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giovedì, Novembre 21, 2024

La Puglia incantata di Pier Paolo Pasolini

 Da Foggia a S. Maria di Leuca

 Grande fermento intorno a Pier Paolo Pasolini: il Senato della Repubblica dedica una intera trasmissione della serie “Senato e Cultura” al poeta di Casarsa, andata in onda il 9 aprile con la partecipazione di vari artisti fra i quali spicca il maestro Andrea Morricone, figlio di Ennio, caro amico di Pasolini con il quale collaborò; Garzanti pubblica il monumentale volume delle Lettere, poco meno di 1500 pagine che ne ripercorrono la vita dal 1940 al 1975; Dacia Maraini si affida alla memoria per farlo rivivere in un bellissimo libro, Caro Pier Paolo, uscito questo stesso anno presso lo storico editore Neri Pozza di Vicenza. Ma non si contano in tutta Italia gli eventi legati al suo ricordo ancora vivo ed alla sua tragica morte, all’Idroscalo di Ostia, nella notte del 2 novembre 1975: dal Convegno a cura dell’Associazione Italianisti e svolto ad aprile presso l’Università del Molise con il titolo “Una disperata vitalità”, al murales di Jorit alias Ciro Cerullo nel quartiere degradato di Scampia presso Napoli, alla biciclettata organizzata a Bologna, aperta a tutti ma non meno impegnata, per i luoghi a lui cari della città. Non si contano poi i Cineforum che ne presentano l’opera un po’ dovunque. Ma vanno segnalate anche le iniziative dell’Università di Stoccolma, “Pasolini tra letteratura lingua e cinema”, e di Euro Med University di Malta “I suoni del Mediterraneo”, precedute nel 2015 dalla “Lettura Annuale” ISLG della London Library, poi confluita in un raffinato Quaderno bilingue, che può considerarsi l’anteprima di tutte le altre attività.

E la Puglia? E il legame di Pasolini con la nostra regione? Facciamo insieme questo viaggio – o meglio questi viaggi, perché furono due – che ci mostrerà quanto grande fosse il suo amore per il Sud in genere e quanto profonde le sue intuizioni, tali da offrirci pagine preziosissime e di ineguagliabile bellezza.

È un documento di assoluta importanza e di forte impatto che sarebbe doveroso recuperare e proporre integralmente al lettore quest’anno, in coincidenza con i 100 anni dalla nascita: non è un Pasolini corsaro, né eretico, come recitano due fra i suoi libri più noti, ma un osservatore stregato dal paesaggio, sempre vicino alla gente, attento alle tradizioni, alla ricerca delle radici. Aveva in animo un progetto, La Puglia per il viaggiatore incantato, mai realizzato, purtroppo per noi, di cui restano alcune immagini spettacolari e nodali, che si fissano in maniera indelebile nella nostra fantasia, nella fantasia di noi che conoscendo i luoghi e le inimitabili atmosfere, vi sovrapponiamo le impressioni del poeta, l’incanto che i luoghi suscitavano in lui. Lo studioso e conoscitore dei dialetti, che amava sentir parlare, viene dopo e si può partire forse e per contrapposizione dal discorso per l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole che tenne Aldo Moro, di cui Pasolini si occupò, e che scelse come “nuovo tipo di lingua” cioè “della produzione, del consumo, e non lingua dell’uomo”. Pasolini ammirava la “formazione umanistica” e “l’ideale latino” di Moro, ma pensava ai problemi della lingua, all’impatto della televisione, alle minoranze linguistiche. Un viaggiatore incantato sì, ma mai distratto.

Nel 1951 Pasolini è a Foggia e gli si rivela sui volti dei giovani la causa della disperazione millenaria dei meridionali: «È soprattutto a Foggia, tra i Dauni, che sono meno belli ma forse più intelligenti degli altri pugliesi, che ho capito la disperazione dei personaggi, specialmente giovani, della letteratura meridionale. Una disperazione tenuta accuratamente nascosta dietro quella serie di commoventi bugie che è la millanteria meridionale». E poi aggiunge, favorevolmente impressionato dal giornale di Giuseppe D’Addetta, che aveva tra i suoi redattori Michele Vocino ed Umberto Fraccacreta, Joseph Tusiani ed Alfredo Petrucci per fare solo qualche nome: «Penso al “Gargano”, il giornale della “rinascita dauna”, fondato da poco da alcuni giovani animosi: la prima battaglia che essi dovevano ingaggiare era in pro del bacio (la forza vergine, il male della radice) contro la Scuola Media (deviazione verso un’imitazione della civiltà), in pro dell’antiretorica contro la retorica. Invece la retorica li contagia ancora. Nel leggere quel foglio ci si deve così doppiamente commuovere sulla miseria di questo paese che è almeno pari alla sua bellezza».

