia radicalmente. Da Otranto a Leuca e fin nel golfo di Taranto, tutta la costa, con le baie adatte all’approdo, è un susseguirsi di avamposti protetti da fortificazioni a controllo della navigazione di cabotaggio; mentre nell’entroterra, sulle alture delle Serre salentine, fiorisce una fitta rete di villaggi che dominano ampi territori con campi e pascoli, boschi e distese di macchia mediterranea e si alternano a strade, aree destinate alle sepolture e torri di avvistamento, le cosiddette “grandi specchie”.

Ciò che sappiamo di questa fase si deve soprattutto a Roca, un centro abitato sulla costa adriatica del Salento, un luogo speciale e carico di valori simbolici, destinato all’attraversamento del Canale d’Otranto – che proprio in questo tratto di costa raggiunge la distanza minima (70 km ca.) dalla sponda illirica -, un approdo strategico per le rotte di navigazione tra l’Egeo e il Mediterraneo, un luogo che, almeno sin dal II millennio a.C., ha avuto una sua precisa identità culturale, oltre che geografica. Le fasi storiche della grande Roca, dal XVI sec. a.C. al XV sec. d.C., sono raccontate dagli straordinari materiali – bronzi, ceramiche locali e di importazione, reperti in osso e oro – rinvenuti durante le indagini archeologiche da Cosimo Pagliara,  storico ed epigrafista, poliedrico interprete delle civiltà antiche dell’Italia meridionale, e allestiti nell’ampio spazio circolare centrale, quasi un enorme omphalos (ombelico), del progetto museografico di Minissi.

Tra X e VIII sec. a.C., i villaggi costieri si distribuiscono in luoghi difesi naturalmente, zone lagunari, promontori protesi sul mare, alture interne.

Le abitazioni sono semplici capanne con pareti e copertura di rami e canne, sostenute da pali ed impermeabilizzate con strati di argilla. L’economia è agricola, integrata dall’allevamento e non sembrano esistere classi sociali; emergono, di contro, alcune famiglie alle quali sono riservate capanne più grandi e sepolture monumentali (le cosiddette tombe a tumulo).

È in questo momento che comincia a delinearsi fra le comunità indigene della Iapigia una netta distinzione territoriale che porta alla formazione, intorno al VII sec. a.C., di tre regioni etniche e culturali distinte: la Daunia a nord, la Peucezia al centro, la Messapia a sud.

Qui, le case con tetti di tegole e muri di pietre gradualmente soppiantano le capanne in legno e argilla, ed elementi architettonici di tipo greco abbelliscono edifici civili e religiosi. Il modello insediativo prevalente rimane quello a villaggi sparsi che fanno capo a un luogo fortificato, dove riunirsi per prendere decisioni,  celebrare cerimonie religiose, difendersi in caso di pericoli. I recinti difensivi superano a volte i 4 chilometri e racchiudono superfici di quasi 100 ettari destinate a contenere, oltre a case e tombe, spazi agricoli e pascolo. La Messapia, terra tra mari, subisce per prima e più profondamente della Peucezia e della Daunia, l’influenza delle cultura greca. Dal mare arrivano l’alfabeto, i costumi e artigiani di ogni tipo. Le prime forme di scrittura,  già nel VI sec. a.C., servono a indicare la quantità delle merci scambiate, a incidere i nomi dei defunti sulle tombe, a segnare la proprietà di un oggetto e a ringraziare e propiziarsi gli dei. Da fabbri, scalpellini, muratori e ceramisti greci, i Messapi apprendono – prima degli altri popoli – l’uso del tornio per modellare i vasi e nuove tecniche edilizie che prevedono la lavorazione della pietra e dell’argilla.

