21.4 C
Lecce
martedì, Ottobre 22, 2024

Torre Santa Sabina tra ricerca e valorizzazione

Un’insenatura piccola ma ricca di storie: questo è la Baia “dei Camerini” di Torre Santa Sabina, marina del Comune di Carovigno a circa 30 km a nord di Brindisi, che amo definire “l’approdo delle meraviglie” (Puglia tutto l’anno, Luglio 2008) e che anche stavolta ci ha riservato le sue sorprese.

Dopo alcuni anni d’interruzione dall’ultima campagna di scavo, dal 7 al 30 settembre scorso si sono svolte le nuove ricerche della Cattedra di Archeologia Subacquea del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, condotte in regime di Concessione di scavo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (Decreto DG-ABAP n. 832 del 22/06/2020) per il tramite della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi Lecce e Taranto.

La campagna #TorreSantaSabina2020, diretta con grande esperienza ancora dalla prof.ssa Rita Auriemma, è stata segnata da una triplice importanza. Ha consentito di riprendere le fila degli scavi precedenti (anni 2007-2012) in continuità con le rilevanti attività svolte fin dai primi anni Duemila nell’ambito del Progetto di ricerca “L’approdo ritrovato” del Dipartimento di Beni Culturali.

Nel contempo ha proposto un fruttuoso modello di cooperazione universitaria su scala regionale e nazionale: l’intervento 2020, infatti, ha visto impegnati accanto all’Università del Salento i Dipartimenti di Studi Umanistici delle Università di Foggia e Bari, grazie all’apposita convenzione stipulata tra la Regione Puglia e le sue tre Università, dando inizio a una nuova e promettente collaborazione tra gli atenei regionali in questo specifico settore; fondamentale, inoltre, è stato il lavoro svolto con il Laboratorio di Geomatica per i Beni Culturali e il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino. Ma la campagna 2020 ha avuto soprattutto il merito di proiettare il patrimonio archeologico subacqueo e costiero di questo importante sito in un ampio scenario internazionale fortemente orientato alla valorizzazione. L’approdo di Torre Santa Sabina infatti, insieme a Grado, Resnik/Siculi e Caorle, è uno dei siti archeologici sommersi scelti come sede degli interventi-pilota del Progetto internazionale UnderwaterMuse-“Immersive Underwater Museum Experience for a wider inclusion”, finanziato nell’ambito del Programma di cooperazione transfrontaliera Interreg V-A Italy-Croatia 2014-2020 e di cui la Regione Puglia – Dipartimento Turismo Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio è partner con ERPAC-Ente Regionale per il Patrimonio Culturale della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia (capofila), Università Ca’ Foscari di Venezia, Public Institution for Coordination and Development of Split-Dalmatia County RERA S.D. e Comune di Kastela (Croazia).

La “Baia dei Camerini” e ilCampo Base 2020. Ripresa da drone Politecnico di Torino.

L’obiettivo del Progetto UnderwaterMuse è una vera e propria sfida: valorizzare appieno ognuno di quei siti, così complessi e pluristratificati, per renderli parchi archeologici sottomarini o ecomusei realmente fruibili dalla più ampia platea di visitatori possibile e non esclusivamente subacquei. Ma non basta: il fine è riuscire a rendere fruibile il patrimonio culturale subacqueo in modo ampiamente costruttivo, anche attraverso metodologie, tecniche e tecnologie innovative e/o sperimentali (tra cui realtà virtuale e aumentata) che contribuiscano a ridurne la perdita e a garantirne la conservazione e che allo stesso tempo possano offrire la concreta possibilità di un sano sviluppo sociale ed economico nella promozione turistico-culturale pulita ed eco-compatibile di questi contesti e paesaggi costieri e marittimi.

