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Il turismo alla ricerca di una nuova normalità

Puglia bella e possibile

La tempesta sembra passata, la vita sembra riprendere (quasi) come tre mesi fa, le città si sono animate, spiagge e locali aperti, nei parchi sono tornati a giocare i bambini. “Sembra”, naturalmente, perché in realtà sono cambiate tante cose dentro e fuori di noi. Se ci fermiamo ad analizzare l’ambito del turismo, in continuità col numero precedente di Puglia tutto l’anno, dobbiamo sottolineare che la filiera del turismo è stata la più colpita, sono venute meno tutte le certezze che sembravano acquisizione sicura. L’intervista all’assessora regionale all’Industria turistica e culturale, Loredana Capone, e l’intervento dell’ex commissaria dell’Azienda di promozione turistica della provincia di Lecce, Stefania Mandurino, avevano tracciato i traguardi e i successi raggiunti dopo un lavoro serrato di anni di impegno. Dobbiamo dimenticare tutto? No, quei dati ora servono da promemoria: eravamo arrivati a un buon livello anche nel difficile ambito della destagionalizzazione non senza la consapevolezza che c’era ancora tanto da fare. Il Coronavirus ha interrotto un percorso proprio quando si cominciavano a incassare i frutti del lavoro di tanti operatori a tutti i livelli.  E ora, dopo che la tempesta sembra transitata, si contano i danni, si chiede e si dà aiuto, si ritorna sul nastro di una ripartenza di un turismo che va alla ricerca di una nuova dimensione, che sarà sempre comunque accattivante perché la materia prima c’è ed è sempre bella. Anzi di più. Sarà comunque una dimensione diversa, si va alla ricerca di una nuova normalità che va costruita tenendo conto proprio degli effetti della “tempesta” appena superata.

L’orizzonte si è improvvisamente ristretto, ma non per questo ci si deve sentire limitati e impediti a continuare a viaggiare. È sufficiente riscoprire il valore della “siepe” di leopardiana memoria, il confine che limita l’orizzonte e che proprio per questo dà lo slancio di guardare al di là fino a cogliere spazi infiniti. Il “turismo di prossimità” c’è sempre stato, ma da quest’anno è diventato una vera e propria necessità. Facciamolo diventare di moda. Scoprire le nostre città e i nostri paesi con occhi nuovi capaci di vedere realmente aspetti che la consuetudine a volte impedisce di notare, conoscere le province limitrofe alla nostra, i punti più lontani e nascosti della regione. Non basterà una sola estate. Anche la Cei, Conferenza episcopale italiana, invita a scegliere i pellegrinaggi nella propria regione, o almeno sempre in Italia. E intanto, conoscendo meglio la Puglia, impareremo a conoscere meglio noi stessi, quel sottile ma forte filo che ci lega ai luoghi e alla nostra storia e che dà senso e sostanza alla nostra identità. Anche perché turismo di prossimità significa anche riscoprire il senso della comunità, dell’accoglienza e dell’ospitalità.  Non sono valori di poco conto.

Non c’è motivo perché i pugliesi non siano nel numero degli italiani che guardano alla Puglia come ad una meta ambita, così come risulta da un’indagine del Codacons: un italiano su tre sceglierebbe la Puglia come meta delle vacanze estive 2020. La regione più ambita i pugliesi ce l’hanno a portata di … piedi, sarebbe imperdonabile se non trasformassero uno stato di necessità in una opportunità virtuosa.  Non mancano i suggerimenti, le guide, i consigli (anche noi di “Puglia tutto l’anno” andiamo in questa direzione). Qualche settimana fa Legambiente e Touring club hanno pubblicato “Vacanze Italiane”, una guida online che raccoglie oltre 200 itinerari tra cui 43 in bici, 63 a piedi, 13 a cavallo e 7 proposte interregionali di lunga percorrenza. Sono otto quelli pugliesi: A cavallo nel Parco nazionale del Gargano; L’avventura sui Monti Dauni; Pedalando nel Parco nazionale dell’Alta Murgia; La Via Traiana e la Piana degli ulivi secolari; Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese; Trekking tra le spunnulate nella Palude del Conte; A piedi nel profondo Salento; Trekking in Salento. (www.touringclub.it/notizie-di-viaggio/vacanze-italiane-puglia). Non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Ripartire, quindi, con la consapevolezza che distanziamento fisico delle persone, sanificazione dei luoghi, mascherine, altre inevitabili e necessarie precauzioni costituiscono dei fattori complessi che operatori e gestori dei servizi turistici devono armonizzare. Quasi tre mesi di chiusura hanno avuto un peso economico considerevole sulle attività della filiera del turismo. Aggiungiamo una ridotta capacità di spesa da parte delle famiglie e il persistere di paure, ansie, incertezze. Si può tornare a viaggiare sereni? Possiamo “affidarci” ai vicini come nel passato? Costa in tutti sensi venir fuori dalla “capanna” che abbiamo costruito intorno a noi.

Nessuno resterà indietro, nessuno resterà solo: il mantra di questo periodo sia dal governo centrale, sia da quello regionale.   La Puglia è ancora bella e sarà ancora possibile con una serie di interventi regionali per operatori turistici in tutti i settori: Microprestito: destinato a piccole aziende (con fatturati fino a 400.000 euro), professionisti, partite Iva, start-up, artigiani, commercianti che potranno accedere a prestiti, a tasso zero, da un minimo di 5mila a un massimo di 30mila euro, erogati direttamente dalla Regione Puglia, senza alcun intermediario e con procedure estremamente celeri e semplificate. Ancora: Aiuti agli investimenti delle piccole e medie imprese nel settore turistico alberghiero, misure finalizzate a sostenere il rafforzamento del capitale circolante delle MPI con un fatturato sino a 50 milioni di euro, attraverso contributi che potranno andare da 30 mila euro sino a un massimo di 2 milioni di euro. Nessun settore è stato trascurato: artigianato, cultura, sport, arte, cinema, musica. La ripartenza sarà veramente tale, se sarà di tutti e nessuno sarà lasciato indietro.

Di Maria Rosaria De Lumé

Bellezza è…

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da “Puglia tutto l’anno” agosto 2020

Bellezza è il bambino. Corre per la campagna, la esplora e la conquista. Suo padre è lì che dissoda, pota l’ulivo, innaffia i pomodori. Ha i colori della primavera, la terra, perché adesso è primavera. Il bambino li conta e li confronta. Un colore lo attrae più di tutti. È un blu vellutato. Ce l’hanno minuscoli fiori che formano un manto vicino al muretto. Si abbassa a guardarli e poi ne strappa uno. Si accorge che solo se ce n’è tanti insieme è bello il colore. Primaverile è anche il vento, perché il soffio è leggero, una calda carezza.  E poi ha un buon profumo, di tenera erba appena spuntata. Respira, il bambino, a pieni polmoni. È alla memoria che è apparso, il bambino. E non se ne va. Perché solo lì adesso si corre, ci si abbraccia, si gioca. Angusta è invece la stanza. Lontano il respiro dei campi. È cupo il presente. Soltanto il ricordo ora è dolce, gioioso. E allora, che allenti, il pensiero, le briglie, assecondi le imprese!

