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giovedì, Novembre 21, 2024

La Cina era già vicina. Sabatino De Ursis dalla Puglia alla capitale dei Ming

Chi non ha canticchiato almeno una volta il ritornello di Battiato: “Gesuiti euclidei / vestiti come dei bonzi / per entrare a corte degli imperatori / della dinastia dei Ming”, o non ricorda le scene principali del film Mission magistralmente interpretato da Robert De Niro? Bene, quella canzone – destinata a diventare un tormentone per quelli della mia età – e quel personaggio, che portò alla ribalta l’indole del gesuita-modello, potrebbero essere riferiti, e senza bisogno di forzature, ad un salentino poco conosciuto, che nella missione si identificò e della missione fece lo scopo dell’intera vita. Sto parlando di Sabatino De Ursis (1575 – 1620) che per essere di Ruffano, paese troppo piccolo nella geografia del tempo, passò per leccese, pugliese ed addirittura napoletano, in quanto cittadino del Regno di Napoli. Ma gli storici di casa nostra, De Simone, Barrella, Foscarini e Vacca hanno fornito dati anagraficamente corretti, e per quanto abbia vissuto sempre in Cina ne hanno orgogliosamente sottolineato le radici salentine.

Di De Simone poi va detto che quando ebbe l’incarico di nominare le strade di Lecce, legò giustamente il suo nome alla piccola corte che chiude il lato nord della Biblioteca “Bernardini”, e che apre su via Roberto Caracciolo, perché la grande sala di lettura era inglobata nel vecchio Collegio dei Gesuiti: ai gesuiti leccesi infatti egli appartiene a pieno titolo, e da qui ebbe inizio la sua avventura..

Dal punto di vista esteriore una biografia, la sua, piuttosto scarna, e facilmente riassumibile. Formato al Collegio Romano chiese di andare in Giappone ma fu inviato in Cina e giunse a Pechino nel 1608: qui prese il nome di Xiong Sanba e si affiancò a Matteo Ricci (1552–1610) di cui divenne l’allievo prediletto. Per seguirne le fasi si può ricorrere, oltre agli autori locali, ad una fonte datata 1730, “il Menologio… di alcuni religiosi della Compagnia di Gesù” di G. A. Patrignani consultabile on-line. Matteo Ricci era una delle tre colonne su cui poggiò l’espansione del cristianesimo in Cina: le altre due erano Xu Guangqi, letterato e alto funzionario imperiale di Shanghai, noto come “dotto Paolo”, e lo stesso De Ursis.

Ed è importante segnalare che la loro predicazione, l’impegno messo al servizio della chiesa di Roma in terra straniera, non era del tipo tradizionale, ma ricorreva egualmente a scienza e fede, non contrapposte fra loro, come accadeva in Europa: anzi, il peso maggiore assegnato alla scienza per l’evangelizzazione, divenne la carta vincente in mano all’Ordine. Fa ben intendere questo punto di vista un articolo di Stefano Gattei apparso in agosto su “La Lettura”, settimanale del Corriere della Sera, dedicato a Xu Guangqi. Ma torniamo a De Ursis. Patrignani ricorda che, seguendo le orme di Ricci e “furando perciò alcuna ora al sonno”, si applicò intensamente a “quelle macchine fatte a sollevare l’acqua in alto: cose nuovissime nella Cina”. Fattele costruire, “tutta Pechino ne fu piena e parve a tutti di vedere un miracolo. La Corte ne giubilò, i Padri crebbero in grandissima reputazione…e intanto ogni cosa tornava in pro della fede, che sempre più andavasi dilatando”.

Al contrario, una pagina nera di questa storia è l’editto del marzo 1617, che portò all’espulsione da Pechino. A Macao, che fu per lui e per i confratelli la città-rifugio, dopo tre anni lo raggiunse la morte: una vita non diversa da quella di tanti altri missionari, conforme alla sua vocazione, perfettamente in linea con i dettami dell’Ordine cui apparteneva, ma con in più una irriducibile passione per la scienza.

Se ci spostiamo infatti nel campo della produzione scientifica, il suo profilo apparirà ben diverso. Lo abbiamo visto affrontare e risolvere non facili problemi di idraulica: nel Trattato che li contiene spiccano le illustrazioni, stampate secondo quell’antica arte che nata in Cina giunse in Europa nel ‘400 e fu messa a frutto da Gutenberg. Repliche o imitazioni di quelle stesse illustrazioni, si ritrovano in famosi libri coevi: Ramelli, che De Ursis tradusse in cinese, Valturio, Taccola e perfino Leonardo da Vinci.

Ancora più interessante un’altra opera il cui titolo in latino è “De gnomone”: qui oltre ad occuparsi, sia pure indirettamente del “rischioso” argomento dell’eliocentrismo, affronta il problema della sfericità della terra ricorrendo all’aneddoto delle due navi che, partendo dallo stesso porto in direzioni opposte, raggiungono ugualmente la meta: sono ragionamenti ovvi, ma in un contesto non maturo per recepirli, apparvero innovativi e/o addirittura rivoluzionari.

Decisiva poi la sua partecipazione alla riforma del calendario cinese che presentava delle imperfezioni, come dimostrò prevedendo l’eclissi del 15 dicembre 1610. Fu inoltre autore di un libro sulle erbe medicinali e sulla loro distillazione e progettò la facciata della chiesa cattolica di Pechino. Come si può dedurre, uno spirito poliedrico, versato in più discipline, sempre attivo e tutto votato alla scienza, ma non a scapito della fede, come è dimostrato dagli scritti di teologia in cui espresse, forse troppo liberamente, il suo parere sui principali dogmi del confucianesimo. Si prodigò per la collaborazione fra le religioni, mettendo al centro, con sorprendente modernità, il dialogo fra le due culture, e questo è un suo merito del quale è doveroso dare atto.

Oltre all’interesse scientifico va pure indicato quello letterario della sua produzione: è facile riscontrarlo attraverso le opere di Daniello Bartoli, gesuita, fra gli autori rivalutati del Barocco, e per la “Relaçao da morte do P. Mattheus Ricio”, documento importante perché di Ricci era diventato il confessore, pubblicata integralmente a Roma nel 1910, in occasione del terzo centenario della morte.

Un ultimo cenno va fatto alla riscoperta di Sabatino De Ursis, che si può fare risalire agli anni ’90 del secolo scorso con la pubblicazione della voce nel D.B.I. della Treccani, affidata a G. Bertuccioli: più vicini a noi, lo splendido catalogo della mostra tenuta a Roma nel 2005 “Padre Matteo Ricci. L’Europa alla corte dei Ming” (Milano, 2005), in cui il Nostro è ricordato, il prezioso “Un libro a sei mani. Storie incrociate di Matteo Ricci, Xu Guangqi e Sabatino De Ursis” (Shanghai, 2011) scritto da Paolo Sabbatini, Luigi Ricci e Xu Chengxi, che rivisita la storia di una amicizia a dir poco insolita, ed il documentatissimo “L’apostolato scientifico dei Gesuiti nella Cina dei Ming. Il missionario salentino Sabatino De Ursis” di P.Vincenti e F. Frisullo, edito a cura della Società di Storia Patria per la Puglia e presentato a Lecce il 24 luglio scorso.

Un particolare genere di fortuna è poi affidato al mercato dell’antiquariato librario, con cui mi piace concludere. È stato Gilberto Spagnolo, in un articolo apparso nel “Bardo” del 2010, a richiamare l’attenzione degli studiosi sulla presenza, in un’asta della casa Hartung & Hartung di Monaco, di un esemplare del trattato “Sulla teoria gnomonica del Padre scienziato gesuita De Ursis” stampato in xilografia tra il 1607 ed il 1614, ritenuto un gioiello dell’arte tipografica, copia probabilmente unica sopravvissuta, che partito da una stima di 12.000 ha raggiunto i 22.000 Euro, prezzo al quale è stato aggiudicato. Ma non finisce qui, perché in vertiginosa ascesa il libro, valutato ormai oltre 20.000 Euro, lo si ritrova in vendita a New York, da Christie’s, nell’aprile 2016 dove è “battuto” a 32.500 Euro. Ultima tappa nota rimane, sempre a New York, la libreria Antiquaria Jonathan A.Hill che lo inserisce nel Catalogo del 2019 al prezzo davvero shoccante di 65.000 Euro.

Non è noto se e a quanto sia stato venduto, ma si può essere certi di una cosa: mai e poi mai Padre Sabatino avrebbe approvato una simile speculazione lucrata sul suo nome e sulle sue personali ricerche, anzi certamente avrebbe condannato la “auri sacra fames” di virgiliana memoria, uno dei tanti vizi del nostro tempo, addolorandosene fortemente. Lui che nel segno della fede aveva posto il suo genio al servizio della scienza, lui che nato povero in un paese del Salento, nella lontana Puglia, povero era vissuto, secondo i voti della Compagnia, nella capitale dei Ming.

di Alessandro Laporta

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