Pier Paolo Pasolini a Calimera (© Antonio Tommasi)

Da Foggia a Bari, anzi alle “due Bari”, ben contrapposte fra loro, quella della notte e quella del giorno. Sceso in stazione, “nessuna avventura al povero viaggiatore incantato – eccolo il titolo che Pasolini preferiva – che pervenne al Corso chiamato “Càvur” in mezzo alla più desolante indifferenza: in quella Bari appena creata e già tanto adulta…Ritornato nei pressi del kafkiano piazzale, mi riagguantò l’uomo grasso della camera…e lì poco dopo dormivo. Ma durante il sonno cominciarono ad accadere degli strani fatti”. Una notte da incubo, treni di passaggio, locomotive stridenti ed una sveglia fastidiosa e squillante, per non dire del risveglio altrettanto traumatico: poi improvvisamente lo scenario cambia: «Che freschezza la mattina a Bari! Alzato il sipario del buio, la città compare in tutta la sua felicità adriatica…Davanti al lungomare (splendido), sotto l’orizzonte purissimo, una folla di piccole barche piene di ragazzi, si lascia dondolare nel tepore della maretta. Nella luce stupita si incrociano i gridi dei giovani pescatori…e mentre il mare fruscia e ribolle, senti dietro di te con che gioia la città riprende a vivere la nuova mattina!… C’è aria di festa…e l’allegria dei baresi è seria, sicura e salubre: su queste teste solide il delicato biondo veneziano dei capelli (che è la carezza dell’Adriatico) perde in languore e acquista in chiarezza. Qui tutto è chiaro, anche la città vecchia, dalla chiesa di S. Nicola al castello svevo, pare perennemente pulita e purificata, se non sempre dall’acqua, dalla luce stupenda». Una riconciliazione totale, si direbbe un abbraccio, un elogio spontaneo della città illuminata dall’Adriatico: fuggono le ombre e delle due Bari ne resta una sola, quella della bellezza.

Il viaggio prosegue: «Tra Bari e Alberobello, tra le Murge e l’Adriatico la terra è arancione. Un leggero tappeto arancione, arabescato da muretti dello stesso colore e da radi boschi d’ulivo d’un verde carico, vicino al celeste». Alberobello lo seduce: «È difficile raccontare la purezza del cielo, in quella domenica sera, un cielo inesistente, puro connettivo di luce, sulle prospettive fantastiche del paese. I tetti dei trulli, di un nero cilestrino, si staccano improvvisi da questa base contorta e armoniosa, per riempire il cielo di magiche punte. Non c’è traccia di miseria o di sporcizia. I sentieri, la sera in cui arrivai, erano deserti: solo qualche bambino giocava seduto davanti alle soglie, in mezzo a tutto quel biancore». Ora i magnifici trulli sono parte del Museo del Territorio che ne esalta il valore, e Pasolini non è dimenticato, lo trovi sulle cartoline, sulle locandine e ti guarda con lo stesso stupore che lo prese nel marzo del ’51. La voce del poeta si fa eco se ti guardi intorno, ed è facile immaginarlo entusiasta del paesaggio pugliese. Una breve deviazione – imprevista – a Massafra, colta con due scatti fotografici: «Un abisso di rocce, e queste rocce, col loro stesso colore, le vecchissime case di Massafra, spaccate come il colle a metà dalla profonda gola». E ancora: «Arrivi alle mura di un forte, svevo o normanno, puntato come uno sperone verso là dove l’abisso di Massafra si apre sulla pianura sconfinata». Perché l’occhio è quello del raffinato cineasta (il mestiere dell’occhio), che osserva ed inquadra, che seleziona e cattura, è chiaro.