Bellezza è la lucertola. Il bambino l’ha vista affacciarsi tra le pietre, l’ha attesa. Ha pronto il suo cappio. È un filo di avena selvatica. Se riesce a infilarle la testa e, lesto, a dare uno strappo, la potrà poi portare a guinzaglio, per un po’, e ammirare tranquillo quel verde brillante, frenarne la corsa. Le farà fare il giro del campo, accanto al muretto. Ha un curioso merletto di pietre, il suo campo, uno scialle, una frangia elegante che chiude, di là, l’uliveto, di qua i mandorli, i peschi, il fico gigante.

Bellezza è la pietra. Il lichene la rende più varia. Se è umido, e il muschio si aggiunge, o un rovo s’affianca, il muretto si fa come l’orlo di un grande presepe. La casupola pure, lì a un angolo, è fatta di pietre, ammucchiate, ordinate, disposte con grande maestria a formare una cupola. È lì che conserva la zappa suo padre. Il rastrello, la roncola. E l’anfora d’acqua, panciuta. È lì che dirige la preda il bambino. Vuol darle da bere, per poi farla andare. C’è ombra in quel luogo. Se piove, è un riparo. Il bambino lo chiama furnì. Glielo ha detto suo padre quel nome. E al padre, suo padre. È un’antica parola, che piace al bambino.

Perché la parola è bellezza. È bella la voce che insegna a parlare. È bella la voce che apprende. Ha un po’, la parola, del fiore, un po’ del dipinto. È fatta di umano e divino. Del pensiero essa è la sostanza, come il filo lo è dell’arazzo, del mosaico la tessera dura. Del pensiero, essa è pure strumento. E il cantore che intreccia parole è signore di un dono sublime. Parla al cuore, egli, e alla mente. Conosce il mistero. Sa che l’uomo è un pantano nel quale si specchia l’azzurro del cielo. Bellezza è il papà che ha raccolto la rosa. Il figlio lo guarda mentre, a strati, egli colma il paniere. Ci mette le fave, e i primi fioroni. Poi ci andranno le pesche, gli dice, poi i fichi. Più tardi, d’inverno, le ulive. Si spera, gli dice. E che siano tante, e di resa. Sopra, infine, protetta da foglie, sistema la rosa. Tornato a casa, la darà alla sua donna. Per te è questa – dirà – mia padrona!

Vede in lei la Bellezza.

di Salvatore Tommasi

Scrivo un racconto con tante P e vinco una vacanza in Puglia

Un concorso per bambini (e non solo) promosso da Medinforma

Quando si è costretti a stare all’interno di regole e di limiti ben precisi come in questo periodo di Covid-19, adulti e bambini insieme, spesso in spazi non sempre adeguati, allora è tempo di azionare tutti i dispositivi di auto aiuto. Prima di tutto la creatività, la fantasia in grado di stemperare i disagi e di usare i colori anche se il fondo è grigio. Che fare? Da più parti giungono i consigli degli esperti: insegnare ai piccoli attività manuali, promuovere lettura e scrittura creativa.

In questo contesto si situa l’iniziativa di Medinforma (sedi a Bologna e Lecce), da anni impegnata nella promozione di “Salute e Turismo nel Salento” con l’obiettivo di valorizzare la Puglia e le sue ricchezze naturali e artistiche: in collaborazione con Bhea Edizioni e con questa rivista, ecco la proposta a tutte le famiglie italiane #IoRestoACasaMaLeggoCreoEScrivo, Invito alla lettura e alla scrittura creativa.

Si tratta di un concorso legato alla lettura del libro “Pietro Paolo da Pioppi sul Po – L’inventore della P” scritto da Cino Tortorella, il Mago Zurlì, scomparso il 23 marzo di tre anni fa. L’invito è rivolto ai bambini e agli adulti che in questo periodo hanno più tempo per stare con i loro figli. Il punto di partenza è la lettura del romanzo di Tortorella, davvero molto piacevole.

Successivamente genitori e figli si metteranno alla prova nell’ideazione e scrittura di un racconto che deve avere questa particolarità: la maggior parte delle parole deve iniziare con la P.

Il più lungo e il più bello vinceranno una vacanza per tutta la famiglia, naturalmente in una regione che inizia con la P, naturalmente la Puglia che Tortorella amava e frequentava assiduamente. I racconti devono pervenire entro il 31 maggio all’indirizzo: invitoletturascritturamedinforma.eu.

L’elaborato va inviato in allegato alla mail dove viene indicato il nome e il cognome dell’autore, un contatto telefonico di un referente per le eventuali comunicazioni e il nominativo di chi ha comprato il libro. L’acquisto del libro in versione digitale dà il diritto di partecipazione al concorso a un solo elaborato. Il contributo per l’acquisto del libro è di 5 euro pagabili con PayPal (l’aggiunta di un altro euro sarà il contributo per la ricerca sulla cura delle malattie infettive) all’indirizzo:

http://www.medinforma.eu/invito-alla-lettura-alla-scrittura-creativa/ 

Provvedimenti e prospettive per l’olivicoltura

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

Intervista all’onorevole Paolo De Castro 

Onorevole, l’agricoltura è fondamentale per la Puglia. E l’ulivo ne è l’emblema. Lei, pugliese domiciliato a Bologna, e da dieci anni membro effettivo della commissione Agricoltura al Parlamento europeo, conosce bene la storia dell’olivicoltura, da tempo in difficoltà a causa della Xylella fastidiosa. Cosa è successo?

è successo che da quando la batteriosi iniziò a diffondersi e a essiccare le prime piante nel Salento – eravamo nel 2012 – non è stato portato avanti alcun piano organico di contenimento della malattia e le autorità deputate alla gestione del territorio hanno perso tempo, tra burocrazia e rimpalli di responsabilità, lasciando di fatto da soli gli agricoltori colpiti e tutta la filiera olivicola.

Quali sono le misure che i produttori di olio devono adottare in tempo di Xylella?

I produttori prima di tutto devono essere messi nelle condizioni di difendere le loro colture da avversità e malattie che periodicamente possono presentarsi, come è successo per la Xylella. I rimedi per contrastare quest’ultima, che si concretizzano sostanzialmente nell’espianto degli alberi malati e nel reimpianto con nuove varietà di olivo resistenti, sono stati indicati quasi subito dagli esperti. Ma purtroppo gli agricoltori e gli operatori della filiera non sono stati correttamente informati sulle procedure da seguire. Col risultato che a distanza di sette, otto anni, siamo ancora quasi al punto di partenza. E nel frattempo la malattia non è stata fermata.

Quali misure europee sono in atto?

L’Unione europea, dopo avere esaminato la questione in modo rigoroso e scientifico, nel 2014 ha deciso e comunicato all’Italia che le piante malate e le fonti di inoculo del batterio andavano eliminate. Ma purtroppo questo intervento, nonostante il sostegno economico dell’Ue per contrastare l’avanzata della batteriosi, è stato fatto solo in parte, col risultato che la Xylella, sia pure lentamente, nel frattempo si è diffusa anche in altre province, come Bari e Taranto.

Quali i provvedimenti che intende adottare per sostenere i piccoli e medi proprietari di ulivi?

Oltre ai fondi europei, che tra l’altro consentono agli agricoltori interessati di riconvertire la produzione, sostituendo ad esempio gli ulivi estirpati con altre colture, il governo italiano ha recentemente stanziato altre risorse finanziarie nella speranza di mettere la parola fine a questo flagello e ridare fiducia anche a piccoli e medi proprietari di ulivi. Produttori che da generazioni praticano un’agricoltura perfettamente integrata con il patrimonio ambientale dei nostri territori a beneficio di tutti, popolazioni residenti e turisti in arrivo da tutto il mondo.

