Vengono da lontano i Guarini, nello spazio e nel tempo. Giunsero in Puglia dalla lontana Normandia nel 1040; il primo Guarini, di cui si ha notizia nel Catalogus baronum , è Ruggero Guarangis, al seguito di Roberto il Guiscardo. Da Ruggero, che difese Lecce dall’attacco di Boemondo d’Altavilla, con cui in seguito partecipò alla prima Crociata in Terra Santa, i Guarini nei secoli e nei regni successivi (Normanno, Svevo, Angioino, Aragonese, Borbonico) ebbero ruoli di primo piano. I loro feudi coprivano tutto il Salento: dopo quelli di Surano (nel Duecento) e di Poggiardo (nel Quattrocento), raggiunsero il numero di venti nel Seicento; nell’Ottocento i Guarini si spostarono a Scorrano dove a tutt’oggi vive la 25^ generazione che porta avanti la storica Azienda vinicola e agricola “Duca Carlo Guarini”, nata nel 1065, sempre rimasta di proprietà della famiglia. Un’azienda “storica”, quindi, come annotato nel Registro nazionale delle imprese storiche, istituito da Unioncamere a giugno 2011 in occasione del 150˚ anniversario dell’Unità d’Italia.
I Guarini, quindi, hanno incrociato non solo la storia d’Italia, ma quella dell’intera Europa: re, regine e anche santi. Nel 1219 furono due fratelli Guarini ad accogliere San Francesco di ritorno dalla Terra Santa, gli offrirono “poche abitazioni per lui e i suoi religiosi”, così come riportato dall’iscrizione accanto all’altare maggiore della chiesa San Francesco della Scarpa a Lecce.
La loro ospitalità e la loro generosità sono documentate ampiamente. Fu loro ospite anche Giuseppe Bonaparte nel 1807 e Gioacchino Murat, Re di Napoli, nel 1813. Quest’ultimo l’anno successivo premiò un “valoroso” della famiglia Guarini, Francesco, dopo averlo visto combattere ad Ancona: “si tolse la croce dell’ordine al valor militare Delle Due Sicilie e ne fregiò il petto di Francesco”.
Murat lasciò per ricordo la sua firma incisa con la pietra del suo anello su di una specchiera, firma che oggi è riprodotta sull’etichetta del Souvignon Blanc, il “Murà” . (Le numerose tappe storiche dei “valorosi” Guarini, affermatisi in tutti i campi, sono sintetizzate nel sito dedicato dell’azienda).
L’Azienda oggi
Una barricaia all’interno di un ipogeo scavato nella roccia del ‘500 e la cantina del ‘700 con il frantoio dei primi dell’Ottocento sono la presentazione dell’azienda “Duca Carlo Guarini” che conta su 700 ettari la cui produzione varia dal vino all’olio alle conserve, grani antichi come Senatore Cappelli, Farro spelta , ortaggi di tradizione locale.
Le vigne sono situate nel basso Salento; l’azienda pone molta attenzione nella tutela del patrimonio vinicolo salentino come gli autoctoni di Negroamaro, Primitivo e Malvasia nera vinificati in rosso, bianco e rosato tutti in purezza. Proprio la Malvasia Nera ha attirato l’attenzione dell’ Azienda Duca Guarini che la produce in purezza dal 2001 (sono pochi a farlo); dopo la fermentazione sosta due anni in acciaio e affina sei mesi in bottiglia. Un vino da provare, vi sorprenderà il Malìa Malvasia Nera Salento Igt.
Il lavoro in vigna è indirizzato tutto sul biologico. L’impegno e la determinazione sono stati sempre riconosciuti e premiati. Anche quest’anno 2021 troviamo l’azienda sulla guida AIS (Associazione Italiana Sommelier), con un riconoscimento dagli 89 ai 90 punti che viene dato ai vini di ottimo profilo alla soglia dell’eccellenza ed è stato attribuito al “Nativo” 2019 24 mesi in acciaio. Di colore rosso rubino, il “Nativo” si presenta al naso con sentori di lampone, uva spina, erbe officinali, liquirizia e caffè con note balsamiche e speziate su un finale tostato.
