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La Bellezza come passione

Il 22 luglio scorso è destinato a rimanere nella cronaca di questa  estate  ormai  alle spalle.  La presentazione della collezione Cruise 2021 della Maison parigina Dior metteva fine (illusoriamente, lo diciamo oggi) a un periodo di chiusura e apriva le porte alla speranza.

Sono stati 20 minuti di pura bellezza e armonia in cui colori, suoni, movimenti  non si sono mai sovrapposti, si davano il passo reciprocamente, obbedendo quasi a un segreto minuetto che aveva però il ritmo della pizzica.  Una sfilata a “porte chiuse” per i limiti imposti dall’emergenza Covid 19,  ma aperta al mondo a cui è stata offerta una chiave di lettura per capire la Puglia e i suoi riti.

A ormai cinque mesi dall’evento, l’eco non si è spento: ripreso da tutti i media, il filo che ormai tiene insieme  Parigi e la Puglia viene continuamente riannodato. È la Puglia, infatti, al centro della nuova campagna pubblicitaria Dior; ritorna la colonna sonora della pizzica a fare da controcanto dolente a un paesaggio lunare di ulivi sepolti, e sempre e comunque immagini di Puglia nel cuore alla scoperta delle origini della Bellezza.

«La bellezza è una qualità talmente astratta da essere dovunque. È anche qualcosa di così concreto, e può essere vista con gli occhi, toccata con mano, e sentita con il cuore», dice Maria Grazia Chiuri, direttore creativo di Dior, nell’intervista rilasciata ad Antonio Amato. E tutti l’hanno vista con gli occhi e rintracciata nelle mani sapienti di donne che riprendono nella tessitura i disegni degli antichi “pinti” dei corredi custoditi nelle antiche “casse” delle nonne, nelle frange che impreziosivano gli asciugamani, nei ricami  del  tombolo e del chiacchierino. La bellezza è diventata esaltazione del lavoro, di quello quotidiano di tante donne, frutto del tempo spesso rubato al sonno. Perché c’è una parola che spiega tutto: passione.

«La bellezza è ciò che genera la passione, e la passione è quello che ci fa andare avanti», continua Maria Grazia Chiuri. Basta tornare al significato etimologico del termine in greco e in latino: “sentire” tanto fortemente da provare dolore. La passione come forte sentire, motore che fa andare avanti e fa scoprire sensazioni spesso inedite e segrete. Una concezione della bellezza non edulcorata, imbalsamata, statica consolatoria. Forse l’aggettivo giusto è “umana”  perché “la bellezza è dovunque, e spesso risiede nella diversità, e nelle persone che la preservano e la onorano”.

di Maria Rosaria De Lumé

Un Natale come dono


Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente. Ha pubblicato molti libri, che hanno raggiunto decine di migliaia di lettori.Da anni viaggia e scrive, in cerca di meraviglia e in difesa dei piccoli paesi; è ispiratore e punto diriferimento di molte azioni contro lo spopolamento dell’Italia interna. Ha ideato e porta avanti la Casa della paesologia a Bisaccia e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano.

Alla ricerca della bellezza. anche di quella nascosta

È ancora bellezza in un periodo in cui siamo costretti  a ricordarla   con gli occhi del cuore, a interiorizzarla e quindi a farla più nostra.  Ma forse, chi sa: costretti a seguire il mondo dietro  schermi di varia grandezza, evitando responsabilmente strette di mano e abbracci, alla fine scopriremo segni di bellezza dove prima eravamo incapaci di scorgerli. In ogni caso ci accorgiamo ora di guardare le cose che ci circondano con occhi nuovi, non le possiamo più dare per scontate,  siamo   costretti  a tendere  lo sguardo al di là dei limiti che ci vengono imposti o che ci imponiamo (quando finirà tutto questo? A primavera? In estate?).

Servono occhi nuovi, servono orecchi attenti, serve tensione di tutti i sensi concentrati a “vivere” questi mesi che ci stanno insegnando molto, anche a nostra insaputa. Puglia tutto l’anno vuole essere una compagna nel viaggio di questo periodo con l’obiettivo di aiutarci ad affinare lo sguardo, a scoprire la bellezza della Puglia, quella splendente a occhi nudi, e quella nascosta, più difficile da scoprire. È questo, a guardare bene, il filo che lega i contributi di questo numero della rivista che avete sotto gli occhi.

Il punto di partenza è sempre quello alla base del progetto di Puglia tutto l’anno: il binomio cultura-turismo, suggellato anche dalla recente nomina ad assessore regionale alla Cultura e al Turismo di Massimo Bray. «La Cultura e il Turismo – ha detto subito dopo la nomina – sono da molti anni due temi importantissimi per la Puglia. Credo che occorra ripartire da questa certezza il prima possibile, per sentirci una comunità coesa e per pensare insieme il nostro futuro e quello dei nostri figli».  Cultura, quindi, come collante identitario di una regione, base su cui costruire il futuro, a iniziare dal prossimo. Cultura anche come “sostanza” del turismo.

Certamente il turismo è un ecosistema che è stato duramente colpito dal Covid, ma è da qui che bisognerà partire per far riprendere quota al Paese. Dovrà essere un turismo che privilegia l’attenzione per le persone, la bellezza, la cultura, la capacità di relazioni e quindi  il dialogo interculturale e quello interreligioso.  La Puglia, l’Italia non saranno sole: sarà l’Europa a dare una mano con il Next Generation Eu, con gli itinerari europei, con il  Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con quello  del turismo lento,  con  il recupero delle ferrovie storiche, con le piste ciclabili e i cammini che trovano nella Puglia l’ambiente naturale.

Prima di iniziare a leggere, Buon Natale e Buon 2021 a tutti. Sarà un Natale-dono, come si augura Franco Arminio.  E poi buona lettura, tornando indietro all’esplosione della Bellezza estiva con l’evento Dior in piazza Duomo a Lecce, che continua a “spargere” luminarie in tutto il mondo, con  una visita alle Costantine, al museo di Ruvo; ancora la Puglia “nascosta” nel mare di S. Sabina e nella gravina di Giulieno, i segreti del mosaico della cattedrale di Otranto;  con i pugliesi di un tempo come Sabatino De Ursis e Vito Domenico Palumbo, quelli del nostro tempo come Giovanni Valletta; poi uno sguardo al nostro oro verde, l’olio. Tutti elementi che insieme rispondono alla domanda “Perché vengo in Puglia” e che Gianni Seviroli traduce in poesia.

di Maria Rosaria De Lumè 

Taranto e la Grecìa salentina candidate a Capitale  italiana della Cultura 2022

“La cultura cambia il clima” è il tema intorno  al quale  ruota la candidatura di Taranto e della Grecìa Salentina a Capitale Italiana della Cultura 2022.

