I grandi alberi con vita millenaria non finiscono mai di stupirci. Hanno radici che affondano nella storia e parlano ancora. È così l’albero del mosaico di Otranto sempre vivo per chi lo sa leggere. Tanti l’hanno calpestato, hanno fantasticato sul suo significato. Alcuni si sono arrampicati sui rami per gustarne i frutti, ma erano i propri, non di chi piantandolo, parlava di un futuro già avvenuto. Tante le interpretazioni nel corso del tempo, ma dubbi su alcune figure rimangono ancora. È il caso di una tra le più misteriose per gli studiosi, il cosiddetto Re Artù. Qui solo qualche accenno alla storia politica e religiosa del tempo e al mosaico in generale: la nostra attenzione è per l’Animale Re e la sua cornice esplicativa.
Studiosi cattolici e laici
L’argomento è biblico e come tale, stando all’esegesi rabbinica e cristiana, va spiegato con i testi della Bibbia. Quasi tutti gli studiosi finora hanno parlato di un “caprone” cavalcato da un re, che secondo l’interpretazione dell’iscrizione è diventato il re Artù o Arturus.
Gli studiosi di Chiesa, evidenziando in base alla loro formazione gli aspetti telogico-morali e mitici del mosaico, vedono anche essi il Re Arturus, caduto dal caprone e sconfitto, e gli preferiscono perciò il re Alessandro Magno, conquistatore del mondo allora conosciuto e promotore di una civiltà universale. Lo stesso Tau, la Croce, è posta in mano a Dismas, buon ladrone, perché è stato il primo a entrare in Paradiso.
Gli analisti laici, per la varietà dei loro studi, cercano la risposta non nei testi canonici, ma nei vangeli apocrifi, nei miti orientali o nella kabala ebraica. Il mosaico, visto come libro di iniziazione spirituale, ci conduce partendo dall’abside, a uscire dalla porta della chiesa. Animale e cavaliere richiamano la leggenda del re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda alla ricerca del Santo Graal, trovato da Parcival, che nel mosaico è l’uomo nudo vicino al caprone. La mano alzata di re Artù indicherebbe il luogo della leggendaria spada nella pietra tombale dei vescovi templari di Otranto sotto il presbiterio. Del re Artù si esalta la saggezza e del re Alessandro la sua ascesa al cielo.
Tuttavia vedono nella croce il nuovo albero della vita che ci svela il mistero e la via per l’ascesa alla conoscenza. Un insieme, quindi, di gnosi, Santo Graal e Logos. Mediatore di tutto questo Pantaleone, perché ricco di conoscenze anche non ortodosse. C’è però chi nota i punti oscuri e le forzature di tali argomentazioni, prive di ogni fondamento storico e al di fuori della cultura bizantina e cattolica. Arturus non è rappresentato come un re normale, sembra anzi un ecclesiastico, cui non si addicerebbe il caprone, simbolo di lussuria.
Il contesto storico
Siamo al tempo delle Crociate e i Normanni vi partecipano di persona. Gugliemo I, detto il Malo, re di Sicilia e del Sud, si autoconferma e viene omaggiato nel mosaico, che è del 1163-1165, come “regnante feliciter”, ”Domino nostro” e “Rege magnifico et triumphatore”. L’arcivescovo Gionata, garante della dottrina nella sua diocesi ormai sotto giurisdizione latina, si dichiara “humilis servus Iesu Cristi”. Il prete Pantaleone, artista creativo, a conclusione del lavoro, si congratula con se stesso per “hoc opus insigne” che supera degnamente ogni spesa e sacrificio. Tutti e tre erano in sintonia con il progetto anche se nella realizzazione traspare la visione particolare dell’artista che da prete greco, privilegia lo spirito profetico giudaico cristiano e l’universalismo proprio della sua cultura.
Il tutto allora non convince. Meglio chi, analizzando raffigurazioni simili in varie cattedrali e abbazie in Puglia del medesimo periodo, vede in Alessandro il tentativo di imitazione di Cristo che ascende e nota come la Croce sia unita all’Agnello. Qualcosa sembra quindi evidenziarsi.
l re ariete
Tema unificante e centro dell’opera possiamo dire che sia la presenza dell’Ariete-Re che ci catechizza nell’intera parte terminale della navata centrale: egli è il Re dei re, fondatore di una “nuova Città” per i suoi fedeli segnati dal Tau a suggello della sua vittoria. Lo sapevano bene tutti in quel tempo. Siamo noi con lo scorrere dei secoli ad aver perso il significato originario delle parole, ma anche il valore di fede e di profezia di quell’animale e di quell’uomo.
L’iscrizione segmentata è: Rex / Ar T v /R. V S. Unificandola, è risultata REX ARTURUS e quindi decifrata per il re Artù. La descrizione più dettagliata della scena e del contesto in cui è inserita sembra dirci tutt’altra cosa. L’animale ha una forte corporatura, ha due piccole corna ed avanza sicuro. L’uomo sopra ha una semplice corona, che i più ritengono posticcia, è vestito di rosso, con un piccolo strappo sulla gamba che sembra una croce bianca. La sinistra regge un bastone con un pomo in cima e la destra, sollevata e aperta, invita a guardare oltre. Una bestia feroce, chiazzata, saltando, si para davanti all’animale. Sotto, riverso a terra, lo stesso uomo con sguardo cosciente viene sgozzato, senza difendersi, da un’altra bestia più feroce della prima. Staccato, a destra, ma non distante, un uomo nudo in atto quasi di elevazione con occhi rassicuranti e mani sollevate come da benedizione e imposizione. L’iscrizione completata delle lettere mancanti ci fa cogliere bene il senso: REX / Ar (ies) / T (au) v (incit) / R (ex) / U (rbis) S (anctae), cioè Il RE Ariete con il Tau (croce) vince. Re della Città Santa. Aries (aries in latino, in greco “arnios”): ariete, l’animale con le corna a capo e difesa del gregge; Tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico: è una croce. La troviamo già nel Vecchio Testamento (Ez. 9,4) come segno dei salvati, e in Mt 16,24 “Ciascuno prenda la sua croce”; nel Medioevo era compagna fedele di San Francesco. “Tau me signavit” si trova inciso su un’architrave nella Giudecca di Carpignano; Vincit: vince (l’ariete sgozzato consegue la vittoria con la Croce). Rex: la ripetizione di Re sta per Re dei re. Urbis: la città dei salvati. Sanctae, santa, nuova Gerusalemme, la sposa dell’Ariete, il suo regno. (cfr. l’Apocalisse).
L’Apocalisse illumina e spiega
Una dimestichezza con le scritture sacre, specie profetiche fa cogliere bene il significato. Giovanni nell’Apocalisse parla per ben 29 volte dell’Agnello, che non è il nostro agnellino pasquale ma un agnellone con le corna, un vero ariete. È stato ucciso ma vive per sempre: «Vidi agnum stantem tamquam occisum» (Vidi un agnello ben fermo sui piedi, quindi vivo, e con i segni dell’uccisione). (Ap 5.,6)
Nello stesso testo è detto “forte”, è presso il trono di Dio, unico capace di aprire il Libro della vita e a cui nessuno potrà resistere. I profeti del Vecchio Testamento parlavano spesso di Jahvè come pastore che salva il suo popolo nella lotta tra montoni e caproni. Nel Nuovo Testamento Cristo si definisce “Buon pastore”. L’incarnazione l’ha reso uno del gregge, anzi l’Ariete che nella difesa e salvezza delle sue pecore si lascia uccidere. La sua azione non è quella dell’ariete di sfondamento delle guerre antiche perché “nessuno ama più di colui che dà la vita anche per i nemici”.
L’Apocalisse parla inoltre a lungo delle due fiere dominatrici della storia umana: una ascende dalla terra, affascina e attira gli uomini con inganni, prodigi e parole; l’altra ascende dal mare come pantera e ha la forza del potere che uccide chi non l’adora. Sono le forze oscure del male nell’uomo che il re Agnello vince da martire e diviene “primogenito dei morti, ci ha lavati con il suo sangue” (Ap. 1,5). È lui l’uomo nuovo, l’uomo nudo del mosaico che ascende; libero anche delle vesti come il primo Adamo, ci rassicura: “avendo le mani sollevate, li benedisse” (Lc 24,50).
La mano destra del Re Ariete indica i nuovi orizzonti, come da Apocalisse e nel mosaico. Se Adamo ed Eva sono cacciati dall’Angelo custode del Giardino, ora l’uomo in perizoma, che regge il Tau, ci indica la porta stretta del Paradiso. Il vecchio albero rinsecchito rivive a sinistra con due nuovi alberi verdeggianti in una nuova terra ove c’è “il fiume dell’acqua di vita… e da una parte e dall’altra il legno della vita”, i cui frutti e le cui foglie sono per la “sanità delle genti” (Ap. 22,1-2). È la nuova città per i segnati dal Tau; in essa non c’è più versamento di sangue. Unica luce è Dio stesso e lanterna è l’Agnello.
Alle paure per la fine del mondo dell’anno 1000 subentrava una nuova speranza di vita nonostante tutto. Pantaleone è ben cosciente del percorso tortuoso della storia: accanto al Re Ariete c’è perciò la vicenda di Caino e Abele con la richiesta della mano di Dio: “Dov’è Abele, tuo fratello?” È l’interrogativo ancora impellente a noi uomini del secondo millennio. Non un Re Artù qualsiasi, quindi, questo Ariete, per il quale gli otrantini dopo secoli si sono fatti sgozzare.
di Vincenzo Colavero