In questa stagione di un’apparente Pasqua ritrovata, con l’aria già calda di primavera inoltrata, con le strade inondate di gente in libera uscita dopo più di due anni di solitudini obbligate, incalzati dal 24 febbraio da paure che avevamo considerate scomparse per sempre dal nostro orizzonte europeo, risulta difficile trovare le parole giuste per fare gli auguri. Vorremmo usare parole non scontate, pulite, vergini, quelle che non si sono sporcate passando di bocca in bocca, di social in social, perdendo la forza originaria del loro significato. Come “pace”, per esempio, diventata una parola “di parte” a seconda della posizione che si assume pro o contro qualcuno, sicché finisce che gli auguri non sono inclusivi e a largo raggio come dovrebbero essere. Non può esistere pace autentica se si continuano a sollevare muri di “ma” e “però”. Allora, forse i riti cristiani di questi giorni ci suggeriscono un augurio più realista: buona resurrezione, sia che la scriviamo con la maiuscola sia con la minuscola perché alla base c’è sempre un “venerdì”, una situazione di dolore e di silenzio. Che si creda o no in Cristo risorto, nella storia la Resurrezione è considerata un principio di rinnovamento, una speranza di passaggio, di liberazione. In questo momento stiamo vivendo tutti in maniera più o meno diretta e accentuata un venerdì di passione. L’augurio è che non si perda la speranza di risorgere, perché come dice Papa Francesco ” è sempre possibile ricominciare anche dalle macerie”
Maria Rosaria De Lumè