da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020
La Venere degli Stracci di Pistoletto sembra fare da guida nei percorsi del Castromediano…
Pedrag Matvejevic ci ha insegnato che nel “fagotto dei migranti” non ci sono solo povertà e miseria ma i semi di un mondo nuovo, un mondo che immaginiamo fondato sulla grazia e sulla bellezza senza tempo dell’arte, sulla conoscenza e sull’equilibrio tra uomo ed ambiente. Perciò abbiamo scelto come compagna di viaggio alla riscoperta delle antichità del Castromediano un’opera d’arte contemporanea, la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto. La bellezza che emerge dalla classicità greco – romana si confronta con la contemporaneità simboleggiata da una montagna di stracci che immaginiamo intrisi dall’acqua del Mediterraneo, il mare degli approdi e dei naufragi le cui onde hanno dato forma alla civiltà. Anche quella del Salento, a cominciare dalla etimologia del suo nome secondo lo storico Varrone: “Salentini dicti, quod in salo amicitiam fecerint” (Furono chiamati Salentini perché avevano suggellato legami di amicizia in mare). Proprio da questa citazione inizia il viaggio nel nuovo Castromediano.
Quale il ruolo dei musei?
Sono il fuoco rituale intorno a cui si ritrova la comunità riconoscendosi come tale. Anche la religione oggi sembra aver smarrito questo potere del riunirsi rituale che permette di riconoscersi come un Noi dentro una identità plurale e collettiva. L’arte mantiene ancora intatto questo potere che ci dà la possibilità di commuoverci o indignarci, di rompere il muro dell’indifferenza. Il compito del museo oggi è di farci capire chi siamo, da dove veniamo, di farci riconoscere in quanto comunità, di scaldarci con il fuoco della tradizione. Nel nuovo percorso espositivo del Castromediano abbiamo lavorato per sottrazione: meno oggetti, meno retorica, meno accademia, più significato, più storie, più relazioni. Non vogliamo soltanto avere un pubblico ma vogliamo trasformare questo pubblico in una comunità. Qualsiasi comunità si basa sulle relazioni, perciò il museo, prima che eventi o mostre, deve produrre relazioni, socialità, dialogo.
È questo il senso dell’iniziativa “facciamo un patto”?
Sì, il museo come fabbrica di amicizia attraverso la condivisione degli spazi con l’associazionismo culturale, con il volontariato, per creare socialità, vincoli di comunità, accoglienza che noi consideriamo il primo compito di un museo nella società contemporanea che sempre più si configura, per dirla con le parole di Goffredo Fofi, come un mondo di “soli”. La lotta alla solitudine dell’uomo contemporaneo, come causa di molti mali, è uno dei primi impegni cui un museo deve assolvere; altrimenti è un supermercato, del bello sì, ma sempre un supermercato. Immaginiamo un museo come fabbrica della cultura in cui sopravvive l’artigianalità del fare con le mani, in cui alberga l’anima della comunità, lo spirito della condivisione, della solidarietà, della sobrietà, della parsimonia, dell’equilibrio, della laboriosità dell’umanità che si esprime attraverso il bello di cui il museo è la casa.