In tal senso, un primo passo è stato il coinvolgimento della comunità locale già a #TorreSantaSabina2020, in termini di promozione e comunicazione dei risultati delle ricerche da parte del team (grazie ai frequenti rapporti con la stampa locale e nazionale, alla comunicazione web, alla conferenza finale svoltasi il 30 settembre al Castello Dentice di Frasso di Carovigno) e di concreta attenzione mostrata da Comune di Carovigno e Consorzio Albergatori, che hanno garantito un prezioso supporto logistico per l’intera durata delle ricerche. Il contributo attivo della Puglia al Progetto UnderwaterMuse, quindi, passa proprio attraverso le attività di ricerca e valorizzazione del patrimonio archeologico subacqueo e costiero di Torre Santa Sabina, che si fondano sul solido terreno del lavoro e dello studio pregressi e puntano agli obiettivi in programmazione.

Area della stratigrafia dei carichi. Foto Unisalento

Non è casuale, infatti, che il sito sia uno dei prescelti, proprio per le enormi potenzialità espresse dal punto di vista delle conoscenze storico-archeologiche e delle prospettive di futura valorizzazione e fruizione. Le innumerevoli e disparate tracce lungo la costa e sui fondali ci aiutano a ricomporre per l’approdo una storia articolata, ricca di vicende dalla preistoria all’età moderna. Le testimonianze relative a insediamenti molto antichi nelle aree che fiancheggiano il cosiddetto “Fiume della Mezzaluna”, residuo di un corso d’acqua dolce che sfociava nell’insenatura detta appunto “La Mezzaluna”, arricchiscono la ricostruzione del paesaggio antico e delle sue trasformazioni. Una comunità di agricoltori era lì nel VI-V millennio a.C., segnalata dal rinvenimento di oggetti neolitici e scarti di lavorazione della selce. Ancora lì, nella tarda Età del Bronzo (3500-1200 a.C. circa) si è sviluppato uno dei più vasti insediamenti dell’Italia sud-orientale, di cui restano migliaia di buchi di palo pertinenti a capanne e palizzate di recinzioni in legno, anche sommersi o semi-sommersi e che si estendono fin lungo le basse scogliere della Baia “dei Camerini”.

La costa, inoltre, è ampiamente segnata da escavazioni, tagli di cava, canali, anch’essi talvolta sommersi o semisommersi, che indicano un’alta frequenza di interventi e trasformazioni del paesaggio di natura antropica.  La piccola Baia “dei Camerini”, che deve il suo nome a uno stabilimento balneare ormai non più esistente, è stata del resto un approdo a continuità di vita dalla lunga storia, che ha restituito resti di carichi e di scafi in legno che attestano la presenza di almeno cinque diversi relitti sui suoi fondali: è in effetti proprio per questo che anche i “pionieri dell’archeologia subacquea” in Italia, come Nino Lamboglia, ne sono stati affascinati fin dagli anni ’60 del Novecento.

Nel III-II millennio a.C. genti dei Balcani e del Mediterraneo orientale navigavano già dall’Egeo e dalle coste dell’Anatolia lungo queste rive: numerosi ritrovamenti di ceramica di importazione micenea a Torre Santa Sabina testimoniano l’esistenza di scambi diretti tra le due sponde dell’Adriatico in quell’epoca; eccezionale conferma ne è anche il rinvenimento di una lama in oro di pugnale da parata, oggetto raro in Italia ma comune in Egeo e Vicino Oriente.

In età messapica la baia ha rappresentato lo scalo marittimo della città indigena di Kàrbina, l’odierna Carovigno, e il punto di redistribuzione delle merci verso i centri messapici dell’interno; ma anche in seguito è stata a lungo uno degli scali delle rotte di cabotaggio, la navigazione sotto costa, proprio per il riparo che offriva ai naviganti.

Tuttavia, come altri luoghi del Mediterraneo, l’approdo sicuro si è a volte trasformato in un’insidia fatale: per alcune navi, le scogliere basse e appena affioranti che si trovano all’ingresso della baia sono state impossibili da evitare durante le tempeste e gli scafi, infrantisi sulle rocce, hanno perduto i loro carichi rovesciandoli sui fondali.

Significativi sono i due casi di naufragio riconosciuti a ovest della baia: due episodi diversi, ma avvenuti nella stessa area a circa 3 secoli l’uno dall’altro e in cui i carichi si sono parzialmente sovrapposti negli strati di sabbia ai piedi della scogliera sommersa, mentre gli scafi in legno sono andati perduti.