La partecipazione al bando del Mibact delle due realtà segna un passo importante nell’affermazione dell’identità comune per storia, cultura e tradizioni. I dodici comuni della Grecìa, in un primo momento autonomamente in corsa per la prestigiosa candidatura, hanno aderito al progetto del capoluogo ionico puntando sull’elemento ambientale che fa di Taranto il simbolo di un riscatto necessario e urgente. Riscatto che avverrà attraverso la cultura.  Il dossier presentato ha avuto successo e ora Taranto e la Grecìa salentina sono tra le prime 10  candidate  finaliste a Capitale italiana della Cultura 2022.  C’è anche Bari  con il culto di San Nicola come elemento di identità, segno di accoglienza, intercultura  e solidarietà.

«Nel nostro dossier c’è più anima – ha dichiarato il sindaco di Taranto  Rinaldo Melucci – altri ne hanno affidato la redazione ad agenzie specializzate perché sono in cerca di una vetrina che aiuti la ripartenza. Per noi è, invece, la partita della vita, perché certifica un movimento che questa città ha già avviato e che vede nella cultura e negli eventi driver fondamentali per la trasformazione della propria immagine. Siamo la città che ha organizzato più eventi e festival dopo il lockdown, siamo contenti di farlo. Condividiamo con gli amici della Grecìa Salentina molte cose, ma soprattutto la consapevolezza che siamo ciò che raccontiamo e, in un progetto, siamo ciò che lasciamo dopo di noi». Per i paesi della Grecìa hanno un posto di rilievo storia, cultura,  patrimonio materiale e immateriale e naturalmente il griko che per secoli li ha custoditi.

Si saprà a gennaio 2020 chi la spunterà tra le dieci finaliste.

Luisa Quarta

Dottoressa, cosa l’ha spinta a scegliere questa specializzazione?

All’inizio della mia carriera, durante gli anni di Università, il mio sogno era diventare un pediatra. Ma frequentando il reparto di Chirurgia Plastica e centro Ustioni dell’Azienda Ospedaliero- Universitaria di Parma, dove lavoro tuttora, vedere ricostruire qualcosa che mi sembrava impossibile, mi ha entusiasmato e mi ha dato nuova linfa per imparare sempre nuove cose, nuove tecniche. Inoltre il paziente ustionato è un paziente complesso che necessita di tante attenzioni e di tanta cura che viene ripagata dalla guarigione del paziente e dal suo sorriso. Il nostro lavoro è sempre stimolante. Il nostro obiettivo è curare ma dando grazia e bellezza. La chirurgia plastica ci permette di correggere dei difetti e anche ripristinare l’integrità e l’armonia e ricostruire ad arte quello che non ha creato madre natura. Questo forse è il mestiere più bello del mondo, perché coniuga scienza e arte. Scienza perché nella chirurgia sono necessarie profonde conoscenze tecniche. Arte perché considero tale ogni forma di espressione dell’intelligenza umana in grado di suscitare emozioni e piacere negli occhi di chi guarda. A noi chirurghi è data la possibilità e il piacere di modellare il corpo umano o rimodellare parti di esso.

La chirurgia plastica non è solo estetica: nel suo reparto vengono corretti gli esiti di gravi ustioni, malformazioni, tumori e traumi gravi. C’è differenza nell’approccio e nel decorso di queste due funzioni estetica e funzionale?

L’approccio è completamente differente. I pazienti giungono in chirurgia plastica per patologie neoplastiche, in seguito a traumi, per dismorfismi congeniti o acquisiti ed il chirurgo plastico, come ho detto in precedenza, ha il ruolo di guarire il paziente ma stando anche attento all’aspetto estetico e psicologico dello stesso.

In estetica l’approccio del paziente ma anche del chirurgo plastico, per quanto mi riguarda è differente. La chirurgia estetica è una branca della chirurgia plastica che presenta uno scopo esclusivamente cosmetico,cioè modifica la forma, ma non le funzioni. In estetica il paziente ha come obiettivo migliorare l’aspetto estetico e psicologico. La chirurgia estetica cerca di mitigare le insicurezze e le paure del paziente, cerca di migliorare l’autostima e di attenuare il senso di disagio provocato da un difetto fisico con il quale convive in modo non sereno.

Si sente di definirsi un’ artista mentre effettua questi interventi?

Mi definirei prima di tutto un medico, e inoltre un chirurgo con stile. L’atteggiamento più diffuso è quello di pensare al chirurgo estetico come ad un artista, un Raffaello del bisturi, pronto a soddisfare qualsiasi richiesta gli venga rivolta. Il chirurgo estetico è un tecnico che applica le metodiche oggi conosciute e utilizzate nella maggioranza dei casi, che deve capire le esigenze del paziente, interpretandole nella maniera più corretta e applicando queste tecniche alla persona che ha di fronte. Il mio motto: lo stile è questione di eleganza, non solo di estetica. Lo stile è avere coraggio delle proprie scelte e anche il coraggio di dire di no. È trovare la novità e l’invenzione senza ricorrere alla stravaganza e all’eccesso.

Rifare il seno può essere una necessità o un’ esigenza. Quali sono i numeri nella sua esperienza?

In estetica, nella maggior parte dei casi è solo un problema psicologico e non funzionale. Alla base può esserci un desiderio di cambiamento di vita, per esempio dopo la fine di una relazione, un’aspirazione professionale oppure un’insoddisfazione più generale verso se stesse. Alcune pazienti arrivano con le foto di attrici a cui vogliono somigliare. La mastoplastica additiva è uno degli interventi più richiesti. Diversa è la situazione di un seno dopo allattamento o un forte dimagrimento che richiede un rimodellamento o addirittura dopo asportazione di tumore al seno (quindi in seguito a mastectomia o quadrantectomia).

Com’è cambiato l’approccio del pubblico nei confronti di questa branca da quando ha iniziato a studiare a quando ha iniziato a lavorare?

Le pazienti sono molto più esigenti e molto più informate. I pazienti fanno largo uso di tecnologie digitali, dei social.

Quali sono le proposte più innovative nei trattamenti estetici?

Utilizzo del PRP (plasma ricco di piastrine) per migliorare la qualità della pelle, del lipofilling; utilizzo di nuovi prodotti sempre più pratici da usare e più sicuri.

Quali sono le esigenze dei pazienti che non condivide?

L’unica cosa che non condivido sono le esagerazioni e le stravaganze.

Questa pandemia ha fatto passare in secondo piano tutti gli altri interventi. Si intravede il superamento di questa immane tragedia nella sua attività specialistica?

