I nostri lettori scrivono con noi e la famiglia di “In Puglia tutto l’anno” è pronta ad accoglierli. In questa settimana ospitiamo un pezzo di Maria Concetta Cataldo
L’estremo lembo di Puglia proteso tra due mari, lo Ionio e l’Adriatico, ha nome Salento. Originaria dimora dei Messapi, luogo intriso e rimescolato di arcaici miti, di culti, di riti di provenienze diverse, di sapori d’Oriente, di pratiche magiche e leggende tramandate nei racconti, li cunti. Questo amalgama così variegato ha stimolato, in chi scrive, il desiderio di ripensare l’antico mito e di ricrearlo a partire dalla leggendaria luce che in queste contrade è così netta da non consentire ai colori un tramonto sfumato. Così un nuovo Mito originato da un “ lucore divino” ha preso la forma del calice in cui s’infiamma, si scioglie e si acquieta la più esplosiva delle passioni umane: l’amore.
Nel raccontare vicende umane in cui questo fuoco raggiunge vertici di assolutezza o abissi profondi, accade che il pensiero si addentri in quel mondo privilegiato, quale doveva essere quello degli Dei, nel tentativo di varcare la soglia di uno spazio primordiale: il recinto della devozione erotica in cui sempre avviene la rivelazione dell’Eros, la divina fiamma che abbaglia e sa sciogliere i dolori che trafiggono l’anima.
Il Salento è terra di sole e di magia! Una magia diffusa, appunto, da una luce “numinosa” proveniente dal Pantheon divino dei popoli che abitarono alle origini questa lingua di terra, quando ogni fonte, ogni albero, ogni colle, ogni sponda marina nascondevano una presenza sacra. In questi magici luoghi gli uomini vedevano gli Dei nel loro splendore, senza alcun timore vivevano sereni un’esistenza comune lasciando che essi, complice il Fato,determinassero “spirando” il fluire della vita….
Poi avvenne la fatale separazione ! Gli Dei abbandonarono il mondo! Il Destino da ferreo immutabile divenne doppio, oscillante; con un gioco sottile, alle spalle degli ultimi adoratori, quei Divini si nascosero definitivamente in un altrove ignoto ai mortali e sedettero in un eterno e sontuoso convito. Della deità rimase in queste contrade la luce, ultimo retaggio dell’antica epifania. Da quel sito remoto e inaccessibile lo splendore divino giunge ancora nel Salento così vitale e con una violenza talmente seduttiva da svegliare gli istinti dei sensitivi, sprigionare gli umori asclepiadei delle piante, illuminare la divinazione dei veggenti che scoprono il divino dove sembra regnare solo l’umano.
Quel “ lucore” eccita la mollezza nei corpi e nelle cose così che il fascino della natura diviene fascino erotico e nessun desiderio si rivela più indistinto. Gli Dei belli e splendenti sono ancora oggi seduti alla faraonica mensa, guardano questa piccola parte di terra, osservano con benevola ironia la caparbia pretesa degli uomini di possedere la libertà dalla sorte o l’ombra di quella libertà dominata dall’angoscia della morte. Accade però che talvolta piangano… avviene quando tra i mortali una giovane donna muore per amore! Allora, mossi da pietà sovrumana lasciano che il suo spirito amante, liberato dal dolore, li raggiunga nel luogo divino di eterna bellezza e pace.
- Nuvole bianche avvolsero la giovane donna che tese le braccia e le mani, ormai vuote d’abbracci, verso la Dea dell’Amore. Il piccolo cuore rosso pulsando salì verso quel mondo dell’armonia che distilla soave tenerezza addolcendo in calma contemplativa l’universale Necessità – Ananke’ “la dea senz’altare e senza immagine”. Le dita si toccarono, si unirono con complicità e ardore. La Madre Dea trasse a sé la donna ormai divina; la condusse verso i giardini del cielo attraversati da una corrente di spiriti amanti, esultanti e di Dei gioiosi e tutti insieme furono un ardore e un bagliore di luci .
Da quel luogo una sottile pioggia di piccole particelle luminose, ogni giorno, da tempo immemorabile, al sorgere dell’alba piove sul lungo tacco di Finis Terrae e, man mano che i raggi del sole riscaldano l’aria, le particelle aumentano il loro biancore fino a che la luce giunge a esplodere nell’istante incandescente del mezzodì. In quell’ora di gran calura il cielo è attraversato da fremiti d’oro che penetrano nelle case bianche di calce, nei corpi e negli occhi delle donne rendendole splendenti e desiderabili e scioglie nelle vene dei maschi il potere e il desiderio della fecondità. È luce creativa che s’ insinua nella fantasia e nelle mani laboriose degli abitanti di questa terra dolce e aspra: sono chiamati “artigiani” “ artigiane”, sono artisti veri! Nelle viuzze delle cittadine che punteggiano il territorio si affacciano intorno agli usci delle botteghe vasi, volti, oggetti in ceramica che esaltano i colori forti e puri che la natura offre generosa alla loro genialità; piccole vetrine con gioielli di argento o di bronzo creati in armonico connubio con il legno dell’ulivo “ la pianta sacra “ del Salento. A volte, disposte con amore su antiche sedie impagliate, incantano cascate di merletti sottili come veli, pizzi a tombolo o a filé destinati ancora oggi ai ricchi corredi nuziali. E se l’udito si fa attento sulla riva del mare è possibile udire il dolcissimo canto delle sirene e la lontana voce dei poeti.
Quella luce è l’essenza, la ragione, il fascino della magnifica terra del Salento. Quella luce è la sua “ MAYA”.
Maria Concetta Cataldo (Scrittrice- Saggista- Autrice teatrale)
Pubblicato il 13 ottobre 2022 alle ore 16:22