Poi ecco Taranto “che brilla sui due mari come un gigantesco diamante in frantumi”, raccontata come un sogno ancora una volta interrotto dalla realtà: «Taranto città perfetta. Viverci, è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari, e i lungomari. Per i lungomari, nell’acqua ch’è tutto uno squillo, con in fondo delle navi da guerra, sono aggruppati agli splendidi scogli, gli stabilimenti. File di “camerini”, come qui si chiamano le cabine, sulle palafitte, traballanti, sconnessi, aperti a tutti i venti. Nello specchio d’acqua che c’è in mezzo, si svolge ogni giorno il vero spettacolo, il bagno delle donne…». Ma una realtà. Viva per lui, e che oggi è ritornata, per noi, ad essere sogno: dove sono più i camerini di legno o le bagnarole di tufo verniciate a colori sgargianti che spiccavano sull’azzurro e le bagnanti nerovestite? Pasolini dipinge un ricordo, coglie l’attimo fuggente.

Pier Paolo Pasolini a Calimera (© Antonio Tommasi)

Si va avanti con linguaggio cinematografico e appare Castro: «A Castro, un paese che infine è più vicino all’Egitto che a Milano, ho visto una donna che baciava la mano a un ingegnere. Lei, certo, lo faceva dignitosamente, era nobilissima: il suo gesto avrebbe potuto ispirare una superba inquadratura a un Dreyer mediterraneo. Resta il fatto del bacio». L’attenzione si sposta dal luogo alle persone, anzi unisce le due cose, le fonde, c’è una perfetta simbiosi tra il paese salentino e questa specie di Betissa antelittera, Pasolini ha più fede nella gente. “A Otranto, tra i ragazzi che hanno fatto amicizia con me, riconobbi subito, per la sua aria faziosa di futuro avvocato, uno studente di Maglie. Tra il bacio della vecchia e la Scuola Media di Maglie, è contenuta tutta la disperazione meridionale, l’errore, l’impotenza: ma anche l’energia”: come dire che la magia del momento cede il posto a più importanti problemi di cui pure bisogna dar conto, magari sceneggiandoli con adeguato sfarzo. Si veda Gallipoli: «Misterioso centro, esistente, di una regione che non esiste. È del resto una città a sé, uno Stato…perfetta anch’essa come Taranto, protesa, biancheggiante, in un mare squisito, puro, selvaggio. In quello slanciato ammasso di case bianche, inanellato da lungomari e da moli, la gente vive una vita autonoma, quasi ricca si direbbe, quasi non ci fosse soluzione di continuità con qualche periodo della storia antica che io non so, né faccio in tempo a capire: il demone del viaggio mi sospinge giù, verso la punta estrema». E a Santa Maria di Leuca, infatti, non prevale il paesaggio roccioso, né la sequenza delle ville liberty, né la punta del tacco dove i due mari si incontrano: valgono più le parole scambiate con chi ci abita, alla ricerca del lato umano, della vera dimensione, nel tentativo di capire il contrasto con i baroni. E qui l’apparizione, magica, del meno barone (secondo un abusato luogo comune) di tutti e del più poeta di tutti (come va ormai riconosciuto), Girolamo Comi, mette fine enigmaticamente al viaggio. Non senza avere segnalato questo passaggio del testimone – quasi – tra una generazione e l’altra nel nome della poesia, un abbraccio (o un corto circuito?) tra due grandi, e non senza aver ringraziato Mirko Grasso, autore del libro Pasolini e il Sud (Bari, 2004) e nostra preziosa guida fin qui.

Mi preme aggiungere però una postilla su una memorabile giornata di studio trascorsa tra Lecce e Calimera, il 21 ottobre 1975, con una guida diversa, Antonio Piromalli, il professore calabrese innamorato del Salento. Prima al Liceo “G.Palmieri” con una lezione-dibattito divenuta il Volgar’ eloquio (Roma, 1977), poi negli spazi della ex fabbrica di tabacchi Murrone ad ascoltare il dialetto griko musicato cantato e parlato. Qui è Pasolini che cerca, non più con la poesia e nemmeno con la macchina da presa, come farà a Matera, attraverso il dialetto, la vera anima del Sud.

Ora il viaggio finisce davvero e la battuta finale è sua: «Tutto quello che ho visto minaccia – ormai – di parere un sogno: tanto più violento il trauma, tanto più veloce il tempo. Ciò che mi ha stordito ieri è già cosa lontana. Ho alle mie spalle tutte le Puglie, e tu sapessi cosa sono…». Cala il sipario, dissolvenza.

di Alessandro Laporta

Pubblicato il 07 giugno 2022 ore 09:53

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