Il mio primo approccio critico all’opera dello scultore Salvatore Sava, la cui notorietà non ha più bisogno di attestazioni, risale al 2005, quando lo proposi per la mostra “Pro Arte Pro Deo” (Monteroni, Chiesa Parrocchiale), nella quale egli presentò Il Candido Presepe, opera già oggetto di attenzione critica (Il candido Presepe, con una nota di Giuseppe Appella e una preghiera di Salvatore Sava, Edizioni della Cometa, Roma MMIV). È proprio questa la prima delle tre opere scelte sulle quali proverò a fornire indicazioni che aiutino a comprenderle. Nella presentazione mi premurai di spiegarne la apparente estraneità del soggetto, rispetto alla dominante linea della sua ricerca scultorea, grazie, soprattutto, ai contributi del critico e storico dell’arte contemporanea Luciano Caramel, che aveva già messo in luce, nella concezione e visione poetica dell’artista, innanzitutto la connessione tra la sua sostanza umana e culturale e i materiali usati (la loro specifica natura), materiali «già carichi di una loro storia, anche proprio di rapporto con l’uomo, il suo lavoro, la sua fatica, che ne avevano provocato la forma e poi l’usura, secondo ancora un percorso
diramato nel trascorrere del tempo, e della vita». L’artista in quell’opera aveva scelto come materiale la pietra leccese, aveva evitato la stereotipa tradizione iconografica di quel tema, ma non l’iconografia, – infatti i protagonisti e i vari personaggi che la costituiscono sono tutti presenti, – cosa resasi possibile per lui, essendo ormai approdato «a una rimeditazione sugli statuti, e quindi i materiali e i modi, della scultura contemporanea e quella, non tradita, della tradizione radicata nei millenni, dei manufatti popolari agricoli. Con la volontà, in un certo senso, di un innesto di quella in questa, o viceversa, per esaltare le qualità della cultura materiale innervandola dei portati dell’arte d’oggi, e nel contempo liberare quest’ultima dalle restrizioni autoreferenziali che spesso la denotano e la limitano». (Caramel). Osservando il suo presepe, si può constatare che il procedimento di realizzazione, che va valutato in rapporto all’esito che l’artista voleva raggiungere, non è stato semplice, come potrebbe sembrare. Non casualmente, mi azzardai ad affermare che Sava aveva fatto come Picasso, creato, cioè, forme, dove «nulla sembra essere presente, ma in cui c’è tutto». Superando la convenzionalità iconica, egli aveva puntato sulla propria genuina fantasia, creando così un’opera capace ancora di suggestionare il nostro animo. L’impressione che egli abbia operato una sorta di semplificazione delle forme, che fa apparire le figure come appartenenti all’immaginario fantastico dell’infanzia, è solo impressione, perché, a ben guardare, egli aveva dato sfogo alla sua capacità immaginifica, facendo tesoro della rivoluzione moderna della scultura, a lui certamente non estranea. Maria, Giuseppe, Gesù Bambino, il bue e l’asino, i pastori, i Re Magi e le pecore ci sono tutti, ed è la materia di cui sono fatti, con la sua povertà, a farceli sentire umanamente vicini e per alcuni di essi monumentali e sacralmente austeri.
Occorre aggiungere che il suo procedimento di realizzazione delle opere non prevedeva e non prevede tuttora solo l’utilizzo di determinate tecniche e materiali, ma comprende anche l’“invenzione” e la titolazione, operazione, quest’ultima, tanto indispensabile che Sava l’ha sempre considerata sua esclusiva prerogativa. Del resto, anche Caramel lo aveva implicitamente evidenziato, quando aveva citato testualmente gli appunti che l’artista abitualmente gli inviava, appunti nei quali erano indicati non solo i titoli delle opere, ma erano anche vere e proprie notazioni che esprimevano, con piena consapevolezza, la sua visione poetica. Perciò penso che sia opportuno riproporne un passo che può aiutarci a comprendere la prima delle altre due opere da me scelte. «I fiori di pietra – scriveva allora – rappresentavano…la fase finale di un’esperienza personale. Era il tempo della Magica Luna. Andavo alla ricerca dell’equilibrio e mi cimentavo di trovarlo nelle forme più svariate. Mi accorsi allora che le pietre naturali contenevano nelle loro sagome scolpite dal tempo un grande equilibrio. Erano perfette. Nel loro aspetto irregolare e casuale avevano trovato l’armonia col resto del mondo naturale. Ne presi coscienza e meditai. Con umiltà e rispetto ne scelsi un po’, dialogai con i loro silenzi, le posi su piedistalli di ferro e ne esaltai le caratteristiche forme vissute. Ora le pietre ritornano, sono fiori dal gambo in ottone, ornati solo di silenzio per narrare la loro storia». Basta osservarli attentamente questi suoi fiori di pietra, per renderci conto che il titolo assume tutta la sua valenza significante (è il caso di ricordare che “denominare” significa attribuire un nome particolarmente significativo), proprio perché fissa lo stretto legame tra la naturalità delle materie, le pietre e i metalli, l’artificio tecnico e l’invenzione formale. Ancora una volta, la soluzione adottata dall’artista, apparentemente semplice, era frutto delle sue doti inventive e fabbrili.