Cerchiamo di essere ottimisti. Con le opportune cautele si ricomincia.

a cura di Gioia Catamo


Luisa Quarta si laurea in Medicina e Chirurgia,  presso la Facoltà di Medicina di Parma e si specializza con lode in Chirurgia Plastica presso l’Università di Parma. Originaria di Galatina. È Dirigente Medico presso U.O.C Chirurgia Plastica e Centro Grandi Ustionati dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Parma.

Franco Papadia

Professore partiamo dagli inizi: cosa l’ha spinta a questa specializzazione?

La mia prima specializzazione è stata in chirurgia generale ed ho eseguito oltre duemila interventi comprendenti numerose operazioni di alta e altissima chirurgia generale, specialmente di chirurgia vascolare. A quarant’anni mi è stato conferito l’incarico d’insegnamento di chirurgia sperimentale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma e l’anno successivo l’incarico di insegnamento di Semeiotica Chirurgica presso la stessa Università che ho mantenuto per undici anni. A cinquant’anni, per tante ragioni che è lungo elencare e perché affascinato dalle bellezze in tutti i campi (natura, arte, corpo umano), ho deciso di dedicarmi alla Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica. Ho frequentato i più noti e importanti chirurghi plastici ed estetici europei e brasiliani (Tessier, Krastinova, Fournier, Hakme, Pitanguy).

La chirurgia plastica ed estetica è stata il punto di arrivo, la specializzazione conclusiva e definitiva come avviene nei paesi più qualificati in campo sanitario come gli Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Brasile ecc. (ma non in Italia) nei quali le specializzazioni nei vari campi della chirurgia sono possibili solo dopo una solida preparazione di chirurgia generale. L’Università di Parma mi ha premiato affidandomi la direzione della Cattedra e della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Plastica ed Estetica e l’ Ospedale di Parma il Primariato della divisione della Chirurgia Plastica Ricostruttiva e del Centro Grandi Ustionati, all’epoca unica struttura nella regione Emilia Romagna.

Ricorda quanti interventi ha fatto?

Oltre duemila interventi di chirurgia generale, principalmente vascolare ma anche addominale e toracica. Per la chirurgia plastica e ricostruttiva ed estetica per lo meno il doppio tra interventi eseguiti in ospedale e quelli in cliniche private.

Quali sono stati gli interventi che ricorda maggiormente? Ce n’è uno in particolare?

Una notte sono stato chiamato d’urgenza perché un marito geloso aveva scaricato tutto il caricatore della sua pistola sulla moglie colta di sorpresa con il suo amante. Emorragia gravissima, bisognava intervenire immediatamente. Uno dei tanti proiettili che avevano colpito la donna aveva oltrepassato il polmone destro, aveva lacerato il pericardio, la membrana che avvolge il cuore, leso anche alcune fibre del muscolo cardiaco e si era conficcato contro la colonna vertebrale. Per la prima volta, di notte ho dovuto eseguire un intervento di lobectomia polmonare che non avevo mai fatto, in condizioni difficilissime. Il polmone era infarcito di sangue come una spugna in cui tutti gli elementi, bronchi, le arterie e le vene, erano difficilmente distinguibili. Andò comunque molto bene e dopo una settimana la signora venne dimessa.

Per il secondo tempo della mia esperienza chirurgica, e cioè di chirurgia plastica, amo ricordare il primo intervento di cambiamento di sesso da uomo a donna eseguito alla fine degli anni Ottanta. Intervento riuscito molto bene e tra i primi eseguiti in Italia e che ebbe una grande risonanza.

È vero che la sua è una famiglia di grandi medici, dal Salento a dirigere grandi centri in tutta Italia: ce la presenta?

È vero la mia è una famiglia di medici: mio nonno dopo una laurea in lettere e filosofia si è laureato in medicina e chirurgia a Napoli nel 1842 (conservo gelosamente la pergamena della sua laurea) ed è venuto da Galatina, paese d’origine della mia famiglia, ad Uggiano la Chiesa come medico condotto. Io e i miei due fratelli ci siamo laureati a Bari e poi ci siamo affermati nel Nord Italia. Mio fratello maggiore Salvatore è stato docente universitario e primario di ostetricia e ginecologia a Genova. Mio fratello Lucio primario in ortopedia pri- ma nell’Ospedaletto dei bambini a Bari e poi primario della Divisione di Ortopedia a Piacenza.


Franco Papadia è Medico e Chirurgo, Salentino doc, originario di Uggiano La Chiesa, laureato presso l’Università di Bari, è stato direttore della Scuola di Specializzazione in Chirurgia Plastica presso   l’Università di Parma.

Autore di centinaia di pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali. Ha effettuato migliaia di interventi. E anche adesso, nonostante sia già in pensione da anni, continua la sua attività con l’aiuto della sua allieva Luisa Quarta, anche lei Chirurgo Plastico a Parma, ma Salentina di nascita.

a cura di Gioia Catamo

Pietro Palma

Dal Salento, a Bologna per laurearsi in Medicina. I “ragazzi” di via Montenero a Bologna. Che cosa ricorda della sua esperienza universitaria?

Era un’Italia diversa. I giovani non possono immaginare. Per esempio, non c’erano i telefoni, e si scriveva ai genitori o alla fidanzata. E che gioia ricevere la posta! Il gettone telefonico rivoluziona la comunicazione. Le cabine della SIP diventano luoghi di desiderio. Nel mio paesino (Melpignano) c’era una sola cabina in un bar, e i miei genitori aspettavano la mia telefonata il sabato alle 17. Poi, nel 1977, dopo anni di lista d’attesa alla SIP (la TIM dell’epoca) finalmente arrivò il telefono a casa dei genitori. Da quel momento cambia la forma della comunicazione. Non tutto il nuovo è positivo, ma allora era un segno di modernità pazzesco. L’università segna una vita. Per esempio, con il mio collega e amico Lucio Catamo fin dal primo anno di Università ho condiviso il medesimo appartamento. Via Montenero, Bologna. Zona Saffi. La bella gioventù. Casa nostra era un porto di mare, la tavola sempre apparecchiata, sempre un materasso da sistemare da qualche parte per qualcuno/a di passaggio. Bologna era le osterie del Pratello, il cinema Roma d’Essai, Lucio Dalla, l’ubriacatura politica (qualcuno è ancora sbronzo!). Ma anche lo studio matto e disperatissimo. Nello stesso appartamento, due indimenticabili persone con le quali il destino è stato crudele, entrambi colleghi di studi: Antonio Avantaggiato strappato troppo, troppo giovane ai suoi cari e alla sua brillante carriera, e più recentemente l’altro storico amico, Giovanni  Tommasi di Calimera.

