La nostra agricoltura per Paolo De Castro, parlamentare europeo, vice-presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale, docente universitario presso l’Università di Bologna.
Onorevole De Castro, la Puglia è una regione baciata dalla natura, una terra che potrebbe vivere solo di agricoltura – e ovviamente di turismo, arte, cultura – e invece spesso le aziende agricole non bastano a se stesse, per una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo elencare. Ma la prima forse va necessariamente annotata, ed è il pregiudizio generalizzato e duro a morire che coltivare la terra sia un’attività secondaria rispetto ad altre che si presumono più blasonate. Come si esce da questo circolo vizioso?
«Nella sua domanda sono implicite alcune risposte: del resto io in Puglia sono nato, e di questa regione conosco pregi e difetti. Però aggiungo, al di là dei pregiudizi, per uscire da questo circolo vizioso si esce solo guardando avanti. Coltivare la terra richiede fatica, impegno, perseveranza. Ma oggi più che mai richiede conoscenza e quindi studio per essere al passo con i tempi e l’innovazione, le nuove tecnologie applicate al settore. E poi servono una buona comunicazione e organizzazioni di prodotto, oltre al coraggio di investire».
Qual è la situazione dell’agricoltura pugliese vista da Bruxelles? Come viene percepita la nostra regione là dove si prendono decisioni che possono cambiare il corso della storia?
«Con i colleghi delle istituzioni europee e del Parlamento Ue, in particolare, seguiamo sempre con attenzione anche le questioni relative all’agricoltura pugliese. A Bruxelles approviamo la maggior parte delle norme che vanno direttamente applicate o recepite negli Stati membri, spesso accompagnate da dotazioni finanziarie importanti. Risorse che poi le Regioni devono amministrare e gestire in modo oculato».
La tragedia della Xylella è stato un colpo mortale per l’olivicoltura pugliese. Il batterio avanza, e se non si troveranno cure adeguate contro la sua cavalcata a nord potrebbe azzerare l’intero patrimonio di ulivi pugliesi. Si sarebbe potuto evitare tutto questo? Su cosa dovrà puntare secondo lei la Puglia olivicola alla fine di questo periodo di crisi?
«Quella della Xylella è una tragedia che ormai si trascina da sette-otto anni, alla quale la Puglia avrebbe potuto mettere un argine da tempo. Incertezze iniziali sulle modalità di intervento e difetti di comunicazione, purtroppo, non hanno aiutato».
Come giudica la politica regionale in materia di agricoltura?
«Non sta a me giudicare, la politica serve anche a individuare e favorire l’elezione nei posti giusti di persone competenti e di buona volontà. E questo vale a tutti i livelli, in tutti i settori. Poi i limiti di uno scarso associazionismo che non aiuta l’economia di mercato e i nostri agricoltori, oltre ai ritardi registrati in Regione nella capacità di spesa dei fondi Ue, sono evidenze alle quali andrebbe posto rimedio».
Il vino pugliese si fa strada sui mercati internazionali, ma siamo ancora lontani dalla forza commerciale – ma anche di immagine – di altri prodotti europei, francesi in testa. Cosa manca alle nostre etichette per superare questo gap?
«I nostri vini, le nostre etichette, meriterebbero indubbiamente più visibilità, sia sui mercati nazionali che internazionali: la qualità di alcune Indicazioni Geografiche legate al territorio di produzione non si discute. Ma per farli conoscere è necessaria un’attenta e mirata programmazione che deve partire dagli stessi produttori e dai consorzi di tutela. L’Unione europea fornisce adeguati strumenti di legge per pianificare l’offerta e promuoverla nel mondo: servono visione, politiche di aggregazione e di marketing».
Almeno metà dei pugliesi utilizzano il termine “Prosecco” come sinonimo di spumante, ma non si limitano a questo: molti locali propongono appunto il primo e non sanno neppure dell’esistenza ormai consolidata di bollicine tutte pugliesi di qualità. Dove abbiamo sbagliato?
«Soprattutto nella comunicazione: il Prosecco non è un vino del nostro territorio e le menzioni geografiche devono evocare in modo corretto e inequivocabile una precisa area di produzione. Le bollicine di qualità della Puglia quanti le conoscono in Italia? Figuriamoci all’estero».
Quant’è difficile fare gli interessi dell’agricoltura italiana in seno al Parlamento europeo? La Pac esiste davvero o funziona solo sulla carta?
«Sono sessant’anni che la Politica agricola europea fa gli interessi dell’agricoltura italiana, con un budget finanziario pari a oltre il 30% di quello totale dell’Unione: per il nostro Paese, anche per i prossimi sette anni, parliamo di erogazioni per oltre 50 miliardi di euro che hanno ricadute positive indirette anche per tutti noi cittadini e consumatori in termini di sicurezza e standard di qualità dei prodotti alimentari».
Quali sono gli strumenti comunitari che gli agricoltori pugliesi utilizzano di più per potenziare l’agricoltura regionale e quali quelli efficaci ma sottoutilizzati?
«Oltre alla Pac, ricordo la legge Omnibus entrata in vigore nel 2018 e di cui sono stato relatore al Parlamento europeo. Strumenti efficaci, ma purtroppo ancora sottoutilizzati. Nel caso della Politica agricola basta vedere gli intoppi e i ritardi accumulati con il Programma di sviluppo rurale, mentre con l’Omnibus, ad esempio, non mi sembra che in Regione siano state sfruttate le opportunità, anche sul piano commerciale, per i produttori agricoli e le loro organizzazioni».
L’agricoltura di domani tra cambiamenti climatici, recupero di auto-consapevolezza e necessità di ammodernamento: come vede il futuro della Puglia da questo punto di vista?
«Il futuro dell’agricoltura, anche di quella pugliese, è legato a doppio filo alla capacità e volontà dei nostri produttori, con le loro associazioni, di affrontare una volta per tutte la transizione ecologica come passepartout nella lotta ai cambiamenti climatici. Di fronte a questa sfida ambiziosa le istituzioni europee, noi al Parlamento in prima linea, sono al loro fianco per garantire adeguate risorse e sicurezza di reddito, alternative tecnologiche all’uso della chimica per ridurre l’impatto ambientale e rispetto per i lavoratori».
Com’è nata la sua passione per l’agricoltura al punto di farne un lavoro?
«Io sono figlio di agricoltori. La passione l’ho coltivata studiando Agraria e poi lavorando come ricercatore e politico».
Quando appenderà le scarpe politiche e professionali al chiodo si dedicherà in qualche modo ancora alla terra?
«Alla terra e al mare, in qualche modo sempre. Ma per ora non ci penso».
di Leda Cesari