Succede a Cavallino, dove nel VI sec a.C.  un insediamento di tipo protourbano è delimitato da un grande muro di fortificazione dotato di un fossato esterno e di grandi porte di accesso, o a Muro Leccese, che nella seconda metà dello stesso secolo si riorganizza in raggruppamenti distanziati di abitazioni collegate da strade dal tracciato irregolare e si dota una grande complesso residenziale che è luogo di incontro e autorappresentazione di gruppi aristocratici, o ancora a Soleto, dove, appena qualche decennio dopo, al posto delle capanne, si costruiscono case a più vani – alcuni dedicati ad attività produttive – con cortile interno, muri di pietra e pavimenti in battuto, allineate e affacciate su strade.  Vere e proprie città si riconoscono solo dalla metà del IV sec. a.C., articolate in spazi ad uso privato e aree pubbliche, cinte da mura possenti, con strade ordinate e case disposte in isolati e alternate ad aree destinate alle sepolture familiari. Succede a Manduria, Vaste, Valesio, Ugento, dove la cinta muraria raggiunge estensioni incredibili, ma anche in quei siti come Soleto o Muro Leccese che, tra la fine del IV e il III sec. a.C., si riorganizzano in senso urbano.

La realizzazione simultanea, o quasi, delle grandi fortificazioni è da mettere in relazione con i numerosi scontri tra Tarantini da un lato e Messapi e Peuceti dall’altro, e le alterne e complesse vicende militari che caratterizzano il corso del III sec. a.C., quando nel territorio apulo si aggirano eserciti greci guidati di volta in volta da generali spartani, re e principi epiroti, e poi truppe lucane e milizie bruzie (il Bruzio corrisponde all’attuale Calabria) e infine le Legioni di Roma, sempre più aggressive e determinate a conquistare queste terre ricche di storia e generose di risorse e materie prime. L’arrivo dei Romani, alla metà del III sec. a.C., porta profonde trasformazioni economiche e sociali. I segni più evidenti si traducono nell’adesione, più o meno spontanea da parte dei conquistati, ai costumi e al modo di occupare il territorio, al modo di vivere e di morire dei conquistatori, alla religione e alla lingua latine, vale a dire quel fenomeno complesso che va sotto il nome di romanizzazione. Il lungo e graduale processo di integrazione tra conquistatori e comunità salentine, si traduce nella trasformazione di Lecce in municipium romano (Lupiae), all’indomani della conclusione della guerra sociale (89 a.C.) e in concomitanza con il passaggio in queste terre di Ottaviano, futuro Augusto, nel 44 a.C. Due in particolare sono i segni archeologici, in città, dell’avvenuta trasformazione: il foro, centro della vita civile e religiosa, e i luoghi dello spettacolo e della socialità, il teatro e l’anfiteatro.

A modificare radicalmente la fisionomia delle campagne e l’organizzazione del paesaggio intervengono la centuriazione, ovvero la divisione della terra in tanti distinti appezzamenti, e l’impianto di nuovi assetti produttivi, con struttura e dimensioni differenti: basati sulle case coloniche dove nuclei unifamiliari praticano la policoltura per la produzione del necessario per vivere, oppure ordinati in lussuose residenze con largo uso di forza lavoro schiavile organizzata in colture specializzate (olio e vino) destinate alla vendita, o ancora  suddivisi in fattorie, dove un proprietario e pochi schiavi sono impegnati nella produzione destinata in parte al consumo in parte alla vendita. L’occupazione stabile del territorio è favorita da grandi e piccoli assi viari e, soprattutto, dalla costruzione delle vie Appia e Traiana che contribuiscono all’enorme sviluppo del porto di Brindisi. Da qui, le navi cariche dell’olio e del vino che giungono dalle campagne dell’entroterra salpano in direzione di tutti i principali mercati del Mediterraneo, da Oriente a Occidente. Completamente dissolta ormai l’antica tripartizione in Daunia, Peucezia e Messapia, riorganizzato il territorio in un sistema di autonomie cittadine (la Regio Secunda voluta da Augusto, con coloniae latine, romane e municipia), si va lentamente affermando l’Apulia et Calabria, istituita ufficialmente come provincia autonoma dall’imperatore Diocleziano nel III secolo (nella quale il Salento coincide, più o meno, con la Calabria). Alcune città (Canosa, Lucera, Egnazia, Brindisi, Bari) crescono di importanza, altre spariscono; le effettive specificità dei territori restano. Il paesaggio regionale dotato di grandi strade e un articolato sistema portuale si caratterizza per una solida e vivace organizzazione produttiva, ma la formazione di una vera e propria identità regionale sarà fenomeno recente e si concluderà non prima del VI secolo, mentre bisognerà attendere il pieno Medioevo perché Bari assuma una posizione di preminenza nelle terre di Puglia. Nel percorso a ritroso nel tempo del Castromediano, i diversi modi dell’abitare nel paesaggio salentino, dalle grotte del Paleolitico alle città strutturate ellenistiche e romane, sono fermati in altrettante istantanee fantastiche, che si succedono fluide sulle pareti del museo con i giochi di luce di Mangialardo.

