Quante dimensioni ha il tempo? Facile rispondere: una, direbbe la maggior parte di noi. Eppure provate a trovarvi nella sala d’attesa di un ospedale mentre una persona a cui volete bene si sta sottoponendo a un intervento chirurgico. Il tempo, che oggettivamene è sempre lo stesso, sembra dilatarsi e non passare mai. Siete lì in attesa che esca il chirurgo e vi dica com’è andata. E il tempo è immobile, un’ora sembra un’eternità. Ecco perché mi piace parlare di un tempo dilatato e di un tempo ristretto.
Oggi viviamo in una dimensione temporale accelerata. Sempre più schiavi di una società che misura l’efficienza con i tempi – sempre più rapidi – di produzione. Così 5 operai, incaricati della manutenzione di alcuni binari nella stazione di Brandizzo (Torino), ricevono l’ordine da un tecnico di iniziare a lavorare fra le rotaie e perdono la vita, invece di aspettare che passi l’ultimo treno. Siamo schiacciati dalla necessità di fare tutto il prima possibile, come se fossimo in una gara dove ciò che conta non è fare le cose per bene e in sicurezza, ma farle il più velocemente possibile. Nei primi 7 mesi di quest’anno in Italia ci sono state 559 vittime sul lavoro: una media di 80 vittime al mese (dati Istat).
Secondo il sociologo Franco Cassano, autore del “Pensiero Meridiano“, occorre pensare al ”rallentamento come nuova dimensione del vivere sociale. Un nuovo pensiero del sud: pensare a un’altra classe dirigente, un’altra grammatica della povertà e della ricchezza, pensare la dignità di un’altra forma di vita”. L’economista e filosofo francese Serge Latouche, autore di ”La decrescita possibile”, afferma che “è possibile una nuova economia basata su una decrescita economica e sulla valutazione dei reali bisogni dei cittadini in una visione globale dell’esaurimento delle risorse del pianeta terra.” Per Carlo Petrini, fondatore del movimento Slow Food, occorre “muoversi per la rinascita delle piccole economie di scala, per la produzione del cibo dall’autosufficienza alla diffusione del modello di autosostentamento come modello vincente”. Nello stesso manifesto d’intenti dello Slow Food, fondato a Bra nel 1986, c’è il riferimento a ritmi più lenti della vita: “questo nostro secolo nato e cresciuto sotto il segno della civiltà industriale, ha prima inventato la macchina e poi ne ha fatto il proprio modello di vita. La velocità è diventata la nostra catena, tutti siamo in preda allo stesso virus: la fast life, che sconvolge le nostre abitudini, ci assale fin nelle nostre case.” Lo Slow Food si pone come antidoto “contro coloro, e sono i più, che confondono l’efficienza con la frenesia”.
Il problema della velocità è stato affrontato anche dal giornalista canadese Carl Honorè nel suo saggio “E vinse la tartaruga – Elogio della lentezza: rallentare per vivere meglio”. Honorè cita il medico americano Larry Dossey che nel 1982 coniò l’espressione “malattia del tempo” per descrivere l’ossessiva convinzione che “il tempo fugga, che non ce ne sia abbastanza e che è necessario pedalare sempre più lesti per non restare indietro”.
Oggi siamo ossessionati dalla velocità, acquistiamo smartphone e computer in grado di trasmettere e ricevere dati in maniera sempre più veloce. Siamo sempre più interconnessi come un unico organismo che si controlla autonomamente. La visione distopica di George Orwell, nel suo capolavoro “1984”, oggi sembra realtà. Poi c’è il futuro, ancora non delineato, dell’Intelligenza artificiale. Un futuro diviso fra timori di un eccessivo controllo dei computer e delle macchine sulle nostre vite e la possibile perdita della manualità e creatività individuale e/o collettiva. Secondo Yoshua Bengio, direttore scientifico del Mila di Montreal, l’istituto di ricerca sull’intelligenza artificiale, in una recente intervista di Elisa Manacorda (La Repubblica, 15.10.2023) sull’opportunità di avere un’Intelligenza Artificiale open source risponde: “penso che abbiamo bisogno di rallentare. Gli scienziati, i politici, gli economisti, gli esperti di I.A. dovrebbero mettersi insieme e ragionare, per aiutarci a navigare in questo mare. Oggi tutto sta accadendo un po’ troppo in fretta, e la società sembra avere perso il controllo”. Lamberto Maffei, già direttore dell’Istituto di
neuroscienze del CNR, nel suo libro “Elogio della Lentezza” scrive: “L’evoluzione ha scelto nella costruzione del cervello umano la tecnica della lentezza, mentre per altri animali quella della rapidità, ed è forse per questo che molte risposte del sistema nervoso rapido dell’uomo assomigliano a quelle degli altri animali”. […] se la realtà presente significa correre verso mete non chiare o addirittura misteriose, scrivere tweet o sms, apprendere notizie dalla televisione senza aver tempo di ripensare se l’informazione sia vera o manipolata, allora mi prende il desiderio di tornare indietro, di percorrere il tempo in senso inverso, fuggire da una cultura imperniata sulla rapidità della comunicazione visiva e tornare la lento ritmo del linguaggio parlato e scritto”.
