In giro per la Puglia a raccontare del suo lavoro, a raccogliere e proporre nuove idee per lo sviluppo sostenibile e per la tutela della biodiversità, l’assessora regionale all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio, è impegnata su più fronti con ritmi frenetici. L’ultimo lavoro che la vede protagonista è il Piano dei rifiuti, adottato dalla Giunta Regionale, e che presto arriverà in Consiglio per l’approvazione definitiva. E partiamo proprio da qui.
Dopo anni di attesa la Giunta regionale ha un nuovo Piano di gestione dei rifiuti urbani. Su quali punti si basa?
«Il Piano è stato redatto con l’intento di cogliere le sfide che hanno lanciato le nuove generazioni e che si basano principalmente sull’economia circolare e il rispetto dell’ambiente, come definito in tutti gli obiettivi strategici; si è lavorato per conformare le norme regionali alle direttive eurounitarie, recepite nel 2020 dall’Italia. Per l’elaborazione si è avuto un approccio totalmente diverso rispetto al passato, si è partiti dal segmento del riciclo e recupero fino alla produzione dei rifiuti: un percorso inverso che ha consentito di individuare le criticità della filiera da superare con la nuova pianificazione, permettendo di interagire con i consorzi di filiera, le co- munità locali, gli enti interessati e gli stakeholders per eliminare gli elementi ostativi al riciclo».
Segue le manifestazioni dei ragazzi che scendono in piazza per i Friday for future? Ha ricevuto delle loro sollecitazioni? Cosa le chiedono?
«Seguo con molta attenzione le sollecitazioni che i Friday for Future e altri movimenti giovanili sottopongono ai governi e alla politica. Trovo che sia necessario non solo ascoltare le richieste e le preoccupazioni che ci vengono sottoposte ma soprattutto dare loro risposte e impegnarsi affinché vengano trovate soluzioni per garantire loro un futuro degno».
E riguardo il G20 e la Cop 26, che idea in generale si è fatta? Si è capito che si deve intervenire subito?
«Appare evidente che gli incontri del G20 e della COP 26 siano stati momenti topici, non fosse altro per l’interesse mediatico che ha condotto ogni componente del- la società civile a riflettere. Per stabilire se la conferenza di Glasgow sia stata un successo o un fallimento, bisognerebbe prima stabilire precisamente cosa s’intende con questi due termini. Se dobbiamo giudicarla alla luce del suo obiettivo dichiarato: “evitare che entro la fine del secolo la temperatura media globale aumenti di più di 1,5 gradi rispetto all’era preindustriale”, allora non c’è dubbio che la Cop26 poteva fare di più. In base ai calcoli dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), se tutti i paesi si atterranno ai piani per la riduzione delle emissioni di gas serra che hanno presentato a Glasgow, nel 2100 il riscaldamento globale toccherà 1,8 gradi. