La lingua è un organismo fragile, esposto a sollecitazioni continue e a costanti incursioni che ne minano a volte l’esistenza. I motivi principali che determinano l’estinzione di un idioma sono diversi. Per esempio, una lingua è destinata a morire se sono in pochi a parlarla, se non viene trasmessa alle nuove generazioni che preferiscono imparare lingue culturalmente più prestigiose, per l’affermazione e la promozione sociale. In questo caso si parla di morte graduale. Un idioma può scomparire, invece, all’improvviso, a causa delle guerre, di genocidi, di disastri naturali.
Oggi, i linguisti di tutto il pianeta sono allarmati per lo stato di salute di molte lingue. Lo scenario è così preoccupante per i tanti idiomi che vacillano sotto la spinta di differenti fattori: secondo alcune previsioni si estinguerebbe una lingua ogni 15 giorni. Solo 600 lingue non sono a rischio estinzione, perché vengono ancora insegnate ai bambini.
L’Unesco, purtroppo, è arrivato molto tardi, solo negli anni 80 del secolo scorso ha cominciato ad interessarsi della diversità linguistica “come uno degli elementi essenziali della diversità culturale dell’umanità”, e solo nel 1993 laSezione del patrimonio culturale immateriale, diede alle stampe il The Red book of languages in danger of disappearing ‘Libro rosso delle lingue in pericolo di scomparire’ sostituito nel 2010 dall’ Atlas of the World’s Languages in Danger ‘Atlante delle lingue in pericolo nel mondo’.
L’UNESCO ha classificato le lingue in cinque categorie, in base al livello di rischio di estinzione:
1 – vulnerabili: la maggior parte dei bambini parla la lingua, ma essa è utilizzata solo in alcuni contesti, per esempio la famiglia;
2 – in pericolo: i bambini non imparano più la lingua come lingua materna a casa;
3 – seriamente in pericolo: la lingua è parlata dagli anziani, dai nonni. I genitori capiscono ma non parlano la lingua né tra di loro né con i bambini;
4 – in situazione critica: la lingua viene parlata solo dagli anziani, dai nonni che tuttavia non la utilizzano in tutte le occasioni, ma solo parzialmente e poco di frequente;
5 – estinta: non ci sono più persone che la parlano.
Si sa, la perdita di una lingua comporta anche la scomparsa di molteplici aspetti del patrimonio culturale immateriale, in particolare di quella ricca tradizione orale che include poemi, leggende, proverbi e motti di spirito tipici delle comunità che parlano quella lingua. La morte delle lingue, quindi, danneggia anche il legame tra l’umanità e la biodiversità, poiché le lingue trasmettono importanti conoscenze riguardo la natura e l’universo. Ed è per questo che anche l’Unione Europea, a partire dagli anni 80 del 1900, con la Carta Comunitaria delle Lingue e Culture regionali e la Carta dei Diritti delle minoranze etniche, per quanto riguarda il nostro continente – dove, ricordiamo, si parlano 100 lingue in 50 paesi e alcune di queste parlate solo da circa un centinaio di parlanti, quindi lingue in via d’estinzione o obsolescenti -, si è dimostrata sensibile al problema, cercando di intervenire a favore delle lingue e delle culture minoritarie con progetti e finanziamenti, sensibilizzando gli stati membri alla promozione dell’insegnamento delle lingue e culture regionali, nell’ambito dei programmi ufficiali, dalla scuola materna all’Università.
In Italia bisogna aspettare la legge n° 482 del 1999 Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, che stabilisce: «In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo».
Tuttavia, nonostante gli sforzi legislativi, la realtà quotidiana per le lingue minoritarie resta complessa, con il rischio che esse vengano dimenticate o estinte in un tempo relativamente breve.
Una sorte, purtroppo, che sembra essere destinata anche alle comunità alloglotte di Puglia, ossia alle minoranze linguistiche storiche Arbëreshë, Grika e Francoprovenzale presenti nella nostra regione. In particolare:
- Arbëreshë: questa lingua – definita in pericolo – è di origine albanese. È quasi del tutto scomparsa a Chieuti e Casalvecchio di Puglia in provincia di Foggia, ed ormai è parlata principalmente nel comune di San Marzano di San Giuseppe, borgo in provincia di Taranto, fondato dal nobile albanese Demetrio Capuzzimati, che nel 1530 acquistò il feudo del piccolo centro tarantino ripopolandolo con gente di etnia albanese. La popolazione albanese, giunta comunque in Puglia sin dal XV secolo, portò in Puglia non solo la propria lingua, ma anche i costumi, i riti e le tradizioni della terra d’origine.