La Medicina è una scienza, ma la rinoplastica è un’arte, dunque cosa l’ha spinta a questa specializzazione?

Non so se esista il destino. Certamente esiste il caso che ti fa trovare in un posto specifico in un momento specifico. La mia scelta nasce da un incontro casuale. Ero specializzando a Siena, ma il fine settimana tornavo a Bologna perché ci viveva la fidanzata dell’epoca. Un sabato mattina vado a trovare un mio ex-collega di corso specializzando al Policlinico Sant’Orsola. Per caso noto che c’è un congresso di chirurgia nasale. Entro. Solo curiosità, in attesa di incontrare il mio amico che stava visitando. A Siena la chirurgia nasale non mi interessava perché veniva all’epoca eseguita con tecniche “rustiche”. Come San Paolo sulla via di Damasco, rimango folgorato da una persona, che fa vedere filmati (VHS!!!), diapositive e risultati funzionali ed estetici che mi lasciano a bocca aperta. Capisco che è la mia strada. E che farò questo. Mi informo. Il relatore è il Prof. Giorgio Sulsenti, primario ORL in un piccolo ospedale subito fuori Bologna, Castel San Pietro Terme. Il lunedì dopo mi fiondo a Castel San Pietro. Con una gran faccia da tolla, mi presento e dico al Prof. che ero rimasto affascinato dalla sua presentazione. Da siciliano “vero” con parlata siciliana, mi chiede di descrivermi in 5 minuti, mi squadra e chiama la sua segretaria. “Angela, dia un camice al dottore”. Pazzesco, non mi era mai successo prima. A Siena mi dovevo portare il camice da casa! Nel pomeriggio mi dice ”Senti, Rino. Dovrei fare una ricerca bibliografica. L’ho detto ai miei, ma non ne viene fuori nulla. Da mesi”. Dopo 3 giorni gli porto un borsone pieno di articoli, e lui quasi piange. Da allora comincia il viaggio in comune, io un figlio per lui (che non aveva figli), lui un secondo padre per me. Mi ha insegnato tantissimo. Mi manca ogni giorno, la nostra foto è sul tavolo del mio studio.

Perché la rinoplastica?

Non esiste nessun intervento così intrigante come la rinoplastica. Viene considerata la “regina” della chirurgia plastica facciale perché è tecnicamente complessa. Esistono centinaia di tecniche che bisogna conoscere e aver praticato per poi scegliere quelle che funzionano meglio nelle proprie mani. La rinoplastica è un intervento speciale. Mai solo completamente estetico, mai solo completamente funzionale. Nessun altro intervento ha, per il paziente, il medesimo impatto estetico, funzionale, psicologico di una rinoplastica. Nessun altro intervento ha, per il chirurgo facciale, una curva di apprendimento così lunga e complessa, un percorso professionale scandito da una continua, umile ricerca di applicazione di tecniche sicure e sperimentate per raggiungere una finezza di risultati che soddisfi desideri e aspettative dei nostri pazienti così particolari. Ho imparato che ogni rinoplastica non può che essere unica. Semplicemente perché ogni paziente è unico. Viso, naso, desideri, aspettative. Ho imparato che naturalezza di risultati è il vero, autentico obiettivo. C’è chi confonde naturalezza dei risultati con semplicità di tecnica. È esattamente l’opposto. Ogni dettaglio, dal progetto chirurgico all’esecuzione, è pensato e ripensato. E poi ancora ripensato. Perché nessun dettaglio è solo un dettaglio. Ecco perché la rinoplastica non può essere uno dei tanti interventi che un chirurgo ha nel proprio repertorio. La rinoplastica non è un passaggio intermedio, è la destinazione finale. Siamo in pochi noi chirurghi che decidiamo che la rinoplastica sarà la nostra missione professionale esclusiva. Lo dico sempre ai miei ragazzi: è difficile sopravvivere con una sola merce sugli scaffali. Per farcela, quella merce deve essere veramente speciale. Dopo quasi 30 anni di rinoplastica, ogni intervento continua ad affascinarmi e sfidarmi, perché è sempre nuovo, e perché si ha nelle mani un intervento che cambia la vita alle persone.

Quanti interventi ha fatto e quali sono stati quelli che ricorda maggiormente?

Sono oltre 4000, semplici, complessi, estremi. Ho una cartella con lettere, cartoline, mail dei miei pazienti. Quando arrivano quelle sere un po’ così che tutti abbiamo, mi ci tuffo ed è rassicurante vedere di avere lasciato buone tracce del proprio passaggio. Forse perché recente, è particolarmente emozionante il feedback con una paziente americana, una cantante. Molto bella, più appariscente non si può. Già operata a Beverly Hills, e non dall’ultimo arrivato, non era contenta del risultato. Per anni vede decine di chirurghi, fa surfing su Internet finché non atterra sul mio sito. Mi scrive una mail e dice che sente di aver trovato il chirurgo “giusto”. Lontano, ma le sembra quello giusto. Gli americani lo chiamano “gut feeling”, noi istinto. L’ho operata a fine luglio dell’anno scorso. Felicissima lei, felicissimo il marito. Lei decide di scrivere per me una recensione pazzescamente positiva, sul più importante portale americano di chirurgia plastica realself.com (lo possono consultare tutti). Questa recensione diventa un magnete che mi porta pazienti da tutto il mondo.

Quali sono le sue emozioni?

L’emozione si ripete ogni volta che si tolgono i cerotti dal naso dopo l’operazione e il paziente si vede allo specchio per la prima volta con un “nuovo” naso, un nuovo viso. È sempre un tuffo al cuore, un’onda di calore. È una chirurgia che mi dà adrenalina. Non posso dimenticare l’emozione di chirurgo e di padre, l’anno scorso. Opero una ragazza di 16 anni con un naso veramente grande e deforme. Bullizzata, chiusa a casa, senza amici, trasandata. I genitori sono in sofferenza acuta. L’ho rivista in primavera. Irriconoscibile. Sorridente. Truccata. Bella. Finalmente si notavano i bellissimi occhi verdi. Uscendo dallo studio, il padre mi stringe il braccio e mi sussurra: <<Le sarò grato per tutta la vita. Da padre lo può capire>>. Ci siamo guardati negli occhi. Senza parole.

Quali sono le proposte più innovative nella rinoplastica?