Intanto a proposito di rallentamenti possibili, a Parigi il limite massimo di velocità nelle strade cittadine è sceso a 30 km orari. A metà strada fra la vorticosa rapidità dei cittadini in movimento, la Ville Lumiere, quindi, offre isole di rallentamento della vita, con spazi diffusi dove fermarsi e riposare: piccoli e grandi giardini, musei e piazze dove è possibile sostare e godere della bellezza dei luoghi. Pur essendoci una fitta rete di supermercati ovunque, in alcune strade come Rue de Martyres (9° arrondissement), esistono ancora tante piccole botteghe dove trovare un’accurata selezione di ottimi prodotti artigianali. Una strada che la domenica mattina è chiusa al traffico e consente di fare piacevoli passeggiate sino a Montmartre. Un esempio di come anche in una megalopoli come Parigi possano coesistere spazi dove il rallentamento della vita è possibile. In Italia, Bologna è la prima città che ha istituito lo stesso limite di velocità sulle strade urbane. Anche Milano tenta di
rallentare il ritmo frenetico della vita cittadina istituendo zone a 30 km orari, piste ciclabili, con la possibilità di raggiungere negozi e luoghi di pubblica utilità entro quindici minuti. Secondo l’assessore alla mobilità cittadina Marco Granelli: “gradualmente vengono fatte operazioni di ridisegno urbano: marciapiedi più larghi, castellane e dissuasori, si lavora sulle piazze, dove possibile si piantano alberi, si aggiungono panchine. In questo modo si crea un nuovo equilibrio fra auto, moto, pedoni e biciclette e le strade si trasformano in occasioni di vita e incontro”.
Anche a Roma, qualcosa si muove. Dice Piero Calabrese, l’assessore alla mobilità della capitale: “ Nel nostro Pums c’è la città smart e slow da qui ai prossimi 20 anni: dalle nuove infrastrutture su ferro alla creazione di nuove ciclabili e isole pedonali. Così le slow city oggi sono sulla bocca di tutti, spinte a risvegliarsi da un brutto sogno chiamato velocità”. (cit. da Alessia Musillo /Decor)
In Puglia 5 sono le realtà che hanno aderito al movimento delle città slow: Gravina, Trani, Cisternino, Orsara e Sant’Agata di Puglia. Infine Bari sotto la guida del sindaco Antonio Decaro, sta ridisegnando la viabilità cittadina, istituendo nuove piste ciclabili, restituendo aree verdi attrezzate e giardini alla cittadinanza, con l’intento di rendere più vivibile la città.
Intanto la velocità miete sempre nuove vittime. Gli incidenti stradali cittadini, nel nostro Paese, provocati da auto che investono pedoni, biciclette e monopattini, anche sulle strisce pedonali, sono in aumento. Secondo l’Istat, nel 2022 i morti in incidenti stradali in Italia sono 3.159 (+9,9% rispetto all’anno precedente). I sinistri dei soli monopattini elettrici passano da 2.101 (del 2021) a 2.929 (nel 2022), con 16 morti (nel 2021 erano 9). La guida troppo veloce, il comportamento più sanzionato, rappresenta il 38,7% del totale. Perché si corre troppo? È sempre necessario? Non è forse più utile pensare a un rallentamento dei ritmi che la società industriale ci impone, vivendo momenti di giusta meditazione sul nostro presente e sul futuro? La vita è una sola ed è giusto viverla senza uno stato continuo d’ansia. Prendiamocela comoda, è meglio!
di Damiano Ventrelli