NOTE

(1) Vanni Santoni, Il destino del romanzo, Parte prima,

I Tascabili 2018.

(2) Secondo la definizione ufficiale presente nel Codice dei Beni culturali e del Paesaggio  (D.Lgs. n.42/2004). Cfr. G. Morbidelli e M. Morisi (a cura di), Il “paesaggio” di Alberto Predieri, Atti del Convegno “Paesaggio: storia italiana, ed europea, di una veduta giuridica”, Firenze 11 maggio 2018, Firenze 2019 (anche in wwwaedon.mulino.it, n.3, 2019).

Per saperne di più cfr. Franco Cambi (a cura di), Manuale di archeologia dei paesaggi. Metodologie, fonti, contesti, Roma 2011, con  approfondimenti e materiali online consultabili anche su www.carocci.it.

(3) Secondo un principio di alternanza e sussidiarietà delle collezioni che ci consente di  implementare i percorsi espositivi, programmare grandi e piccoli interventi di restauro,  aprire i depositi, avere accesso ai risultati e ai materiali dei nuovi scavi archeologici, in una parola di essere #museoinmovimento.

(4) Oggi divenuta SABAP, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto

(5) Il seguente paragrafo è pubblicato in Mare Motus. Dalla Puglia al Mondo tra antico e contemporaneo, Catalogo della mostra Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare, Sfera Edizioni 2018, pp. 17 ss.

Per approfondire i Paesaggi di Mare: R. Auriemma, Salentum a salo, Galatina 2004; N. Chr. Stampolidis (a cura di), Sea Routes … from Sidon to Huelva. Interconnections in the Mediterranean 16th – 6th c. BC, Atene 2013; A. L. Tempesta, Merci, scambi, artigianato specializzato, in Capolavori del Museo Sigismondo Castromediano, I Quaderni del Museo Provinciale 2″, Lecce 2014, pp. 7 ss.; R. Auriemma (a cura di), Nel mare dell’intimità. L’archeologia subacquea racconta l’Adriatico, Catalogo della mostra   Trieste – Salone degli Incanti, 17 dicembre 2017 – 1 maggio 2018, Roma 2017.

Per approfondire i Paesaggi di Terra: AA.VV., I Messapi, Atti del Convegno internazionale di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1990; F. D’Andria, K. Mannino (a cura di), Ricerche sulla casa in Magna Grecia e  in Sicilia, Atti del Colloquio, Lecce 23-24 giugno 1992, Galatina 1996; Th. Van Compernolle, Dall’insediamento iapigio alla città messapica: dieci anni di scavi e ricerche archeologiche a Soleto (Lecce), in “Studi di Antichità” 11, 1998, pp. 149-167; L. Giardino, P. Arthur, G.P. Ciongoli (a cura di), Lecce, frammenti di storia urbana. Tesori archeologici sotto la Banca d’Italia, Catalogo della mostra Lecce, Museo Provinciale dicembre 2000 – marzo 2001, Bari 2000; V. Cazzato, M. Guaitoli (a cura di), Lo sguardo di Icaro.  Insediamenti del Salento dall’Antichità all’età moderna, Galatina 2005; D’Andria (a cura di), Cavallino. Pietre, case e città della Messapia arcaica, Ceglie Messapica 2005; E. Ingravallo, G. Aprile, I. Tiberi, La grotta dei Cervi e la preistoria nel Salento, Lecce 2019.

Anna Lucia Tempesta

 

 

 

di Anna Lucia Tempesta (foto di Raffaele Puce)

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