Quali sono le prospettive?

A questo punto mi auguro che il decreto interministeriale del 6 marzo scorso, che dà attuazione al Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia, e i 300 milioni stanziati dal Governo possano ridare ossigeno a breve agli olivicoltori che da anni sono senza reddito, rilanciando tutta la filiera olivicola pugliese che, voglio ricordare, rappresenta l’ossatura centrale per il settore a livello nazionale, con oli di eccellenza riconosciuti a Denominazione di origine protetta dall’Unione europea.

Salute e Turismo è un progetto teso a valorizzare le professionalità della salute della Puglia in un contesto straordinario che è il Salento. Ce la possiamo fare, nonostante la Xylella e nonostante il Coronavirus?

Conosco e apprezzo il progetto che punta a far conoscere, tra l’altro, le proprietà organolettiche dei nostri oli extravergini d’oliva. Se sapremo fare leva sul contributo di medici, nutrizionisti e una corretta informazione sono convinto che salute e turismo, in un territorio straordinario come il Salento, potranno diventare un binomio vincente e un volano di crescita per la nostra economia, soprattutto dopo le emergenze che stiamo affrontando in questi giorni.

di Maria Rita Pio

Xylella, guardiamo avanti

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

Politica e sindacalista italiana, Teresa Bellanova è nata a Ceglie Messapica; lascia gli studi per andare a lavorare nei campi. Giovanissima, entra nelle organizzazioni sindacali dei braccianti e si impegna contro la piaga del caporalato. Il 28 febbraio 2014 è stata nominata sottosegretario di Stato al lavoro nel governo Renzi, ed, in seguito, il 29 gennaio 2016, viceministro dello sviluppo economico. Dal 5 settembre 2019 ministra delle politiche agricole alimentari e forestali nel governo Conte II.

 

Intervista alla ministra Teresa Bellanova 

Teresa Bellanova, nessuno più di lei può capire il dramma che sta vivendo il Salento con la Xylella. Bracciante, sindacalista, già sottosegretaria allo Sviluppo Economico e ora Ministra per le Politiche Agricole, ma soprattutto: pugliese, del Salento. Come lo vede e vive questo dramma?

Vedo quello che vedono tutti: un paesaggio che l’avanzare del batterio ha totalmente modificato e che noi dobbiamo essere capaci di rigenerare. Non a caso dico con forza noi. Solo un lavoro veramente corale potrà avere i risultati sperati.

Ad oggi non vi sono ancora rimedi efficaci per contenere e combattere questo flagello. Quali sono le indicazioni del Governo e del suo Ministero in particolare?

Rigenerare il paesaggio, avere cura del territorio, contenere e contrastare l’avanzare del batterio vanno di pari passo. Abbiamo finalmente a disposizione il Piano per la rigenerazione olivicola, 300 milioni in due anni. Le parole chiave sono precise: indennizzi, investimenti, ricerca.

Va assolutamente recuperato il tempo perduto: monitoraggio, rimozione degli alberi infetti, reimpianti, utilizzo di pratiche agronomiche mirate a ridurre il rischio di diffusione della malattia, sostegno al reddito degli agricoltori, investimenti produttivi per il rilancio del territorio, sostegno a frantoiani e florovivaisti. Bisogna voltare radicalmente pagina. Ricerca e innovazione devono essere nostre indiscutibili alleate.

Quale sarà il paesaggio che il Salento offrirà nei prossimi anni?

Nessun paesaggio è statico, i luoghi e i territori mutano continuamente. In questa trasformazione sono convinta che l’agricoltura può e deve avere un ruolo centrale. La qualità dei territori non è in astratto. Troppo spopolamento, troppo abbandono e troppo consumo di suolo. è su questo che dobbiamo essere capaci di incidere fortemente. Perché accada, sostenibilità ambientale, sociale, economica si tengono fortemente. Il paesaggio del Salento nei prossimi anni avrà bisogno dell’impegno e della responsabilità di tutti. Dobbiamo lavorare perché agricoltura e agroalimentare siano fortemente attrattivi per le nuove generazioni, la più straordinaria leva per l’innovazione su cui possiamo contare. E perché siano sempre più a trazione femminile. Nuove generazioni e donne. è uno dei miei obiettivi prioritari.

Qual è il destino dei piccoli coltivatori e produttori di olio? Quali gli aiuti previsti?

Questo piano è degli agricoltori. E prevede azioni appropriate oltre che per l’accelerazione degli espianti e il reimpianto, per il risarcimento dei danni subiti dalle imprese agricole e dai frantoi oleari, le figure economiche più colpite e su cui è necessario concentrare l’attenzione per la ricostruzione e rigenerazione del sistema economico e produttivo.

La Puglia grazie al suo patrimonio di eccellenze artistiche, naturali e gastronomiche è diventata una meta per il Turismo nazionale e internazionale. Da questa crescente richiesta nasce il Progetto “Salute e Turismo”: fare una vacanza meravigliosa e contemporaneamente usufruire di terapie mediche all’avanguardia utilizzando strutture situate in contesti straordinari. Uno dei progetti che abbiamo recentemente riproposto è “Regala un Sorriso”, che consiste nel regalare un trattamento odontoiatrico al posto di cose superflue. Il Sorriso, trattamento odontoiatrico, ma anche stile di vita, abito da indossare nei rapporti umani, accoglienza e mano tesa. Ci dica il suo pensiero sul Sorriso.

Ho sempre pensato che il sorriso sia uno dei modi che abbiamo per accogliere gli altri. Il grande Charlot aveva ragione: un giorno senza un sorriso

di Maria Rita Pio

Il caso Xylella e la rigenerazione dell’agricoltura nel Salento

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

Xylella fastidiosa è un batterio che svolge il ciclo vitale su diverse piante, oltre 300, legnose ed erbacee, coltivate e spontanee, alcune suscettibili, che si possono quindi ammalare, altre tolleranti, altre resistenti. L’elevato numero di piante in grado di ospitare il batterio garantisce al patogeno l’insediamento stabile nelle aree in cui è stato introdotto.

Ad infezione avvenuta il batterio provoca, riproducendosi e formando ammassi cellulari, occlusione dei vasi legnosi (xilematici) della pianta adibiti al trasporto della linfa grezza (soluzione acquosa di sali minerali) dalle radici verso l’alto. L’ostruzione è causa di seccumi che all’inizio interessano le foglie (bruscatura), poi i rami, quindi le branche (disseccamenti) fino a compromettere l’intera pianta. Gli olivi colpiti tendono a ricostituire l’apparato vegetativo emettendo polloni destinati anch’essi, in breve tempo e per la stessa causa, a deperire. Il batterio non è sporigeno, quindi non si diffonde per contatto o diffusione aerea, ma principalmente tramite insetti vettori (il più noto è la cosiddetta sputacchina, Philaenus spumarius) che, nutrendosi di linfa vegetale, incamerano il batterio da piante infette e lo introducono in altre piante della cui linfa si nutrono. Anche l’innesto (pratica ampiamente diffusa in campo ornamentale e agrario) può trasmettere il batterio ed è attendibile che la Xylella abbia raggiunto il Salento veicolata da vegetali infetti importati. L’epidemia sembra dunque conseguenza del commercio globalizzato non assistito da un’opportuna rete di sicurezza per gli organismi da quarantena. Nel 2008, quando apparvero i primi preoccupanti sintomi su olivi a ridosso della fascia costiera di Gallipoli, di Xylella non se ne parlava e il fenomeno colse tutti di sorpresa; furono ipotizzate diverse cause e concause (funghi, larve d’insetti rodilegno, inquinamento della falda acquifera, abbandono colturale, ecc.).