Dopo le automobili, il concetto di ‘ibrido’ si estende anche alla chirurgia nasale. Si chiama infatti ‘rinoplastica ibrida®, un mio approccio che ho pubblicato e registrato ormai da qualche anno, la tecnica che combina i vantaggi delle metodiche più tradizionali: quella aperta (con incisione della cute esterna per consentire una visione a cielo aperto dello scheletro del naso) e quella chiusa (con incisioni interne al naso, dunque senza alcuna cicatrice esterna evidente). Nella mia esperienza, i vantaggi sono evidenti: riduzione del 30% dei rimodellamenti successivi ad un primo intervento, risultato finale più fine, un miglioramento del 15% rispetto alla chirurgia chiusa. Rispetto alla classica tecnica aperta, azzeramento delle cicatrici della columella (il pilastro centrale che separa le due narici), riduzione dell’edema e meno rigidità post-operatoria.

Quali sono le esigenze dei pazienti che invece non condivide?

La stragrande maggioranza dei pazienti che vedo sono persone equilibrate, con desideri e aspettative realistiche. Il chirurgo rinoplastico sviluppa, nel corso degli anni, abilità di diagnosi psicologica, anche nell’interpretazione dei segni non verbali. È importante vedere il paziente almeno una seconda o anche una terza volta per stabilire un flusso circolare di empatia che è parte fondamentale del percorso terapeutico.

Ci sono casi che decide di non operare?

Sì, circa il 2% dei pazienti che giungono al mio studio. Lo faccio per il loro bene, perché ci sono altissime probabilità che rimangano scontenti anche se l’intervento è obiettivamente riuscito. Per esempio, esiste una tipologia di pazienti per i quali la rinoplastica è una missione impossibile. Sono le situazioni in cui un difetto obiettivamente minimo diventa soggettivamente motivo di grande sofferenza interiore. Bisogna proteggere i pazienti da loro stessi. Lo dico sempre ai giovani: le persone che si rivolgono a noi non sono “clienti”, sono pazienti. Bisogna evitare di “vendere” l’intervento, ma questa è un’altra storia. Il marketing aggressivo sui social ha effetti a volte veramente deleteri.

Come vede questo Progetto di Promuovere la Puglia valorizzando le ricchezze del territorio ma anche le eccellenze della sanità, del luogo e originari del Salento?

Questo è un sogno di Lucio. Io credo che ci sia una logica. Il turismo sanitario in Italia è una realtà, ed è la grande fuga dal Sud. Gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2018: circa 736mila pazienti (una media di circa il 9% dei ricoveri) sono stati curati in Regioni diverse da quelle dove sono residenti. Questa mobilità vale economicamente più di 4,6 miliardi di rimborsi tra le regioni. In testa c’è la Lombardia dove vanno a farsi curare oltre 100mila persone provenienti da altre aree d’Italia. A seguire, ma a grande distanza, troviamo Emilia Romagna e Toscana. Al contrario i saldi maggiormente negativi sono quelli della Campania, Calabria e Sicilia. Ma ci sono torme di Italiani che si muovono anche fuori d’Italia per interventi estetici o dentari, attratti dal low-cost di paesi quali Turchia, Marocco, Croazia, Bulgaria. E. più recentemente, anche le nazioni dell’Europa centrale e balcanica. È possibile intercettare questo flusso e garantire livelli di cura a costi sostenibili? È possibile creare le condizioni per il turismo della chirurgia estetica che possa attrarre al Sud non solo pazienti italiani ma europei? La mia idea è che sarebbe possibile. Ma ci sarebbe bisogno di una rivoluzione copernicana. La classe politica che ci governa è all’altezza? Ha questa capacità di visione? Lascio la risposta a ogni lettore.

Questa pandemia ha fatto passare in secondo piano tutti gli altri interventi. Si intravede il superamento di questa immane tragedia nella sua attività specialistica?

La pandemia ha sconvolto il sistema ospedaliero del Nord Italia, soprattutto qui in Lombardia. Gli sforzi effettuati sono stati immani e, nei momenti di massima pressione, si sono dovute fronteggiare situazioni inimmaginabili. Nessun sistema può sostenere questa onda. Lo si è visto in Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna. Quasi ovunque. Non è questa la sede per fare analisi sulle modalità con cui si è gestita la pandemia. Certamente tutta la chirurgia elettiva ha dovuto fermarsi. Molti di noi lo hanno fatto anche prima dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Io ho ripreso i primi di giugno con percorsi di ingresso in clinica molto rigidi, che prevedono tampone e TC torace a basso dosaggio per tutti gli operandi il giorno prima dell’intervento.

Posso dire un’ultima cosa? Riaprendo lo studio, temevo di avere una drastica riduzione del numero di pazienti che richiedono una rinoplastica. Tutto l’opposto. Dopo il lockdown, le persone hanno necessità di positività, di sentirsi bene. Cosa c’è di meglio che investire su se stessi, sul proprio viso, e sul centro del proprio viso?

Nasce a Lecce, studia al Liceo Classico “Capece” di Maglie.

Laureato con lode in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna. Specializzazione a pieni voti in Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale presso l’Università di Siena. Da inizio anni ’90 si dedica esclusivamente alla chirurgia nasale, e alla rinoplastica in particolare, sotto la guida del suo indimenticato maestro a Bologna, il Prof. Giorgio Sulsenti. A metà anni ‘90 si trasferisce a Milano. È stato Dirigente Medico presso la Clinica ORL & Chirurgia Testa-Collo, Università dell’Insubria, Ospedale di Circolo e Fondazione “Macchi”, Varese (Direttore: Prof. Paolo Castelnuovo). Ha rivestito ruoli accademici, nel corso degli anni, presso la Clinica ORL & Chirurgia Testa-Collo delle Università di Padova, Brescia e Varese. Autore di 200 pubblicazioni scientifiche, quasi tutte inerenti la chirurgia nasale, e la rinoplastica in particolare. È autore di svariati capitoli sulla rinoplastica apparsi su trattati internazionali di rinoplastica e chirurgia plastica. È relatore e operatore in chirurgia in diretta in meeting, corsi e congressi di rinoplastica in tutto il mondo. È Fellow dell’American College of Surgeons. Ha svolto ruoli di leadership di primissimo piano in società scientifiche nazionali e internazionali: Presidente della Federazione Internazionale delle Società di Chirurgia Plastica Facciale, Presidente dell’Accademia Europea di Chirurgia Plastica Facciale, Presidente dell’Associazione Italiana ORL di Chirurgia Plastica Facciale.

a cura di Gioia Catamo

L’eleganza dell’ESTETICA

INTERVISTA DI MICHAEL MUSALEK 

Quando etica ed estetica si sono affacciate nella discussione sulla salute mentale e sulla psichiatria, ovvero quando i ricercatori hanno colto l’importanza di tale discorso per la cura dei pazienti e il discorso sulle istituzioni?