La terza opera è Xalento, esposta nell’ultima personale (Paolo Bolpagni, Salvatore Sava. L’altra scultura, Lecce, Fondazione Biscozzi-Rimbaud, 2022). Come si può vedere, essa si presenta particolarmente complessa nella sua costruzione e articolazione. È, cioè, un classico esempio di “composizione espressiva di elementi vari”. I materiali usati non sono per lui insoliti, ma la loro combinazione è più articolata e intricata. Al primo impatto, giusta la mia attenzione ai titoli, mi aveva colpito la sua denominazione, in particolare la presenza della X invece della S. Non ho potuto fare a meno, perciò, potendolo fare, di interrogare l’autore, il quale mi ha dato indicazioni essenziali. Intanto mi ha indicato la data di realizzazione, il 2021, in piena pandemia Covid e ancora in corso il fenomeno che ha interessato gli uliveti del Salento, l’infezione del batterio Xilella, che li ha decimati, e ha confermato che la X del titolo fa riferimento a quest’ultima. Mi ha, poi, chiarito che il corpo centrale è un galleggiante di autoclave recuperato da un ammasso abusivo di rifiuti abbandonati in un ex-uliveto. Le pietre disposte a corona nella parte alta, smaltate di verde, sono un diretto riferimento alla struttura del covid, mentre i filamenti in basso simboleggiano i tentacoli del batterio. Un rimando al paesaggio salentino sono le pietre disposte sul galleggiante. Va da sé che queste indicazioni diventano pienamente significanti solo se rapportate al processo dell’invenzione costruttiva e formale dell’opera, che, proprio come tale ci interroga e continuerà a interrogarci. Non sfugge, tra l’altro, che la sua elaborazione ha fatto certamente appello proprio alle sue doti inventive e fabbrili (non è casuale la scelta della foto dell’artista da me segnalata).
Il curatore della citata ultima mostra non ha avuto remore nel ritenere Sava uno degli scultori più significativi della propria generazione in Italia, a conferma del giudizio concorde di tutta la critica che ne ha colto la singolarità e il valore nel modo in cui la sua esperienza di vita ha via via alimentato la sua arte. A tal proposito trovo pertinente chiudere citando testualmente un altro brevissimo passo dei suoi appunti: «Di origini contadine, ho vissuto gran parte dei miei anni a contatto della natura, assaporandone e rispettandone il perfetto equilibrio. Ricordo ancora le forme armoniose di alcuni semi trasportati da minuscole formiche sotto il cocente sole d’estate, i colori e le forme uniche della corazza di alcuni insetti o ancora i fiori selvatici, autentici capolavori scultorei, che crescevano spontanei sotto la rugiada di primavera. Parlo naturalmente di un po’ di anni fa. Era il periodo in cui ci si poteva ancora dissetare ad una pozzanghera affiorante sulla roccia o addirittura sorseggiare l’acqua contenuta da una foglia di cavolo. Quell’equilibrio campestre non esiste più…».
di Lucio Galante
Salvatore Sava. Biografia
- È nato nel 1966 a Surbo (Lecce), dove attualmente vive e opera. Diplomatosi al Liceo Artistico di Lecce e all’Istituto d’Arte di Roma, ha completato la sua formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Lecce, conseguendo il diploma in pittura. Ha svolto la sua prima attività, nella pittura, la grafica e la fotografia. Dal 1990 insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. La costante attenzione della critica che ne ha seguito l’intensa attività espositiva (mostre personali e collettive) testimonia, ormai ampiamente e indiscutibilmente, la sua piena affermazione nel panorama artistico nazionale. Tra le mostre personali vanno, in particolare, ricordate Magica Luna (Lecce 1996), Tramontana (Milano, 1999), Salvatore Sava. Opere 1994-2001(Lecce, 2001), Opere recenti (Milano 2009) (tutte curate da Luciano Caramel), Follie barocche, (Lecce 2014 a cura di Letizia Gaeta e Massimo Guastella), Sava. Echi di natura in giallo fluo (Milano 2019, a cura di Rosella Ghezzi), Salvatore Sava. L’altra scultura (Lecce 2022, a cura di Paolo Bolpagni). Riconoscimenti di rilievo sono, inoltre, il Premio internazionale di scultura “Terzo Millennio” (Erbusco – Brescia 2006), Premio “Mastroianni”, sesta Biennale internazionale di Scultura (Regione Piemonte. Torino 2008), Premio Limen Arte per la scultura (Vibo Valentia 2012). Sue opere, infine, figurano in importanti collezioni pubbliche e private.