Nel 2013 il compianto prof. Martelli dell’Università di Bari, Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti, individuò in Xylella l’agente patogeno causa della moria di olivi: all’epoca erano già seccati (quindi infetti) oltre 8.000 ettari di oliveto in provincia di Lecce. Le due principali varietà di olivo storicamente presenti nel leccese, l’Ogliarola di Lecce e la Cellina di Nardò, si mostrarono da subito particolarmente suscettibili alla malattia. In seguito è stata accertata la resistenza/tolleranza al batterio di due varietà: la FS17 (Favolosa) e il Leccino, attualmente utilizzate per i nuovi impianti. Ad oggi altre sei varietà sembrano mostrare caratteri di resistenza o tolleranza. Studi, ricerche, analisi e monitoraggi svolti da organismi scientifici e tecnici di spessore, regionali, nazionali e internazionali (EFSA), hanno confermato, oltre ogni ragionevole dubbio e ipotesi complottistica, che la causa della distruzione dell’olivicoltura nel Salento è da attribuire a “Xylella fastidiosa subsp. pauca ceppo ST53, CoDiRO (Complesso del Distaccamento Rapido dell’Olivo – Olive Quick Decline Syndrome, o OQDS, nella letteratura scientifica internazionale)”, organismo nocivo da quarantena. Non si conoscono metodi di lotta efficaci e il contenimento dell’infezione nei territori colpiti è la sola strategia adottata e adottabile per evitare il diffondersi della malattia.

Entrare nel dettaglio delle vicende che hanno caratterizzato per oltre 10 anni il dramma dell’olivicoltura salentina, fra linee guida, misure di emergenza e di tutela, piani straordinari, inchieste della magistratura, determinazioni, provvedimenti, delibere regionali, decisioni comunitarie, decreti, leggi nazionali e scontri fra poteri istituzionali, sarebbe veramente dispersivo e non esaustivo. Vale la pena considerare alcuni passaggi significativi del processo che ha interessato il territorio. Fra i tanti, il cosiddetto Piano Silletti (2015) voluto per il contenimento dell’infezione (eradicazione della pianta colpita e delle piante prossime entro un raggio di 100 metri) sul quale si riversarono pressioni di tutti i tipi, di piazza, politiche, mediatiche e giudiziarie con l’inchiesta della Procura di Lecce (sullo stesso Silletti e altre nove persone). Seguirono le dimissioni del Silletti e lo stop del piano, fino alla recente archiviazione (2019), accolta dalla Procura di Lecce, su richiesta della magistratura inquirente, per assenza del nesso di causalità: «Pare impossibile trovare la prova certa che, osservate le corrette regole di comportamento, l’evento non si sarebbe comunque realizzato». Traspaiono non poche perplessità (irregolarità, negligenza, pressappochismo, scorrettezze, prevalenza di interessi economici…) su come è stata affrontata l’emergenza dal sistema in generale, dai decisori politici alla macchina burocratica, dagli organismi scientifici a quelli tecnici.

Ad oggi (BURP n.8 del 24.01.2019) il sud della Puglia è diviso in:

– Zona infetta: comprende l’intera provincia di Lecce, Brindisi e parte di Taranto: è la zona in cui il batterio è insediato e in cui non è possibile eradicarlo. In questa zona la decisione non fissa alcun obbligo di eliminare le piante infette.

– Zona di contenimento: è la fascia di 20 km della zona infetta adiacente alla zona cuscinetto in cui devono essere effettuati il monitoraggio, l’attuazione delle misure di contenimento attraverso l’estirpazione delle piante risultate infette e la lotta al vettore.

– Zona cuscinetto: è la fascia di 10 km di larghezza che circonda la zona infetta. È una zona indenne in cui deve essere effettuato il monitoraggio e, nel caso di ritrovamento di un focolaio, l’applicazione di “misure di eradicazione”, che consistono nell’eliminazione della pianta infetta e di tutte le piante delle specie ospiti, indipendentemente dal loro stato di salute, presenti nel raggio di 100 m e nella lotta al vettore. In provincia di Lecce la superficie olivetata ammonta (ammontava) a circa 90/95.000 ettari, impiantati per il 53% con la varietà “Cellina di Nardò” e il 41% con la “Ogliarola leccese”, colpite a morte dalla Xylella in quanto, come accennato, molto suscettibili alla malattia. La restante parte, meno del 6%, è interessata da varietà di olivo introdotte di recente (Nociara, Leccino, Frantoio, Picholine ecc. che mostrano gradi di tolleranza/resistenza diversi). Considerando un patrimonio iniziale di olivi di circa 9.000.000 di piante, attualmente sono circa 6.000.000 le piante di olivo secche: una strage.

Gli olivicoltori, e con essi tutti i soggetti della filiera dell’olio, messi in ginocchio dalla perdita del patrimonio arboreo e da anni di mancati redditi, si dibattono stritolati da un’impietosa burocrazia, da normative imbarazzanti e da “gravami” di settore a stento tollerabili, speranzosi in sostegni, non solo economici, lontani all’orizzonte e senza i quali è impossibile ripartire. Finora gli aiuti al settore sono stati limitati al riconoscimento della “calamità naturale” per il 2015 (11.000.00 di euro dal Fondo di Solidarietà Nazionale, circa €600,00 ad ettaro alle sole aziende che, all’epoca, hanno potuto fare richiesta). È in itinere un riconoscimento irrisorio per il 2016 e il 2017 mentre di niente si parla per il 2019 e il 2020. Poi ci sarebbero gli aiuti previsti dal PSR, Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020 della Regione Puglia, in particolare il bando della Sottomisura 5.2 “Sostegno a investimenti per il ripristino dei terreni agricoli e del potenziale produttivo danneggiati da calamità naturali, avversità atmosferiche ed eventi catastrofici” tristemente in transito sui tavoli della Regione Puglia, del Ministero e della Commissione Europea. Insomma, “la situazione è grave ma non è seria”, come si usa dire, in quanto certamente “serio” non è stato il modo in cui sono stati affrontati l’emergenza e l’avanzamento dell’epidemia, né è serio il modo in cui è, a tutt’oggi, affrontata la crisi di settore. Gli agricoltori (e non solo) guardano alla “rigenerazione” dell’agricoltura e del territorio salentino, ma la realtà in generale è complessa e quella agricola è tipicamente frammista ad aspetti sociali, ambientali, paesaggistici, turistici e fondiari di cui inevitabilmente occorre tener conto.

E allora cosa fare, come procedere?