Bene, direi che la domanda sull’etica inizia con la psichiatria stessa. Ma come critica istituzionale, credoabbia avvio con Michel Foucault, negli anni ‘60, quando produce le sue memorabili riflessioni sull’istituzione manicomiale. A mio avviso, la domanda sull’estetica in psichiatria inizia con lui. Anche se non lo ha mai scritto esplicitamente, per me si tratta di un approccio estetico: Foucault non ha lavorato solo sull’aspetto etico riguardo alla malattia mentale e all’istituzione totale ma era invece davvero molto interessato al concetto che definiva “l’essere umano e la sua esistenza come un’opera d’arte”.

Foucault cita naturalmente anche Nietzsche, che è stato il primo ad introdurre la dimensione estetica nel campo di ricerca sulla mente e sul pensiero, parlando anch’egli dell’essere umano come opera d’arte. Dopo ne ha parlato Foucault, e quindi io ho ereditato da entrambi il concetto, portandolo questa volta all’interno dell’analisi psicopatologica.

Quindi si può dire che l’etica appaia con la nascita stessa dello studio della mente, e che quindi l’estetica arrivi più tardi; ma io, francamente, credo invece che l’etica sia figlia dell’estetica. Questo perché l’essere umano ha sin dal principio anelato ad avere una vita confortevole e bella, e questo non è un problema di etica bensì di estetica, e solo in seguito diventa consapevole che la gioia, ad esempio, può non essere sufficiente e che quindi c’è bisogno di uno strumento in grado di regolare il bisogno e il comportamento. È lì che nasce l’etica, il cui fondo è quindi quello di una regolazione del bisogno, regolazione della spinta estetica originaria.

Come si declinano quindi l’etica e l’estetica nel campo della salute mentale, ma non solo?

Per me, l’estetica è “estetica sociale”, diversa ovvero dall’estetica individuale che si focalizza solo sul soggetto e non sul soggetto che vive con altri soggetti. La questione fondamentale per il nostro lavoro è invece sociale, il fatto ovvero che i soggetti vivono insieme e non da soli. L’estetica sociale ha tre dimensioni fondamentali: estetica sociale come un campo di interesse e prospettiva sul mondo, attraverso la quale possiamo dare senso alle nostre esperienze; estetica sociale come metodo alternativo a quello delle scienze naturali (come quello scientifico o statistico), un metodo speciale di pensiero e azione; estetica sociale applicata, ovvero la definizione di un modo di vivere, un modo di comportarsi e vivere la vita nel quale i principi etici siano la principale fonte quotidiana di ispirazione.

Quindi, per tornare alla domanda, tutte e tre le dimensioni hanno un senso. La prima dimensione gioca un ruolo chiave nel definire un programma di trattamento basato sull’estetica sociale. Obiettivo della cura potrebbe ad esempio non essere l’astinenza dalle sostanze, ma riuscire a vivere una vita piena di gioia.

Ma come poter raggiungere l’obiettivo? Abbiamo bisogno di un metodo estetico-sociale per riuscire a sperimentare questo tipo di vita. Abbiamo quindi infine bisogno di compiere dei passi pratici, come abbiamo fatto a Vienna negli ultimi dieci anni. Perché per il cambiamento non basta pensare ad una vita estetica-sociale, non dobbiamo solo parlarne ma dobbiamo viverla nella clinica.

Su queste basi teorico-pratiche, quale potrebbe essere allora il ruolo di estetica ed etica nella cura del corpo, nella cura medica?

Mi riferirò qui a Wolfgang Welsch, filosofo e antropologo tedesco, che distingue due modalità fondamentali dell’estetica: l’“estetica superficiale” e l’“estetica profonda” (Aesthetics Beyond Aesthetics). L’estetica superficiale la troviamo nel discorso sulla chirurgia plastica (come anche nell’abbronzatura ecc.), ma non è il tipo di questione alla quale mi riferisco quando discuto di “estetica sociale”. Ciò di cui discuto io fa invece parte del campo dell’estetica profonda, quella che deriva dal citato concetto di Foucault di “essere umano come opera d’arte”, ovvero dalla possibilità che abbiamo di farci opere d’arte, di configurarci in un modo nuovo, evolvere in una nuova e migliore maniera. Possiamo fare delle mosse concrete per migliorarci. Un piccolo esercizio è quello di sorridere. Una volta ho comunicato all’Istituto Anton Proksch che quello sarebbe stato l’anno del sorriso: mi sorrisero tutti! Il primo passo era fatto. Il secondo passo sarebbe stato quello per cui tutti dovevano diventare consapevoli che non si sorride abbastanza, che i bambini lo fanno molto più spesso di noi adulti, e non va bene!

Escludendo a questo punto gli eccessi e le esagerazioni dovute a patologie sottostanti, possiamo considerare il bisogno di estetica come una espressione dell’umano percorso verso la perfezione?

Facciamo una distinzione all’interno del concetto di perfezione. Da una parte c’è la perfetta funzionalità, che ci interessa e non ci interessa in questo caso. Dall’altra abbiamo invece la perfezione estetica, il cui grado maggiore è quello dell’eleganza, un alto grado di eleganza. Facciamo un esempio: tu sei alla ricerca di un medico per una consulenza chirurgica e ti trovi a scegliere tra due gruppi di chirurghi, uno di medici eleganti e uno di medici non eleganti; osservandoli, noti alcuni che lavorano in maniera elegante e gli altri che danno invece l’impressione di non essere eleganti. In ogni caso, ed è questo che lega estetica e funzionalità, i risultati dei medici eleganti sono molto migliori di quelli dei medici non eleganti, testimoniando così di una connessione molto forte tra l’estetica e i risultati nel proprio lavoro. Non è come la maggior parte delle persone pensano, ovvero che bisogna puntare alla perfezione in ciò che si fa (nella pratica e nella tecnica), ma invece per poter avere un buon funzionamento a livello medico in generale si deve essere eleganti. Lo stesso dicasi per il campo della psicopatologia e della psichiatria. Alcuni psichiatri intenti ad indagare il campo sintomatico e l’esperienza dei loro pazienti appaiono davvero eleganti, si ha quasi l’impressione che stiano semplicemente chiacchierando. Nulla di più. Altri, invece, lavorano come dei veri e propri poliziotti, devono trovare gli indizi a tutti i costi e così via. I primi ottengono le migliori informazioni per fare una diagnosi accurata, perché, mi capirai, di fronte ad un poliziotto, tu dici solo quello che devi dire. Cos’altro vorresti dire? L’eleganza gioca un ruolo preponderante nel funzionamento e nella perfezione. Quindi per me, lavorare in maniera estetica rappresenta la base fondamentale per un buon funzionamento e quindi per il conseguimento della perfezione.