La nave più antica, di età tardoarcaica (fine VI – inizi V sec. a.C.) e che abbiamo denominato TorreSantaSabina3, giungeva molto probabilmente dall’Egeo e trasportava anfore e raffinati servizi da tavola: in particolare brocche, coppe e tazze per mescere e bere il vino, mentre il carico principale era il contenuto delle anfore, destinate per la maggior parte al trasporto del vino e, in misura minore, dell’olio. Questi prodotti provenivano da vari luoghi della Grecia e dell’Egeo in generale, in quanto “beni di lusso” molto richiesti anche dalle popolazioni locali che vivevano in Puglia durante l’Età arcaica, come i Messapi in Salento. Gli oggetti del carico sono stati rinvenuti nello strato di sabbia più profondo, nella maggior parte dei casi integri o frammentati ma ricostruibili e nella posizione originaria, spesso capovolta proprio a seguito del naufragio.

Particolare della stratigrafia dei carichi. Foto Unisalento, F. Zongolo

Negli strati più superficiali, invece, parzialmente sovrapposti al carico arcaico, da cui li separavano strati di sabbia privi di materiali archeologici, sono stati rinvenuti i resti del carico di TorreSantaSabina4: una nave di età romana tardorepubblicana (fine II sec. a.C.) che trasportava una grande varietà di merci, sia d’importa-

zione sia di produzione locale. La parte principale del carico era costituita dal vino e l’olio contenuti nelle anfore: il vino dell’area egea ma soprattutto il vino e l’olio del Salento, prodotti localmente insieme ai loro contenitori e massicciamente esportati. Il resto erano pregiati servizi da tavola e vasellame da cucina, sia importati (dall’Egeo e dall’Asia Minore, dall’Adriatico orientale, dalla Campania e dall’Italia centrale) sia prodotti in Puglia, che nella stiva riempivano gli spazi rimasti vuoti tra le anfore. Anche in questo caso le merci sono state trovate in posizione ribaltata: piatti, coppe, tegami e olle erano capovolti, le anfore schiacciate una sull’altra, mentre una grande quantità di ciottoli della zavorra, sparsi sul fondo della stiva per dare stabilità all’imbarcazione, nel rovesciamento erano finiti sul carico. I pochi resti di legno rinvenuti, probabilmente appartenenti allo scafo, viste le tracce di bruciato fanno pensare che il naufragio sia avvenuto forse a causa di un incendio a bordo. Parte della campagna #TorreSantaSabina2020 è stata quindi dedicata a questa complessa stratigrafia, generatasi ai piedi della scogliera sommersa in seguito alla compattazione dei carichi, che si sono sovrapposti nella stessa area nei diversi episodi di naufragio e a cui è probabilmente da aggiungere anche altro carico databile alla tarda antichità e proveniente dal Mediterraneo orientale (V-VI sec. d.C.). È stato così possibile accertare che l’approdo, solo apparentemente sicuro, con le sue insidiose scogliere semisommerse ha in realtà determinato la distruzione di molte imbarcazioni e la perdita di molte merci, la cui dispersione si estende in una vasta area che si spinge fino alla parte più centrale del canale d’ingresso nella baia.