Di certo “nessun vento è buono per chi non sa dove andare” quindi occorre conoscere la meta. Dopo la scomparsa dell’olivicoltura tradizionale che per secoli ha caratterizzato il settore produttivo agricolo, dopo la distruzione del paesaggio agrario degli uliveti (monumentali, millenari, secolari) delle zone interne e delle fasce costiere, dopo il crollo dell’economia locale, COME SI VORREBBE IL SALENTO DA QUI A VENTI, CINQUANT’ANNI tenendo conto delle caratteristiche, delle potenzialità e della vocazione dei terreni e del territorio? Di questo bisognerebbe parlare, se mai verrà superata l’emergenza economica con i necessari e urgenti aiuti al settore. Parlarne con coraggio, convinzione e perizia, tenendo conto della necessità di un approccio che richiede competenze diverse e multisettoriali (agronomiche, ambientalistiche, paesaggistiche, di macro e micro economia, di marketing, turistiche…) e condivisione della base sociale, imprenditoriale e politica.

Ideare, progettare, pianificare (nel breve, nel me- dio e nel lungo periodo) IL PIANO DI RIGENERAZIONE DEL SALENTO e poi realizzarlo strada facendo: queste le parole chiave per salvare l’agricoltura e il territorio salentino. Da anni è l’impegno sostenuto da alcune associazioni di categoria e professionali che, evidentemente, non possono far altro che indicare la strada il cui percorso dev’essere inevitabilmente tracciato dalla politica.

Maurizio Cezzi

 

 

 

 

di Maurizio Cezzi

Puglia e cinema – Un set di 400 km

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

Non c’è soltanto “Tolo Tolo”

Sempre più Puglia al cinema e non solo per l’enorme successo di “Tolo Tolo” di Luca Medici, cioè Checco Zalone, ma per una serie di film che segnano il ritorno o l’esordio di registi nella nostra regione. È il caso di Matteo Garrone che è tornato in Puglia, dopo “Il racconto dei racconti” (2015), per girare il suo “Pinocchio”, e della prima volta di Carlo Verdone con il suo “Si vive una volta sola”. C’è poi Sophia Loren diretta dal figlio Edoardo Ponti in “La vita davanti a sé”. E come dimenticare Daniel Craig nei panni di James Bond per il 25esimo film di 007?  Né si possono passare sotto silenzio pellicole come “Lo Spietato” di Renato De Maria (produzione Netflix), “Non sono un assassino” di Andrea Zaccariello e “Il grande spirito” di Sergio Rubini, accolti peraltro con grande entusiasmo dal pubblico del Bif&st. A questi si sono aggiunte anche le serie tv “Fratelli Caputo” di Alessio Inturri e “Il commissario Ricciardi” di Alessandro D’Alatri. E ancora “Cops” di Luca Miniero, “Odio l’estate” di Massimo Venier, con il ritorno al cinema del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, e “Spaccapietre” di Gianluca e Massimiliano De Serio. Un ruolo fondamentale è ricoperto dall’Apulia Film Commission: per l’anno in corso ci sono 30 opere filmiche direttamente prodotte da Afc, alcune delle quali stanno già girando tra cinema e festival come “Santa Subito” di Alessandro Piva, che ha ottenuto l’incredibile risultato della vittoria dell’unico premio alla Festa del Cinema di Roma.


Se si unissero con una linea ideale tutti i luoghi in cui si è girato in Puglia ne verrebbe fuori una fitta rete di collegamenti, attraversando l’entroterra e collegando tutti i punti della lunga costa.

Ed è una rete in continua espansione, a dimostrazione che la Puglia è diventata a tutti gli effetti terra di cinema. Spot pubblicitari, documentari, cortometraggi e film: dalle distese della Capitanata fino al profondo sud, dal mare di Santa Maria di Leuca ai tanti paesini disseminati lungo il territorio, unici nel loro genere. In ogni luogo c’è un elemento che lo caratterizza e lo rende particolare per impreziosire ogni tipo di produzione. Stando ai numeri diffusi da Apulia Film Commission scegliere la Puglia sembra ormai una scelta facile: solo nel 2019 le produzioni sono state in tutto 51. E pensare che non era affatto scontato.

La voglia di cinema è esplosa e si è affermata negli ultimi dieci anni, prima la Puglia era troppo lontana e sconosciuta per poter essere presa in considerazione. L’immagine della regione era legata ai filmati delle teche Rai, che presentavano un territorio desolato, volto della povertà e dell’emigrazione. Erano gli anni ’50 e la parola cinema faceva solo rima con Cinecittà.

Soltanto alcuni avventurieri, come esploratori in una terra impervia, si sono affacciati con sguardo curioso e indagatore, convinti che tra le stradine dei paesini si potesse trovare qualcosa da raccontare. Ed è stato Pierpaolo Pasolini a scendere tra i primi a cercare di raccontare il fenomeno del tarantismo e con lui, poco dopo altri grandi nomi del calibro dei fratelli Taviani, Lina Wertmuller, Pietro Germi.

Poi qualcosa è successo e la grande macchina del cinema ha iniziato a guardare fuori le mura e a migrare verso posti che potessero raccontare, al pari dei testi, il senso e le emozioni che dovevano essere impresse sulla pellicola.

Inizia così la grande ascesa della Puglia e il suo riscatto nel mondo, affermandosi tra le prime regioni in Italia per la vivacità nel settore.

Il cast è certo importante per il successo di un film, ma a decretarne il successo concorre anche l’ambientazione, cioè i luoghi dove la scena viene ripresa, capaci di rendere prorompente il racconto filmico. Ecco perché è importante scegliere la scena migliore, ma la Puglia non è solo questione di set.

Il successo è semplice ma allo stesso tempo irripetibile: è un fattore di giusto mix tra bellezza, accoglienza, ottimo cibo, tradizioni. Ma è soprattutto luce, la prima cosa che conta per un regista, e nella Puglia baciata dal sole non manca certo. È una luce particolare piena, calda capace di donare tutte le sfumature possibili ai colori e a renderli in tutta la loro pienezza.

Luoghi che entrano nel cuore e che diventano subito casa per chi viene a girare. E per chi, in cerca di una vacanza emozionante, si ritrova a muoversi tra le strade e i palazzi che hanno ospitato i set, andando ad incrementare quel settore che va sotto il nome di cineturismo, che si avvale anche del grande successo di festival e manifestazioni legate al cinema.  Immancabile la foto sotto la statua di Mister Volare, Domenico Modugno, a Polignano, oppure affascinante prendere il caffè in piazza Sant’Oronzo a Lecce, ricordando Mine Vaganti di Ozpetek. E si potrebbe proseguire così, ogni posto ha un pezzo di sé in un corto o in un film. Il cinema, il grande sogno, ha dato alla Puglia una crescente visibilità, la consapevolezza delle sue possibilità e ha dato sicuramente speranze a chi spera di intraprendere la carriera nel grande mondo dello spettacolo, nelle sue tante sfaccettature e maestranze. Non solo: la presenza di nomi importanti ha dato l’avvio al recupero di zone e di ville che ora spesso sono messe a disposizione delle produzioni.

