Pupa, Caddhuzzu e agnello di pasta di mandorla, i simboli immancabili
Due personaggi attesissimi sono invitati il giorno di Pasqua “pupa” e “caddhuzzu”, fatti di pasta frolla a cui viene data la forma di bambola e di un gallo, realizzati e regalati ai rispettivi innamorati, a lei il gallo e a lui la pupa. Nel grembo delle due figure è racchiuso un uovo, segno di prosperità e fertilità, tenuto insieme da nastri di pasta frolla decorati con delle codette. Questa antica tradizione resiste ancora oggi e rallegra anche i bambini. Il rito arriva da lontano quando non c’era molta disponibilità di cibo ed era un regalo attesissimo, poteva essere consumato dopo la benedizione ricevuta durante la Messa del giorno di Pasqua. Pupetta e caddhuzzu non sono soli, fanno la comparsa l’agnello “pecureddhu”, di pasta di mandorle farcito in modi differenti e secondo la ricetta di famiglia, come centro tavola viene realizzata la Cuddhura, una corona di pasta frolla dolce intrecciata o nella versione salata di pasta di pane condita con olio e pepe che racchiude le uova sode, questo simboleggia la rinascita e l’abbondanza. I piatti più rappresentativi hanno radici religiose, l’agnello ricorda il sacrificio di Gesù lo troviamo in pasta di mandorle, con il classico stendardo rosso che ricorda la resurrezione, o come secondo piatto cotto al forno con le patate e i carciofi, costolette di agnello fritte o meravigliosi carrè al forno sempre di agnello.
Passare la settimana Santa in Puglia è un bel modo per tuffarsi nella gastronomia che nasce dalla genialità di una terra povera. Il mare e la terra cadenzano la settimana Santa, il pesce consumato il venerdì insieme ai maccheroncini al ferro impastati con il vino cotto che colorando la pasta di rosso scuro simboleggiando il sangue di Cristo, la Cuddhura che mette fine al digiuno soprattutto dalle carni, dalle uova e dai formaggi e viene fatta il sabato Santo e l’agnello, che simboleggia il sacrificio, viene usato il giorno di Pasqua.
Pasqua significa passaggio in ebraico e segna con i suoi vibranti colori la transizione dall’inverno alla primavera. I pascoli rinnovati con erba fresca e profumata arricchiscono le proprietà sensoriali del latte crudo che differisce dal latte proveniente da animali nutriti in stalla. Scegliere allevatori che hanno una diversa sensibilità prediligendo il pascolo o erba fresca porta un valore maggiore al prodotto, rinnovando in questa scelta il legame con il territorio e le tradizioni. Questa attenzione porta alla produzione di formaggi con una meravigliosa intensità aromatica. I formaggi che fanno primavera sono soprattutto quelli freschi o poco stagionati come la giuncata, la ricotta, pecorini appena stagionati, caciottine di pecora, formaggi o latticini freschi a pasta filata come la mozzarella, burrate e il caciocavallo poco stagionato. I vini da abbinare con i formaggi freschi li possiamo scegliere tra un Fiano del Salento, Verdeca, Locorotondo, un Gravina, Rosato di Bombino o di Negroamaro.
Il formaggio più rappresentativo del periodo è la ricotta marzotica. Il nome indica esattamente il periodo di produzione e il Ministero delle politiche agricole Alimentari e Forestali lo ha inserito nella lista dei Prodotti Agroalimetari Tradizionali (PAT).
Questo formaggio viene prodotto all’inizio della primavera nel mese di marzo. Il latte usato può essere di capra, di vacca, di pecora o misto. Nel mese di marzo gli animali si nutrono al pascolo con foraggio fresco che conferisce un aroma e un sapore più ricco al latte. Il
formaggio viene lasciato stagionare circa due settimane, periodo in cui le forme vengono girate ogni giorno. Dopo questa breve stagionatura ogni forma viene avvolta con delle foglie di graminacee che conferiscono al prodotto finale più carattere, accentuando il gusto e l’aroma. La pasta è di consistenza friabile e la crosta sottile e rugosa. Ovviamente sposa bene i piatti di pasta ma è speciale consumato insieme alle fave fresche. La ricotta Marzotica ha un gusto saporito si presenta sapida e un po’ piccante, da abbinare un vino rosso corposo come un primitivo.
Germogli del giovedì Santo
Un ricordo molto caro è legato al giovedì Santo o giovedì dei Sepolcri. Il primo venerdì di quaresima, in un contenitore, vengono messi nel cotone idrofilo bagnato abbondantemente dei semi preferibilmente di grano. Il tutto veniva riposto nel cassetto del comodino, al buio ma facendo attenzione che la base di cotone fosse sempre umida. Questo trattamento produceva delle piantine simili a fili d’erba di colore bianco, molto coreografici e bellissimi. Era importante che non prendessero luce altrimenti veniva attivata la clorofilla colorandoli di verde. La composizione arricchita di nastri colorati veniva portata in chiesa nel luogo adibito al sepolcro. Alla fine dell’adorazione ognuno riportava a casa con orgoglio il piccolo orticello. Non ne sento più parlare, credo che questa tradizione non sia più in uso. I bambini hanno attenzione solo per la grandezza del loro uovo di cioccolato e poco ne sanno della magia dell’erba bianca. Continuare a trasmettere tradizioni vuol dire coltivare cultura e identità di un territorio. Sarebbe bello trasformare l’attesa della sorpresa dell’uovo con l’attesa della sorpresa dei germoglia bianchi.
RICETTA
Cuddhura salata
- 300 gr di farina 00
- 200 gr semola di grano duro
- ½ cubetto di lievito di birra
- 2 ½ cucchiaini di sale fino, assaggiate la pasta e aggiungete a vostro gusto il sale
- Pepe macinato fresco in quantità secondo il vostro gusto, si deve sentire
- olio extravergine di oliva q.b.
- poca acqua per quanta ne prende la farina per ottenere un impasto liscio e morbido
- 40 gr mandorle tostate e tritate grossolanamente
- 5-6 uova sode
Preparazione:
sciogliete il lievito in poca acqua con un cucchiaino di zucchero e mettetelo da parte. Fate la fontana di farina sulla spianatoia e al centro versate il lievito sciolto e impastate, aggiungete man mano acqua, l’olio, il sale, il pepe e ancora acqua se ne serve. Continuate ad impastare lungamente, quando cominciano a comparire delle bolle aggiungete le mandorle. Coprite l’impasto e lasciatelo lievitare due ore. Riprendete l’impasto, tenetene da parte un pochino che andrà a formare i nastri che terranno le uova sode. Formate due o tre filoni e date forma alla treccia che chiuderete dando forma di una corona. Tra un intreccio e l’altro posizionate le uova sode che ancorerete con le strisce di pasta posizionate come un canestrello. Preriscaldate il forno a 200 gradi e infornate per 30 minuti, ovviamente ogni forno cuoce in maniera diversa, a voi il controllo del tempo di cottura.
di Maria Rita Pio
Pubblicato il 7 marzo 2023 alle ore 12:34