Ma altre imbarcazioni, in epoche diverse, sono state invece tirate a secco sulla spiaggia: così, la Baia “dei Camerini” conserva, a ridosso della scogliera orientale in corrispondenza dell’antica riva, anche lo scafo in legno del relitto di età romana imperiale TorreSantaSabina1 (fine III-inizi IV sec. d.C.), uno dei più importanti ed eccezionalmente preservati del Mediterraneo. Il relitto, scoperto negli anni ‘70 del Novecento e tutelato dalla Soprintendenza nel 1998 con una copertura di sacchi di sabbia e lastroni in calcestruzzo, è stato scavato per la prima volta solo nel 2007 (Concessione di scavo Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Ambientali – Direzione Generale Antichità e Belle Arti n. 6223 del 06.07.2006): in quell’occasione ne è stata messa in luce la fiancata sinistra, mentre quest’anno le ricerche si sono concentrate sulla sezione di poppa, mai documentata prima, confermando l’eccezionale conservazione del legno e la presenza di sovrastrutture che in genere non si conservano. Lo scafo mostra ancora parti dell’opera morta, le strutture al di sopra della linea di galleggiamento: oltre al fasciame esterno, si sono conservate le ordinate, il massiccio di scassa in cui era infisso l’albero, i bagli che sorreggevano il ponte e altri elementi rinvenuti solo di rado, come il ponte di coperta. La tecnica di costruzione è “a fasciame portante” o “a guscio portante”, poiché a determinare forma e solidità dello scafo è il fasciame esterno, le cui tavole sono assemblate “a mortase e tenoni”: le tavole affiancate sono agganciate e fissate una all’altra con apposite linguette in legno (tenoni) inserite nelle cavità (mortase) ricavate nello spessore delle assi; i tenoni sono bloccati poi nelle mortase con spinotti lignei (caviglie). Nel 2007 è stato possibile recuperare anche alcune anfore residue del carico: contenitori da trasporto per vino o salse e conserve di pesce prodotte tra fine III e inizi IV sec. d.C. in Africa Proconsolare (odierna Tunisia settentrionale).

La maggior parte del carico però è stata certamente recuperata già in antico, quando l’imbarcazione è stata tirata sulla riva, prima dell’abbandono e della progressiva sommersione per effetto dell’innalzamento relativo del livello del mare. Nella campagna 2020, prima di restituire la sezione di poppa al suo letto di sabbia e ripristinare la copertura di lastroni, oltre alle operazioni di scavo e documentazione tradizionali, la collaborazione col Politecnico di Torino ha consentito di sperimentare precise tecniche di rilevamento fotogrammetrico, in vista della futura acquisizione digitale dell’intero scafo, prevista per la campagna 2021 e finalizzata alla restituzione di un modello 3D dell’imbarcazione, per permettere un’immersione “virtuale” anche ai non subacquei, nel solco degli obiettivi di UnderwaterMuse.

Antonella Antonazzo

Grazie al Politecnico di Torino è stata anche possibile una completa documentazione della Baia e delle sue disparate evidenze archeologiche, con l’impiego di strumentazioni e tecnologie innovative per acquisire nuovi dati sulle trasformazioni del suo paesaggio sommerso e costiero: accanto al rilievo topografico ne è stato realizzato il rilievo UAV (Unmanned Aerial Vehicle) attraverso riprese da drone che hanno “fotografato” gli innumerevoli segni, sommersi e semisommersi, presenti lungo la costa, tra cui appunto buchi di palo, tagli di cava, canali ed escavazioni che permettono di ricostruire le variazioni del livello del mare e i cambiamenti della linea di costa. Per il rilievo dei reperti sommersi, inoltre, sono state sperimentate tecniche di ripresa fotogrammetrica sia attraverso l’uso di fotocamere subacquee da parte di un operatore, sia testando il funzionamento di un ROV sottomarino (Remotely Operated Vehicle).

A questo tipo di documentazione si è affiancato il rilevamento strumentale dei fondali dell’insenatura con ecoscandaglio multibeam, montato su un’imbarcazione che ha eseguito una serie di strisciate fino a coprire tutta la baia. Emettendo onde sonore che in acqua si propagano a ventaglio, il multibeam consente di ottenere un preciso rilievo batimetrico del fondale che può fornire indicazioni morfologiche sulla presenza di eventuali altri reperti archeologici sommersi e finora mai rinvenuti.