Certo, ancora c’è da fare e, anzi, non si finisce mai di crescere. In tutto questo, supporto fondamentale è l’Apulia Film Commission che ha lavorato e continua a lavorare bene, grazie agli investimenti che continua a fare sul tema del cinema e dell’audiovisivo che Regione Puglia ha posto al centro delle proprie politiche culturali (PiiiLCulturainPuglia) e anche turistiche (Puglia365), quale asse strategico per lo sviluppo dell’intera filiera industry, ma anche per la promozione del brand Puglia, quale destinazione turistico-culturale.

di Ilaria Lia (Foto tratte dal sito: apuliafilmcommission.it)

L’antica Autostrada del Sole – La via Francigena

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

I percorsi salentini della Via Francigena

Tre sono i percorsi nel Salento tracciati dall’Associazione europea delle vie Francigene, in coordinamento con la Regione Puglia e Puglia Promozione: la via Francigena del Sud da Brindisi a Santa Maria di Leuca, la Via Leucadense da Lecce a Leuca e la Via Sallentina da Taranto a Leuca.La prima ha inizio dalle colonne romane di Brindisi alla fine della via Appia, tocca Lecce, Acaya, Otranto, S. Maria di Leuca.La via Leucadense si snoda nell’entroterra: comincia a Lecce, attraversa le Serre salentine, tocca Barbarano, la Leuca piccola, S. Maria di Leuca.La via Sallentina parte da Taranto e attraversa il versante ionico: Manduria, Nardò, Alezio, Ugento, Vereto, S. Maria di Leuca.

Se la via Appia è ritenuta la “regina viarum”, non da meno è la Francigena che potrebbe essere l’antica “Via del sole”, secondo il sistema viario progettato da Giulio Cesare nel 58 a.C, e che collegava le isole britanniche a Roma.  Nei secoli successivi, nel VII secolo, con l’Italia  contesa dai Longobardi e dai Bizantini, nacque l’esigenza di strade che avessero sia la funzione di collegamento sia di difesa. Quando i Longobardi riuscirono ad occupare gran parte della penisola pensarono da subito  di creare un percorso strategico che collegasse Pavia, capitale del Regno, con i Ducati meridionali di Benevento e Cassino, in modo da creare una via interna sicura e ben protetta dalla minaccia bizantina.

Nacque così la Mons Longobardorum, letteralmente via di Monte Bardone: un insieme di fasci viari che valicava l’Appennino in corrispondenza dell’attuale Passo della Cisa (Monte Bardone era l’antico nome del Passo della Cisa), e che proseguiva per la valle del Magra, in direzione di Lucca, da qui poi per la valle dell’Elsa si arrivava a Siena raggiungendo la Val di Paglia e il territorio laziale per ricongiungersi infine nell’antica Via Cassia che conduceva a Roma.

Quando i Franchi subentrarono ai Longobardi, in epoca carolingia, la via cambiò nome e diventò la Via Francigena: strada, cioè, generata dalla Francia, che oltre al territorio francese comprendeva anche la valle del Reno e i Paesi Bassi. Il tratto della via Francigena divenne ben presto meta di numerosi traffici, sia di mercanti che di eserciti, nonché di numerosi pellegrini, che da Nord si dirigevano a Roma, e da Roma lungo la via Appia verso i porti pugliesi per raggiungere la Terrasanta.

Naturalmente non si può parlare della via Francigena come di un tracciato ben definito perché il percorso variava per cause naturali, per la presenza di briganti, per richiesta di pedaggi: si tratta di sentieri, di piste battute dai mercanti e dai pellegrini convergenti verso i centri abitati dove si trovava alloggio per la notte, le cosiddette mansioni, attraverso cui è possibile tracciare il percorso.  E proprio attraverso le 80 mansioni raccontate da Sigerico possiamo ricostruire l’antico percorso della Francigena. Nel 990, dopo essere stato ordinato Arcivescovo di Canterbury da Papa Giovanni XV, Sigerico nel viaggio di ritorno a casa annotò su due pagine manoscritte tutte le mansioni in cui era stato ospite.

Tra il I e il II millennio la pratica del pellegrinaggio assunse sempre più importanza e fu proprio la via Francigena a permettere i collegamenti tra le cosiddette “Vie della fede” che portavano ai luoghi santi della cristianità, Gerusalemme, Santiago de Compostela e Roma. Da nord il percorso puntava a Roma per poi spostarsi verso la Puglia e la Terrasanta, da sud invece si percorreva la via per andare a Luni, da dove poi si proseguiva verso i porti francesi o il Moncenisio per immettersi sulla via Tolosana in direzione della Spagna.

In particolare, la via Francigena del Sud, quella cioè che da Roma portava in Puglia, dove si trovavano i porti d’imbarco per la Terrasanta, nel 1994 è stata certificata come ‘Itinerario culturale del Consiglio d’Europa’, e a 25 anni di distanza da questa certificazione, a Monte Sant’Angelo durante il convegno “Francigena: via per Roma, Santiago e Gerusalemme”, è stata avviata l’estensione della stessa certificazione da parte dell’AEVF (Associazione europea delle vie francigene), che si occupa di promuovere il territorio e il valore del pellegrinaggio attraverso una costante comunicazione con regioni e istituzioni europee senza trascurare lo sviluppo sostenibile dei territori e l’identità culturale e turistica degli stessi.

L’itinerario prevede dunque un nuovo cammino da Canterbury all’estremità della Puglia, cioè Santa Maria di Leuca, da Roma verso Sud fino a Terracina passando poi per Teano, Alife, Benevento e Troia: o verso il Gargano e Monte Sant’Angelo, oppure verso Bari, proseguendo per Brindisi, Otranto e Leuca, per un cammino di un migliaio di km. A ragione, quindi, si parla ora di Vie Francigene.

di Raffaela Cezza – Foto tratte dal sito: viefrancigenedelsud.it

Le Torri Costiere in Terra d’Otranto

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020

Nella seconda metà del XVI secolo fu realizzato a più riprese lungo le coste dell’Italia meridionale un complesso sistema di fortificazioni nell’intento di contrastare le incursioni piratesche. La difesa degli insediamenti costieri costituiva un problema di urgente attualità soprattutto nella penisola salentina, l’area più meridionale della Puglia, teatro dei tragici eventi legati all’assedio e presa di Otranto nel 1480, alla distruzione di Castro e Marittima nel 1537, all’incursione dal lido di Morciano sino al paese di Presicce nel 1544, al saccheggio di S. Pancrazio e allo sbarco di 22 galee nella Marina di Ugento nel 1547.

Allo scopo di contrastare il pericolo proveniente dal mare, il Vicerè don Pedro de Toledo emanò nel 1532 una ordinanza con la quale si obbligava i privati ad erigere torri per infittire la rete di quelle già esistenti, alcune delle quali erette negli stessi luoghi di più antiche torri romane, bizantine e angioine. Tuttavia l’ordine non fu eseguito per la mancanza di risorse economiche.

Torre Fiumicelli

Un nuovo impulso per la realizzazione della rete di torri costiere d’avvistamento venne dall’editto emesso nel 1563 dal vicerè don Pedro Afan o Parafan de Ribera, duca di Alcalà. I luoghi dove costruire le nuove torri furono stabiliti dagli ingegneri regi in modo da garantire che ciascuna torre fosse visibile alle due più vicine. Per questo le torri si trovano spesso posizionate in posizione dominante, sul ciglio di falesie come Torre Matrella, Torre dell’Orso, Torre Santo Stefano o in prossimità dell’orlo di ripidi versanti costieri come nel caso di tutte le piccole torri tronco-coniche presenti sulla costa tra Otranto e Leuca (per es. Torre Sant’ Emiliano, Torre Minervino, Torre Capo Lupo, Torre Sasso) e dell’imponente Torre S. Maria dell’Alto sulla costa ionica della penisola. Molte altre torri sono poste al centro di piccole punte costituite da piattaforme costiere poco elevate, ad una distanza dalla linea di riva variabile da 50 a 130 m. In alcuni casi la posizione della torre è condizionata dalla presenza di un alto morfologico, generalmente la sommità di un cordone dunare fossile come nel caso di Torre Sabea, Torre Mozza e Torre Teste di Gallico.

