Un Neuropsichiatra illuminato
Luigi Stefanachi – Tra scienza, libertà e umanità –
Questo mio articolo mira a ricordare la figura di alto profilo scientifico ed umano del prof. Luigi Stefanachi, neuropsichiatra salentino, in occasione della intitolazione di una via di Strudà, piccola frazione del Comune di Vernole, in provincia di Lecce, a poco più di due anni dalla sua scomparsa.
Lo faccio, essendo stato egli non solo il Direttore sanitario dell’Ospedale psichiatrico interprovinciale salentino (Opis in sigla) ma anche il mio Maestro di Psichiatria. Con lui sin dal 1°gennaio del lontano anno 1967 ho cominciato a muovere i primi passi nel tanto misterioso quanto affascinante mondo della follia. Lui mi ha spronato a dedicarmi alla ricerca, oltre a curare i malati nei disadorni e fatiscenti Padiglioni – non reparti, si badi bene – del già Manicomio di Terra d’Otranto. Era già stato Direttore dell’Ospedale psichiatrico di Girifalco in Catanzaro. Venne quindi a Lecce, nella sua amata terra salentina, essendo nato a Castrignano del Capo, un paese nell’estremo Tacco della nostra lunga Penisola. Con lui ho realizzato i miei primi lavori scientifici, sperimentali sulla metilazione della nicotinamide nel sangue e nel liquor degli schizofrenici.
La sua formazione psichiatrica aveva una matrice organica, cioè biologica. Il suo Maestro era stato il prof. Longo, della scuola napoletana di Vito Maria Buscaino. Il suo grande merito fu quello di precorrere i tempi e quando la riforma psichiatrica non era ancora legge, ma un’idea nella mente di Franco Basaglia. Egli, da pioniere nel campo, aprì i cancelli del suo reparto di Strudà, ma non per tutti bensì solo per coloro che, dopo una meticolosa e puntuale osservazione clinica e privo di qualsiasi pregiudizio o infatuazione di natura ideologica, ritenne di mandare in libertà per le vie di quel paese, Strudà, e alcuni di essi anche a lavorare (ergoterapia).
D’altro canto, la libertà è terapeutica non per tutti ma solo per coloro che la sanno gestire, usare. In questo senso fu un Maestro illuminato, lungimirante, moderno.
A questo punto voglio riportare fedelmente, dal mio libro “Le due facce di una legge”, edito nel 2018, alcuni passaggi di un suo articolo dal titolo “L’antipsichiatria”. Sono la dimostrazione del suo spessore culturale e dell’apertura delle sue idee in fatto di assistenza e riabilitazione psichiatrica. Le aveva dettate ai due figli Giuseppe e Gianluca ed erano riportate su un manoscritto, rimasto inedito e distribuito ad amici e agli allievi del padre, e quindi a me, dal titolo :”Luigi Stefanachi: vita di uno psichiatra”. Il professore era per una psichiatria a misura di paziente, dal volto umano. Bisognava cominciare dalle strutture che facevano paura, cioè trasformare i Padiglioni con 200 malati circa in reparti con stanze di degenza dotate di 4 o 5 posti letto, con una sedia un comodino e un armadietto per ogni paziente. In altre parole, le strutture psichiatriche dovevano essere adeguate, rese simili a quelle degli Ospedali generali.
I metodi di cura erano validi. Il prof. Stefanachi usava gli psicofarmaci in dosi adeguate, perché era convinto della loro efficacia. Non li considerava “camicie di forza chimica” ma utili mezzi per spegnere le allucinazioni e destrutturare deliri. Ed io la pensavo e continuo a pensarla come lui.
Sagge sono queste frasi di un luminare della Psichiatria dell’epoca, che ho tratto da un lungo articolo dal titolo “Psichiatria e libertà” del prof. Giancarlo Reda pubblicato nel 1975, tre anni prima del varo della legge Basaglia: “Quando ci occupiamo dei nostri malati dobbiamo sempre giudicare criticamente la nostra storicità e la loro e chiederci se usiamo la libertà che abbiamo come uomini e come psichiatri per darla, uguale alla nostra a chi, per colpa di una malattia storica o non storica, l’ha perduta. Con questo atteggiamento che va applicato, perché non sia stupida retorica, non è violenza il trattamento, farmacologico o psicologico che sia, e non lo è nemmeno l’istituzione, se è adeguata e terapeutica “. Sono sicuro che il prof. Stefanachi la pensava, in tema di libertà dei malati di mente, come il cattedratico Giancarlo Reda, che sicuramente ha conosciuto in occasione di Convegni nazionali, ed anche apprezzato.
Salvatore Sisinni