- Griko: questa lingua, seriamente in pericolo (inserita anche Atlas of the World’s Languages in Danger), secondo alcuni studiosi, come il linguista tedesco Gherard Rohlfs, risalirebbe al greco antico, all’VIII sec. a. C., secondo altri, come, ad esempio, Giuseppe Morosi, Oronzo Parlangeli, invece, al greco bizantino. Oggi è conosciuta solo da pochi anziani ed è parlata in alcune zone del Salento, come nei comuni di Calimera, Martignano e Castrignano dei Greci, quattro dei nove comuni (gli altri cinque erano: Corigliano d’Otranto, Martano, Sternatìa, Zollino, Melpignano e Soleto) dove, fino a qualche ventennio fa, invece, si registrava una sia pur debole resistenza conservativa alle spinte innovanti dei dialetti salentini, ma soprattutto dell’italiano.
- Francoprovenzale: idioma in pericolo, è parlato nei comuni di Celle San Vito e Faeto, in provincia di Foggia. Il francoprovenzale è una lingua romanza che testimonia l’antica presenza di popolazioni di origine gallo-romana in Puglia. Secondo la teoria più accreditata, le comunità francoprovenzali di Faeto e Celle di San Vito, situate in Puglia, avrebbero origine da un gruppo di soldati francesi inviati da Carlo I d’Angiò nel XIII secolo per presidiare la zona. Dopo aver concluso il loro servizio, i soldati si stabilirono nell’area, fondando due piccoli insediamenti. Nel corso del XIV secolo, a causa di conflitti interni e di tensioni politiche, parte della popolazione si spostò nell’attuale territorio di Faeto, mentre un altro gruppo si stabilì a Celle di San Vito.
Le lingue costituiscono un patrimonio inestimabile e la loro scomparsa non può che costituire un’ enorme decadenza e regresso per l’umanità, nonché una violenza contro i diritti dell’uomo, quei diritti per i quali furono uccisi il 21 febbraio 1952 in Bangladesh, precisamente nella capitale, a Dhaka, studenti che appunto manifestavano per rivendicare il diritto di esprimersi nella propria lingua. Da quel giorno fu istituita la Giornata Internazionale della Lingua Madre, così come l’Unione Europea celebra, dal 2000, la diversità linguistico-culturale con la giornata europea delle lingue il 21 settembre. Un diritto fondamentale oggi riconosciuto da quasi tutte gli stati nel mondo, perché non esistono lingue più importanti o prestigiose di altre, così come non esistono culture superiori ad altre. E la lingua madre è per ciascuno di noi imprescindibile elemento non soltanto per la nostra identità culturale, ma anche per quelle sociale e psicologica.
Ma oltre alle manifestazioni e celebrazioni, che cosa si può fare concretamente per evitare che rimangano, rischiando di precipitare, come dice Claude Hagege (2002: 168), “sull’orlo del disastro le lingue costruite dagli antenati”? La risposta ce la forniscono Stefanija Naēinoviđ, Sandra Tamaro: “Salvare una lingua è un’impresa grandissima che necessità non solo di fondi economici per riuscirci ma di una ferrea volontà soprattutto della comunità linguistica auctoctona, aiutata da linguisti e dagli enti locali o da progetti europei per la salvaguardia delle lingue piccole” (Naēinoviđ, Tamaro 2015: 47).È quello che ci auguriamo anche per le nostre comunità alloglotte pugliesi.
Bibliografia
Hagege Claude, Morte e rinascita delle lingue: diversità linguistica come patrimonio dell’umanità, Feltrinelli, 2002.
Naēinoviđ Stefanija, Tamaro Sandra, L’estinzione linguistica, in Tabula: časopis Filozofskog fakulteta, Sveučilište Jurja Dobrile u Puli, No. 13/2, 2015:pp. 37-50.
di Annarita Miglietta, docente di Linguistica italiana – Università del Salento