Torre Capo Lupo

La costruzione della maggior parte delle torri si concluse nel 1569. In Terra d’Otranto, però, nel 1592 non erano ancora terminate le torri appaltate una decina di anni prima. Nel 1594 si dovette ricorrere quindi ad una nuova tassazione per reperire i fondi necessari per il loro completamento che si concluse nel 1608.

Nel 1748 si contavano nel Regno di Napoli 379 torri costiere delle quali 131 in Puglia cosi distribuite: 25 in Capitanata (attuale Provincia di Foggia), 16 in Terra di Bari (attuali Province di Bari e Barletta-Andria-Trani) e 80 in Terra d’Otranto (attuali Province di Brindisi, Taranto, Lecce).

Le torri costiere possono essere suddivise nelle seguenti tipologie: a) torri troncopiramidali a base quadrata, di dimensioni piccole (lato interno inferiore a 5 m), medie (lato interno compreso tra 5 e 6.5 m) e grandi (lato interno superiore a 6.5 m); b) torri a pianta circolare di dimensioni piccole (diametro inferiore a 10 m), medie (diametro tra 10 e 16 m) e grandi (diametro maggiore di 16 m); c) torri a “cappello di prete”, di forma ottagonale.

La caratteristica comune a tutte le torri è la rudimentale semplicità che elimina quasi tutti i motivi decorativi. L’ingresso, salvo rare eccezioni, è posizionato sul lato verso terra ed è collocato più in alto rispetto alla base della costruzione per motivi difensivi. Nelle torri più piccole, peraltro le più numerose, l’interno è limitato a due ambienti sovrapposti. A piano terra era prevista la costruzione di una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che vi giungeva dal terrazzo attraverso una canalizzazione ricavata nello spessore della muratura. La volta della cisterna sosteneva il vano abitabile della torre (normalmente uno solo) con ingresso sopraelevato cui si accedeva per mezzo di una scala di legno retraibile. Le scale esterne in muratura presenti oggi sono state costruite in epoche successive. Al terrazzo si accedeva per mezzo di una gradinata ricavata nello spessore della muratura, preferibilmente sul lato a monte, meno esposto alle offese provenienti dal mare. La porta di ingresso e le altre aperture erano difese da caditoie.

Torre Pali

Le torri erano presidiate da uomini di guardia che si dividevano in torrieri e cavallari. La carica di “torriere” veniva trasmessa da padre in figlio e comportava il controllo militare del piccolo distaccamento, l’amministrazione del vettovagliamento, delle munizioni e di tutto quanto era la dotazione della torre. I “cavallari”, invece, erano eletti pubblicamente da rappresentanti dell’amministrazione locale e con l’intervento del governatore del territorio in cui la torre era edificata; costoro restavano in carica tre anni ed erano suddivisi in ordinari e straordinari. Tutti erano agli ordini di un capo, il “sopracavallaro”. Gli uomini di guardia nelle torri costiere non sempre furono all’altezza del loro compito.

Il basso salario, spesso percepito in ritardo indusse spesso alla diserzione o addirittura al tradimento, che sfociò nella connivenza con i predoni o i contrabbandieri che trafficavano illecitamente lungo le coste del reame. Ad oggi sono state censite 81 torri in Terra d’Otranto (province di Brindisi, Lecce e Taranto), molte delle quali ridotte ormai allo stato di ruderi o quasi distrutte dai processi erosivi che costantemente aggrediscono la costa, ultime testimonianze della grande paura che veniva dal mare.

Simbolo di questo ineluttabile destino è Torre Fiumicelli, una piccola torre troncopiramidale ubicata sul litorale adriatico della Puglia meridionale, tra Otranto e Torre dell’Orso. I documenti storici riportano la torre ancora in costruzione nel 1596 e in una carta anonima del 1785 la torre viene già indicata come diruta. La torre venne costruita su di una bassa piattaforma costiera, poco rilevata sul livello del mare, che veniva a costituire una punta rocciosa. Verso l’interno era presente un’area paludosa in connessione con la linea di riva mediante un piccolo effluente (“il fiumicello”) che giustifica il nome della torre. Da questa posizione avanzata era possibile comunicare visivamente con le torri limitrofe presenti lungo il litorale, cioè Torre Sant’Andrea (distrutta e sostituita dall’omonimo faro) verso NNO e T.S. Stefano (oggi completamente diruta) a SSO. Negli ultimi due secoli, il graduale innalzamento del livello del mare, dovuto sia al progressivo scioglimento delle calotte glaciali sia a fenomeni di subsidenza della fascia costiera, ha determinato la sommersione della punta rocciosa e contemporaneamente la formazione di un’ampia spiaggia. Rapidamente al limite interno della spiaggia si è sviluppato un alto cordone dunare che ha prodotto il parziale seppellimento della torre tanto che essa non verrà più rappresentata nelle carte geografiche e risulta definitivamente perduta nei recenti cataloghi delle torri costiere della Puglia.

Lo stato delle cose è cambiato drasticamente negli ultimi decenni: i fenomeni erosivi in atto hanno determinato l’erosione del cordone dunare e hanno fatto riaffiorare la vecchia Torre Fiumicelli, esponendola mortalmente all’energia delle mareggiate.

di Paolo Sansò & Andrea Vitale


Andrea Vitale è geologo libero professionista. Ha collaborato in questi anni attivamente con il Dipartimento di Scienza dei Materiali e il Di.S.Te.B.a. dell’Università del Salento nell’ambito di ricerche sulla geomorfologia e la geologia del Salento. Inoltre ha svolto indagini morfometriche sul litorale del Salento leccese finalizzate alla quantificazione dei processi erosivi in atto. E’ coautore di numerosi articoli scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali..

I miti “raccontati” da alcuni siti dal Gargano a S. Maria di Leuca

da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020
Nel 1973 D.B. Vitaliano, nel suo pionieristico libro “Legends of the Earth: their geologic origins” (Leggende della Terra: le loro origini geologiche), conia il termine Geomitologia per riferirsi allo studio di miti, racconti folkloristici e leggende che recano il ricordo di fenomeni naturali accaduti nel passato. Questo approccio è stato accolto favorevolmente da molti studiosi, che, sul solco tracciato dalla Vitaliano, hanno cominciato a indagare miti e leggende con uno sguardo volto a individuare nei racconti le tracce di una conoscenza geologica pre-scientifica. Il presupposto teorico è che l’uomo abbia da sempre cercato di dare una spiegazione ai fenomeni geologici a cui assisteva e che, soprattutto di fronte a una grande catastrofe, abbia avuto la necessità di perpetuare il ricordo del pericolo e delle strategie di sopravvivenza. Queste istanze, in società fondate sull’oralità, sarebbero quindi convogliate nel patrimonio culturale delle comunità nella forma più adatta alla recitazione e alla trasmissione: i miti e le leggende.

In Puglia sono numerosi i luoghi in cui i fenomeni geologici hanno suscitato la nascita di miti e leggende. Da nord a sud si possono segnalare la leggenda di Matilde di Canossa a Lesina, l’apparizione di San Michele Arcangelo sul Promontorio del Gargano, l’origine del Monte del Diavolo a Manduria, la genesi del Masso della Vecchia di Giuggianello e la fondazione del Santuario di Santa Maria di Leuca.