Giovan Battista Guarini, il custode della tradizione
Giovan Battista Guarini nasce a Roma nel 1955, vive a Scorrano fino a 11 anni , poi a Roma dove frequenta le scuole superiori; dopo l’Università a Firenze decide nel 1978 di far ritorno nella casa di famiglia a Scorrano per occuparsi insieme al padre Carlo dell’azienda agricola . Fu una scelta importante ricominciare una vita in provincia e in campagna, all’epoca abbastanza lontane dalle possibilità che città come Roma potevano offrire ad un ragazzo di 23 anni . Imparare, capire come era concepita l’agricoltura di quel periodo nel basso Salento fu molto impegnativo ma fu determinante per gettare le basi di una nuova concezione dell’ antica azienda di famiglia. Dopo aver reimpiantato i vigneti che erano stati messi a dimora dal nonno Giovan Battista 60 anni prima, si è passati all’ammodernamento della vecchia cantina di Scorrano per poter poi iniziare a imbottigliare nel migliore dei modi i nuovi vini concepiti e prodotti. Stesso processo hanno avuto gli oliveti con la meccanizzazione della raccolta e l’ammodernamento del vecchio frantoio a presse, producendo così il primo esempio di extravergine di Cellina e Ogliarola scelto dalla prima guida l’Extravergine edita da U.M.A.O nel 2000 che citava solo 10 oli per tutta la Puglia. Arrivando naturalmente alle produzioni di conserve, dei cereali antichi, farine e legumi e alla reintroduzione nelle masserie degli ovini.
Giovan Battista, Giovanni per gli amici, dal 1986 ha una moglie fantastica, Lucia, e 3 figli, Carlo, Federico e Roberto, quest’ultimo laureato in viticoltura ed enologia si occupa già dell’azienda insieme a Carlo laureato in economia e marketing . La storia continua…non c è tempo per annoiarsi. L’idea in sintesi è che un’azienda agricola salentina, così come tradizione vuole, non può essere monocolturale; tutte le stagioni danno prodotti tipici che meritano di essere valorizzati. Purtroppo in questi ultimi anni la tragedia della xylella lo ha ampiamente dimostrato.
Il riconoscimento AIS non è il solo che ha ricevuto la vostra azienda: quali altri vini sono stati premiati?
Naturalmente abbiamo avuto tanti riconoscimenti negli anni a partire dal Gambero rosso, Veronelli, Merum , Maroni , Bibenda, il Golosario, Ais, Vini Buoni d’Italia, Dolce Puglia ecc, nonché concorsi vari dal Vinitaly a quello dei vini da pesce di Ancona, Radici del sud, per finire a quello dei vini bio della Biopress.
I vini premiati sono stati molti: il Vigne Vecchie, Il Malia, il Boemondo, Nativo, l’Ambra, Campo di Mare, Murà , Taersia, Piccolebolle.
Quali sono le scelte che l’azienda ha deciso di adottare in vigna?
Già nel 1997 abbiamo iniziato a produrre uve biologiche certificate, poi nel 2006 il primo vino Bio, il Nativo nato per l’occasione. La scelta di non usare più concimi e trattamenti chimici ci ha impegnato su tutta l’azienda sin dal 2003: è una scelta che abbiamo fatto per rispettare al massimo le uve per i nostri vini, per il rispetto del territorio a cui teniamo particolarmente e, naturalmente, dei nostri consumatori .
Un progetto ambizioso?
Uno dei progetti più ambiziosi è stato quello di decidere di produrre bollicine in Salento e per di più con il nostro vitigno principe, il Negroamaro.
Per ottenerlo, dopo vari anni di sperimentazioni, abbiamo investito in tecnologia e nel luglio del 2015 è nato il Piccole bolle extra Dry, uno spumante metodo Martinotti, da una base anch’essa totalmente innovativa, ovvero un Negroamaro vinificato in bianco. È stato il primo spumante metodo Martinotti totalmente prodotto in Puglia da Negroamaro vinificato in bianco. Una sfida che ancora portiamo avanti contro l’invasione delle più note bollicine nordiche; pian piano ci stiamo riuscendo. Il nostro motto è che con la qualità si può tutto; la ricerca dei grandi numeri è una cosa più complicata, ma non ci riguarda.
Quando si concede una pausa di “meditazione”, quale vino sceglie?
Nei momenti più intimi preferisco stappare una bottiglia di 900 Negroamaro, Primitivo o Malvasia nera: sono vini adatti all’invecchiamento, vini senza compromessi e senza fini commerciali, nati nel 2014 per festeggiare i nostri primi 900 anni da vignaioli. Vini complessi che non fanno l’occhiolino alle mode del momento e che a me donano grande appagamento.
Proponga un’etichetta all’ultimo valoroso dei Guarini: quale vino le piacerebbe portasse il suo nome e perché?
Se mai potesse accadere, e non sarebbe nel mio stile, di dedicarmi un vino, mi piacerebbe sicuramente fare un vino nuovo, un vino che ancora non abbiamo mai fatto dove metterci un po’ di creatività che in fondo è il motivo per cui faccio e adoro questo mestiere dell’agricoltore.
A cura di Maria Rita Pio