Di lui il New York Times ebbe a scrivere che aveva rivoluzionato la moda degli anni ’90 come Giorgio Armani aveva fatto negli ‘80: non poco, per un ragazzo che solo qualche tempo prima si misurava con i libri dell’Accademia di Brera a Milano. Galeotta fu infatti l’esperienza degli anni nipponici al fianco di Yohji Yamamoto (due anni intensi e formativi poi trasfusi nelle pagine di libro a sua firma). Già nel 1986, infatti, la sua prima collezione donna a Milano con il marchio creato assieme al fratello Carlo (oggi presidente della Camera Nazionale della Moda), ovvero CoSTUME NATIONAL; e tre anni dopo la prima sfilata a Parigi per la Settimana della moda.
Anni ruggenti, i successivi, con l’apertura dei primi flagstore a Milano, Tokyo, New York e Hong Kong, e il prêt-à-porter uomo e donna, profumi, cosmetici e lingerie. Di fine anni Novanta, invece, alcune collaborazioni con il teatro, dalla progettazione dei costumi per “Lo specchio di Frida” con Ottavia Piccolo (Teatro Franco Parenti, Milano, 1998) a “Le regole dell’attrazione”, con regia di Luca Guadagnino, nel 2002. Ancora, partnership importanti, come quella con Ducati; e nel mezzo tanti vip di tutto il mondo a fare la fila per indossare le creazioni CoSTUME o C’N’C’, da esibire magari su un palco rock: quello degli amici Rolling Stones, per esempio, ospiti nel suo appartamento milanese per un esclusivo party post concerto nel 2006. Un’amicizia e una stima che durano nel tempo: Mick Jagger sceglie una giacca CoSTUME su misura per il tour 2016 in America Latina.
Marina Abramovic, amica di sempre, sostiene invece in occasione di un evento benefico a Los Angeles, a firma di entrambi, che “Ennio è un esteta che sa andare al cuore della semplicità, un esteta con un senso monastico della linearità”.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, l’addio alla sua creatura, tra la sorpresa e la costernazione di quanti, letteralmente, lo venerano come nuovo vate del fashion tricolore. È il 15 marzo 2016 e il momento è drammatico, ma lui guarda già al futuro, a ciò che verrà: «Le emozioni che provo in questo momento sono complesse e mi portano immediatamente a guardare a questi trent’anni straordinari, agli incontri, alle sfilate e a tutto quello che il mondo meraviglioso della moda ci fa vivere», scrive al riguardo. «Oggi guardo avanti: voglio provare a raccontare ancora una storia con la stessa passione e la stessa intensità che ho avuto in questi anni… sono e resterò un visionario passionale»: parola di Ennio Capasa, salentino nato a Otranto nel 1968 per cui “ripartenza” è parola da far risuonare tutti i giorni senza mai perdere smalto, entusiasmo, ispirazione.
Il mondo prova a ripartire dopo un altro inverno difficile. Più speranze o timori, per te, alla vigilia di questa seconda estate post pandemia?
Le vaccinazioni stanno cambiando in maniera definitiva il corso della pandemia, e questo sta già avendo effetti sulle nostre vite. C’è voglia di positività… La vita vuole vivere, dopo questa esperienza difficile, l’energia sta tornando nelle strade, si vedono sotto le mascherine i primi sorrisi. La voglia di voltare pagina è grande, e noi italiani, che siamo stati i primi a soffrire tragedie umane dolorosissime, abbiamo affrontato tutto questo con disciplina, e oggi siamo pronti a ripartire. Ripartenza è una parola di speranza, di futuro, di ottimismo.
Cosa auguri a te stesso, invece?
Di avere la salute e l’energia per ripartire con l’entusiasmo che mi ha sempre accompagnato nei momenti di cambiamento. Le ripartenze mi hanno sempre emozionato, perché bisogna dare il massimo, dare fondo alle risorse più profonde della nostra mente per meravigliare e stupire noi stessi.
Cosa abbiamo imparato -o avremmo dovuto imparare- secondo te, da quest’esperienza tragica? E il mondo della moda?