Matilde di Canossa e Lesina

L’area costiera di Lesina è stata interessata storicamente da forti terremoti alcuni dei quali accompagnati da rapidi sollevamenti ed abbassamenti della superficie topografica nonché da eventi di maremoto. In questo territorio fortemente sismico nasce la leggenda della Grancontessa Matilde di Canossa che nell’anno 1089 decide di recarsi in pellegrinaggio via mare con la sua corte verso il santuario di Monte Sant’Angelo. Nel suo lungo viaggio fa tappa a Lesina e accetta l’ospitalità del conte normanno Petrone e dei suoi cavalieri. Questi ultimi però, di notte, attentano alla virtù delle damigelle di Matilde costringendo la corte ad una fuga precipitosa. Matilde si vendicherà dell’affronto subito producendo un repentino sollevamento delle acque del lago di Lesina e l’annegamento dei cavalieri normanni. Recenti studi geomorfologici permettono di interpretare questa leggenda come il probabile ricordo di un fenomeno di inondazione legato ad un evento di subsidenza cosismica o/e ad un maremoto che interessò l’area di Lesina durante un forte terremoto verificatosi alla fine dell’XI secolo.

L’ apparizione di San Michele Arcangelo

Il santuario di Monte Sant’Angelo, sul Promontorio del Gargano, fu costruito sul luogo dove avvenne l’apparizione dell’Arcangelo Michele, tradizionalmente datata alla fine del V sec. Il santuario ha svolto un ruolo cruciale nella conversione dell’Europa pagana, divenendo anche la principale meta di pellegrinaggio in Europa nell’Alto Medioevo. La figura altamente sincretica dell’Arcangelo guerriero, vincitore del dragone, ha infatti facilitato la conversione sia dei miti greco-romani che di quelli nordici Longobardi. Le origini geologiche del santuario sono dichiarate nella leggenda, che descrive un forte terremoto associato all’apparizione ed il successivo rinvenimento di particolari tracce nella roccia nella zona epicentrale: le “orme dell’Arcangelo”, ossia le spaccature nella roccia conseguenti al sisma. La descrizione degli effetti del terremoto trova chiari riscontri geologici nell’area del Santuario che permettono di stimare una intensità del terremoto legato all’apparizione di San Michele di gran lunga superiore alla massima registrata storicamente nell’area. Il terremoto riportato nella leggenda sembra quindi essere l’unica descrizione di un evento documentato dalle evidenze geologiche.

Il Monte del Diavolo a Manduria

Il paesaggio delle Murge Tarantine è segnato da un rilievo isolato dalla forma e dal nome singolare, il Monte del Diavolo. Si tratta di un piccolo rilievo grossomodo conico che si eleva una ventina di metri dalla piana circostante raggiungendo alla sommità la quota di 115 m. La formazione di questo strano rilievo è legata alla presenza di brecce fortemente cementate che riempivano una antichissima cavità carsica. Queste rocce, molto più resistenti di quelle intorno, sono rimaste in rilievo man mano che i processi di erosione determinavano il progressivo abbassamento della superficie topografica. Secondo le locali leggende fumi e strane luci sarebbero provenute dalla sommità del rilievo, per questo ritenuto “diabolico”. Uno dei primi studiosi della geologia del Salento, il conte Michele Milano, sulla base di questi fenomeni e della sua singolare morfologia attribuì erroneamente la sua origine a fenomeni vulcanici

Il Masso della Vecchia a Giuggianello

Alcuni massi scagliati dai Giganti nella loro furibonda battaglia contro gli Dei dell’Olimpo sarebbero caduti a Giuggianello, in corrispondenza di una dorsale poco rilevata localmente denominata Serra. Uno di questi massi costituiva il giaciglio di una vecchia strega, moglie de “lu nanni vorcu” (un terribile orco ghiotto di bambini).  La strega custodiva un meraviglioso tesoro costituito da una chioccia con sette pulcini d’oro che chiunque avrebbe potuto far suo se fosse riuscito a sollevare l’enorme masso con un dito nel giorno di San Giovanni. Per tutti coloro sprovvisti di una forza erculea, invece, sarebbe stato sufficiente pena la pietrificazione. In realtà i massi della Vecchia sono delle particolari forme carsiche modellate nella Pietra Leccese che si sono sviluppate sotto una copertura di suolo. La recente attivazione di numerosi inghiottitoi carsici nell’area ha determinato il richiamo verso il basso della copertura e la venuta a giorno di queste singolari forme del paesaggio.

Il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae

Le origini del santuario sono indissolubilmente legate ad un evento catastrofico che interessò in epoca antica l’intero bacino del Mediterraneo orientale. Nel 365 d.C., infatti, si verificò un terribile terremoto con epicentro ubicato nel braccio di mare a sud dell’isola di Creta e magnitudo stimata tra 8.3 e 8.5. A Creta il movimento tellurico provocò il rapido sollevamento della costa sino a 9-10 m di altezza. Molte città dell’isola furono distrutte; furono registrati danni anche nel Peloponneso (Patrasso e Olimpia) e nell’isola di Cerigo. Il maremoto prodotto dal sisma si abbatté sulla costa meridionale di Creta producendo una inondazione che si spinse sino a 9 m di quota. Il maremoto si propagò nel Mediterraneo Orientale fino a Cipro e in Palestina verso est, alle coste della Calabria e della Sicilia verso ovest, e verso sud in Tunisia, in Tripolitania a Leptis Magna e a Sabratha, in Cirenaica, ad Apollonia (dove l’inondazione raggiunse quota 15 m), a Cirene e ad Alessandria d’Egitto. In quest’ultima località, Ammiano Marcellino, uno storico presente all’evento che definì “il giorno dell’orrore”, indica un innalzamento del livello del mare sino a 12 m. di quota con la conseguente inondazione di una porzione di piana costiera ampia circa 2 km. Le vittime furono circa 45.000 in tutto il Mediterraneo, di cui circa 5.000 nella sola Alessandria.La comunità costiera di Leuca fu testimone di questo terribile evento e attribuì lo scampato pericolo alla intercessione della Vergine Maria. Da qui la decisione di erigere in quel luogo simbolico un santuario a lei dedicato.

Miti e leggende di Puglia si rivelano quindi utili ad arricchire l’offerta turistico-culturale della regione costituendo nel contempo uno strumento formidabile per trasmettere utili informazioni geologiche alle comunità locali frequentemente non consapevoli della locale pericolosità geologica.

di Paolo Sansò


Paolo Sansò è professore associato di Geografia fisica e Geomorfologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali del- l’Università del Salento. Svolge attività didattica nell’ambito del corso di laurea triennale in Scienze e Tecnologie dell’Ambiente e della laurea magistrale in Scienze Ambientali. Si è interessato ai differenti aspetti della geologia ambientale, ha sviluppato ri- cerche sull’evoluzione del paesaggio costiero pugliese in risposta alle variazioni del livello del mare, del clima e delle attività antropiche nel corso dell’Olocene; ha studiato  i fenomeni di erosione costiera, gli effetti di maremoti verificatisi in epoca storica, i fenomeni di crollo e di alluvionamento legati all’evoluzione del paesaggio carsico.

I risultati delle ricerche sono riportati in numerose pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali ed internazionali.