Possiamo quindi parlare della perfezione, o della ricerca della perfezione come un valore? E, in questo senso, come l’estetica incontra l’etica?

C’è una grande differenza tra etica ed estetica rispetto al concetto di perfezione. Se osserviamo il concetto di perfezione da una prospettiva etica, è abbastanza noto che se seguissimo tutte le regole, nessuna esclusa, senza nessuna eccezione, otterremmo la perfezione. La perfezione sarebbe il risultato ultimo del seguire il “già dato”.

Questo non è evidentemente il caso del discorso estetico, per il quale la bellezza perfetta non è quella che deriva da regole e norme perfette. Ho discusso questa questione con un pittore, un mio caro amico che ora è mancato, che dipingeva soprattutto busti di donna. Lui così diceva: <<Per dipingere un busto fatto bene, se vuoi avere ovvero due seni perfetti da un punto di vista estetico, devi realizzarli in maniera leggermente differente. Non possono essere totalmente simmetrici perché sembrerebbero artificiali e non erotici, senza nulla all’interno. Devono avere una leggera differenza, non essere perfetti. Solo così possono essere belli>>. Esiste una differenza quindi tra perfezione estetica e perfezione etica. È lo stesso nel campo della musica: se esegui un brano tenendo a mente solo il punto di vista fisico, dei suoni, degli intervalli ideali, rispettando le note e le pause, oppure se componi un pezzo perfettamente armonico, alla lunga tutto diventa noioso, tutto uguale, non bello. Servono delle differenze. Così come in l’architettura: progetti una serie di villette a schiera. Non c’è nulla di bello, è stancante. Servono piccole differenze, ma non troppe differenze perché altrimenti si creerebbe il caos e non è certo qualcosa di bello. Le differenze sono necessarie per avere il bello, e noi, in quanto esseri umani e non macchine, ne siamo provvisti per fortuna, e in grande quantità.

 a cura di Paolo Colavero


Michael Musalek

Studia Medicina a Vienna, si specializza in Psichiatria e Neurologia e quindi in Psicoterapia. A capo del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Vienna, (1989-2001), lavora anche come Psichiatra di Collegamento dell’Unità di Psico-dermatologia della stessa Università. Senior Lecturer dal 1990, dal 1997 è Professore di Psichiatria presso la Scuola di Medicina dell’Università di Vienna. Dal 2001 Direttore Medico del Dipartimento Alcolismo e Dipendenze dell’Anton Proksch Institute di Vienna, dal 2004 è Direttore Medico Generale dello stesso Istituto, una delle più grandi e note cliniche europee ad occuparsi di cura delle dipendenze (più di 12.000 pazienti trattati per anno). Professore presso la Sigmund Freud University di Vienna e Visiting Professor presso l’università di Belgrado, ideatore e animatore del Programma Orpheus, dal 2015 dirige l’Istituto per l’Estetica Sociale e la Salute Mentale della Sigmund Freud University. Membro attivo della World Psychiatric Association , dell’European Psychiatric Association, nel Comitee on Education, Chaiperson della Psychopatholgy Section dell’EPA e Chairperson della Clinical Psychopathology Section della WPA.

Paolo Colavero

Paolo Colavero

Nel 2007, su invito di Gilberto Di Petta, a sua volta introdotto quello stesso anno da Arnaldo Ballerini, ho iniziato a frequentare i meeting della Sezione Psicopatologia dell’European Psychiatric Association (EPA). Il venerdì pomeriggio dell’incontro, che si tiene da sempre presso il mitico Hôpital la Salpêtrière di Parigi, Gilberto mi presentò come un allievo della gloriosa Scuola Italiana di Psicopatologia Fenomenologica, lasciapassare che mi permise di introdurmi (insieme al collega Matteo Rossi) in quel circolo ristretto di fini psicopatologi europei. Una quindicina in tutto, provenienti da Finlandia, Portogallo, Inghilterra, Romania, Grecia, Norvegia, Germania, Italia e Austria. Austriaco era appunto il Chairperson della Sezione, il prof. Michael Musalek, poco dopo divenuto semplicemente Michael, uomo di grande cultura e umanità, che ci accolse immediatamente nel gruppo, rallegrandosi della presenza di nuove giovani reclute. Dal 2007, sempre con Gilberto Di Petta e senza soluzione di continuità, frequento la riunione annuale della Sezione, luogo nel quale ho conosciuto Peter Berner, uno dei protagonisti della psichiatria europea del ‘900, e dove sono diventato collega e amico di nomi come John Cutting, Femi Oyebode, Pedro Varandas, Maria Luisa Figueira e Michael Musalek. Quando ho saputo che il focus del nuovo numero della rivista sarebbe stato su etica ed estetica, ho proposto immediatamente a Michael una intervista sulla sua idea di etica ed estetica in medicina e psichiatria, proposta che lui ha accolto subito con grande entusiasmo e generosità, regalandoci una introduzione molto centrata, leggera e profonda allo stesso tempo, che sono certo aiuterà il lettore a calarsi immediatamente al centro del problema e, non meno importante, dell’atmosfera.

Editoriale, Salute e Turismo agosto 2020

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Gioia Catamo

La vita che diventa sempre più frenetica e la limitata disponibilità di tempo da dedicare contemporaneamente a famiglia e a lavoro, fa sì che passi in secondo piano la salute. Continuiamo con questo numero di Puglia Tutto l’Anno la rubrica dedicata alla salute, gestita da Medinforma, con l’ambizioso progetto di conciliare la cura del corpo con il nostro mare, gli itinerari del gusto, dell’arte e dello sport, soddisfacendo le esigenze di tutta la famiglia. L’intento è quello di coniugare i molteplici momenti che contribuiscono al benessere, ma soprattutto alla cura di noi stessi, nell’unico momento possibile: le vacanze, valorizzando le ricchezze del nostro Salento. Una vacanza per esperienze culturali, sportive e gastronomiche offrendo al contempo un’assistenza medica specialistica e specifici trattamenti riabilitativi per le diverse patologie o al solo fine di recupero psico-fisico, mettendo a disposizione ambienti che concilino divertimento e riabilitazione. Fornendo l’adeguata accessibilità alle persone con disabilità, dagli alloggi alla spiaggia: è questo il nostro ambizioso progetto. Progetto al quale in tanti credono. Fra questi InnovAAL.

InnovAAL nasce da una partnership di aziende pubblico-private, per la ricerca e l’attrazione di investimenti nei settori dell’ICT e dei servizi a favore della qualità della vita degli anziani. Per saperne di più chiediamo al Presidente Pietro Siciliano.

Chi è InnovAAL, qual è la sua mission, ma soprattutto come lavora per perseguire tale obiettivo?

Pietro Siciliano

INNOVAAL, nella sua concezione distrettuale (con 22 soci privati e 2 soci pubblici, tra Imprese, Enti di Ricerca, Associazioni di Categoria che rappresentano le persone e gli utilizzatori, in quanto espressioni di fabbisogni) opera in specifici contesti dettati dalle esigenze della società, con chiari obiettivi tecnologici ed industriali ma contestualmente rivolti alla soluzione di problematiche socio-economiche in tematiche emergenti, quali: “Invecchiamento Attivo ed in Salute, Tecnologie per l’Assistenza Domiciliare, Smart Living, Salute e Turismo, ecc.”. Le attività ed i processi da intraprendere nei progetti sono sostenuti dalla utilizzazione della metodologia dei “Living Labs” che, con caratteristiche proprie dell’ “User-Centered Design”, è finalizzata alla dimostrazione e validazione di soluzioni complesse in contesti molteplici ed evolutivi della vita reale. La costituzione del Living Lab regionale “InnovAALab”, con una presenza di diversi Siti Pilota organizzati a rete, rappresenta un bacino di utenza su scala regionale per la validazione delle soluzioni tecnologiche derivanti  dai risultati dei progetti di INNOVAAL e vede la “Puglia come Laboratorio Sociale”.

In ambito turistico invece, come vede la ripresa di questo settore in Puglia?

Stiamo vivendo un momento epocale ed il settore turistico è sicuramente tra quelli più colpiti dall’emergenza Covid. Nell’immediato risulta veramente difficile fare previsioni. Probabilmente, se gli operatori sapranno sfruttare al meglio le opportunità offerte da una società che dovrà necessariamente riorganizzarsi, allora potrà esserci una ripresa, inventando nuovi modelli di gestione del settore turistico. Non più quindi una visione tradizionale, ma prendere Covid come un’opportunità per migliorare i servizi.

Con quali strumenti si potrà ipotizzare una ripartenza?

Sicuramente non si può avere la bacchetta magica. Sarà una ripresa graduale che dovrà farci abituare a  pensare e vivere in modo diverso dal passato. Gli imprenditori dovranno farsi venire idee innovative per adeguare il mercato alle esigenze dettate dalle mutazioni sociali che necessariamente interverranno, sfruttando in positivo tutte le potenzialità. Per poter ipotizzare una ripartenza, credo sia indispensabile riconfigurare il nostro modo di pensare, riadattandolo ai fabbisogni di una società anch’essa in riconfigurazione. Gli italiani sono stati sempre maestri in questo (il Made in Italy ne è un esempio) ed anche questa volta sapranno sicuramente trovare gli strumenti appropriati.

Il 5 settembre abbiamo programmato un convegno. Obiettivo: “Riprendiamoci la Vita”. Il tema, che riteniamo fondamentale perseguire, in un momento in cui è necessario pensare positivo, è La Bellezza: Etica ed Estetica, Medicina e Chirurgia al servizio della Salute Fisica e del Benessere Psicologico.

Si confronteranno su questo tema con proposte diverse e innovative, per un adeguato trattamento conservativo o chirurgico, specialisti originari del Salento che si sono formati e affermati in altre realtà e specialisti innamorati del Salento, con cui abbiamo realizzato delle interviste che vi presentiamo nelle pagine successive. Continueremo questo impegno nei prossimi numeri di questa rivista, Puglia Tutto l’Anno, con l’auspicio che possa essere di grande vantaggio per la nostra Regione.

a cura di Gioia Catamo

Le vie della bellezza

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da “Puglia tutto l’anno” agosto 2020

Non è un caso se in modo sempre più pressante e da più parti, dopo il Covid-19 e il suo bagaglio di conseguenze nei vari campi, si parli sempre di più del valore della bellezza.  Per quasi tre mesi siamo stati costretti a stare lontani dalle tre principali sorgenti del bello: la natura, gli uomini, l’arte. In nostra assenza pare che la prima si sia purificata liberandosi dai nostri attacchi nocivi; i secondi a loro modo si sono purificati, hanno fatto buoni propositi, ma non si sa se li manterranno; la terza sa aspettare e intanto si potenzia proprio attraverso la forza dei nostri desideri.

Nel periodo di chiusura abbiamo avuto tutto il tempo di riflettere e di interrogarci sulla natura del bello di cui improvvisamente eravamo privi: il bello è soggettivo o esiste al di là del gusto individuale? Quale il rapporto tra il bello e l’arte, quale tra l’estetica e l’etica? E intanto tra i colori di mille arcobaleni abbiamo scritto che sarebbe andato tutto bene, da mille balconi abbiamo cantato canzoni di resistenza e speranza.

La bellezza salverà il mondo (forse), ma intanto facciamo in modo che salvi ognuno di noi.  Ognuno faccia del suo meglio. Incominciamo a nutrirci di bellezza perché ansie e paure si allontaneranno. O meglio ancora, ricerchiamo l’attesa dell’epifania della bellezza. Già l’attesa della sua manifestazione anticipa lo stupore, la meraviglia che non sono  solo il prodotto della bellezza ma la disposizione d’animo, la disponibilità, la purezza di cuore che ci fa vivere in armonia con le sue sorgenti.

Dobbiamo ricercare, quindi, le sue vie. Vito Mancuso nel libro intitolato “La via della bellezza” sostiene che per vivere bene occorre scegliere la via più bella. A prima vista sembra una ovvietà, ma di solito non ci facciamo caso. Questa estate ricerchiamo le vie più belle nella nostra regione: nelle spiagge, nei borghi, anche nei più piccoli, nei musei, nelle biblioteche, negli appuntamenti che, come quello della Notte della Taranta, ci rimandano alle radici della salentinità con le note della pizzica e i versi in griko.

Puglia tutto l’anno vuole accompagnare i lettori in questo percorso. Forse alla fine nascerà un nuovo umanesimo post Covid su cui in tanti si stanno interrogando. C’è chi dice che un elemento determinante sarà il ritorno nei paesini che sono stati abbandonati con tutto quello che questo cambiamento di rotta significherà. Noi condividiamo il concetto di “restanza” dell’antropologo Vito Teti, così come lui stesso lo spiega in questo numero.  E intanto consigliamo di scegliere le vie pugliesi  della bellezza e di percorrerle come vogliamo: a piedi, in bici, in auto, in pullman, ma sempre con la disponibilità a stupirsi.

di Maria Rosaria De Lumé