Infine, a #TorreSantaSabina2020 è stata messa a fuoco la presenza di un ulteriore relitto, di cui si erano avuti solo disparati e isolati rinvenimenti nel corso degli anni, tra cui 7 elmi, un archibugio (la cosidetta spingarda) e altri oggetti recuperati nel 1998 dall’Istituto Centrale per il Restauro a margine dell’intervento di copertura del relitto TorreSantaSabina1. I rinvenimenti di quest’anno, relativi a elementi della dotazione di bordo, hanno consentito di verificare in via definitiva il naufragio nella Baia anche della Galea Magna, nave veneziana partita da Creta e affondata “nelle acque di Carovigno” alla fine del XVI sec. d.C., come attestato dalla documentazione d’archivio, arricchendo così lo scenario storico-archeologico su cui si concentreranno le prossime attività di ricerca ed estendendo ulteriormente le potenzialità e le prospettive per la valorizzazione e la più ampia fruizione del’intero contesto archeologico subacqueo e costiero del sito.

Team 2020: Rita Auriemma (UniSalento, Direttore di scavo); Giuliano Volpe (UniBA, co-direttore); Danilo Leone e Mariuccia Turchiano (UniFG, co-direttori); Marco Vitelli, Mario Mazzoli e Bernardino Rocchi (ASSO-Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione, supporto tecnico e riprese video-fotografiche);  Angelo Colucci (direttore tecnico); Antonella Antonazzo (vicedirezione di scavo); Luigi Coluccia (documentazione grafica); Carmela Iaia, Melissa Mele e Andrea Mazzarulli (responsabili dei materiali); Nannina Spanò, Filiberto Chiabrando, Paolo Maschio e Alessio Calantropio (PoliTO, rilievi strumentali e modellazione 3D); Andrea Podestà, Fernando Zongolo e Mino Buccolieri (supporto tecnico e riprese video-fotografiche); Paolo D’Ambrosio (rilevamento multibeam).

di Antonella Antonazzo


Aggiornamenti e notizie sulle ricerche a Torre Santa Sabina e sul Progetto UnderwaterMuse:

dr.ssa Antonella Antonazzo  antonella.antonazzo@libero.it

https://www.facebook.com/ArcheoSubUniSalento/

www.italy-croatia.eu/web/underwatermuse

www.facebook.com/Project-UnderwaterMuse-106106884192806/


Antonrlla Antonazzo è archeologa e archeologa subacquea. Si è laureata alla Facoltà di Beni Culturali dell’Università del Salento con una tesi in Archeologia Subacquea dedicata a Torre Santa Sabina (“Torre Santa Sabina. La storia dell’approdo attraverso la ricerca archeologica subacquea”, che ha ricevuto il “Premio Arganese” dalla Provincia di Brindisi), ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Beni Culturali e Territorio al Dipartimento di Storia, Patrimonio Culturale, Formazione e Società della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata” e si è specializzata in Beni Archeologici presso la Scuola di Specializzazione “Dinu Adamesteanu” dell’Università del Salento, con una tesi in Archeologia e Storia dell’Arte Greca dedicata alla valorizzazione proprio del sito di Torre Santa Sabina (“Il patrimonio archeologico subacqueo  dalla ricerca scientifica alla valorizzazione”). Fin dal 2007 ha svolto la vicedirezione delle campagne di scavo condotte nel sito dalla Cattedra di Archeologia Subacquea  dell’Università del Salento, con cui collabora da molti anni ed è Cultore della Materia nel Corso di Laurea in Archeologia (LM2) per l’a.a. 2019-2020. Ha seguito percorsi di specializzazione con borse di studio in Italia e all’estero (Progetto BluArcheosys, Progetto ArcheoMed, Master DIARSUB), redatto varie pubblicazioni (https://uniroma2.academia.edu/ANTONELLAANTONAZZO) e tenuto relazioni in convegni nazionali e internazionali (tra cui III Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea-2007; International Conference Har- bours as objects of interdisciplinary research-Kiel, 2015; IKUWA6-Fremantle, Western Australia 2016; VI Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea-Taormina 2019). Attualmente è impegnata nelle attività del Progetto UnderwaterMuse e collabora con Enti, Musei e Istituzioni nel settore archeologico.

Tra gli ultimi lavori, si è occupata del coordinamento scientifico-organizzativo della mostra “Nel mare dell’intimità. L’archeologia Subacquea racconta il Salento” (Aeroporto del Salento – Brindisi, 05 luglio 2019 – 10 gennaio 2021).

Related Articles

Ultimi Articoli