L’uomo impara velocemente, ma purtroppo spesso dimentica altrettanto velocemente. Siamo riusciti a realizzare i vaccini in rapidità, speriamo di non dimenticare quanto il pianeta sia piccolo, fragile e purtroppo sotto il nostro controllo; non stiamo dimostrando di essere buoni amministratori del pianeta, visti i danni ambientali enormi che stiamo producendo. La moda sta imparando a essere più sostenibile, più inclusiva, e non è poco. Ma non basta, bisogna di promuovere di più lo stile che rimane nel tempo, e meno ciò che è di moda, appunto.
Quante volte sei ripartito nella tua vita?
Nel mio lavoro si riparte ogni sei mesi, ma il problema della ripartenza è la visione, altrimenti si va a sbattere. L’entusiasmo della ripartenza deve essere visionario e responsabile… potrebbero sembrare termini in conflitto tra di loro, questi ultimi, ma sono il giusto mix per affrontare le sfide future. Io li ho sempre applicati nelle mie ripartenze, e hanno funzionato.
A cosa ti sei dedicato principalmente, avendo più tempo a disposizione, nei mesi di lockdown?
Ho lavorato di più, ho letto di più, mi sono dedicato di più a un progetto di arte che sto sviluppando. In realtà il lockdown ha accelerato la mia bulimia creativa, la necessità del mio io profondo di raccontare storie per emozionare, che sia moda, arte, scrittura o altro. Le emozioni sono la parte più potente dell’essere umano, e sono il carburante delle nostre vite.
Quanto è stata importante la vicinanza della tua famiglia per superare questo periodo drammatico?
Non bisogna essere ipocriti, la famiglia è sempre importante, e se lo hai capito solo con il Covid allora c’è qualcosa che non va. La pandemia non deve ridursi a un’esperienza patetica e un po’ banale, è stata una sofferenza per tutti, ma il dolore ci migliora quasi sempre. La famiglia, per chi ha la fortuna di averla, è come ti senti a casa: capito, amato, a volte anche nei conflitti, come può accadere nei rapporti più stretti. Ma vince quasi sempre l’amore.
La Puglia è…?
Una terra che ha assorbito culture per migliaia di anni. È bella, seducente, solare… un luogo ricco di persone aperte, accoglienti, una terra intraprendente. Chi viene in Puglia di solito ci ritorna sempre: molte star importanti – Mick Jagger, Nicole Kidman, Willem Dafoe e tanti altri che abbiamo avuto ospiti da noi a Otranto – si sono innamorati della Puglia.
Cosa rimpiangi di più della tua terra d’origine quando sei a Milano?
Non sono mai stato un nostalgico, poi ormai da decenni il mondo è piccolo… un’ora e mezzo di aereo e sono in Puglia. Ma se debbo dirti cosa mi manca, mi mancano i profumi, la luce, i sapori… piccole memorie con cui sono cresciuto.
Perché la Puglia ha avuto tanto successo nell’immaginario collettivo negli ultimi anni, secondo te?
Per vari motivi. Un po’ perché era più indietro di altre regioni a vocazione turistica, soprattutto nei trasporti e nelle infrastrutture, un po’ perché non era mai riuscita a comunicare le proprie bellezze.
Suggestioni di un possibile ritorno definitivo, un giorno? Cosa ti piacerebbe fare tornando?
Vivo molto nel presente e ho la fortuna di percepirlo in maniera positiva, mi sento cittadino di questo meraviglioso pianeta. Non so ancora dove terminerò la mia esistenza, ma se dovessi tornare dove sono nato, o in qualche altro luogo, il mio impulso creativo governerebbe le mie scelte quotidiane. E se fosse in Puglia sarebbe bello, perché mi piacerebbe fare un po’ il contadino, un po’ l’artista, e dare sicuramente vita a qualche progetto che coinvolga i giovani.
Un anno fa a quest’ora la sfilata di Dior accendeva i riflettori di tutto il mondo su Lecce. Quanto sono importanti questi appuntamenti per promuovere l’immagine del Salento e della Puglia nel mondo?
La comunicazione è il mantra del tempo in cui viviamo: se non comunichi non esisti. Tutto quello che ha una qualità internazionale è un mezzo di promozione straordinario per l’intera Puglia. Credo però che ci sia molto ancora da fare in termini di qualità dei servizi e trasporti… il Salento e la Puglia possono ancora crescere moltissimo.
Progetti personali e professionali per il futuro?
Sto lavorando in questi giorni a un nuovo progetto molto stimolante, entro l’inizio del prossimo anno lo comunicherò.
A cura di Leda Cesari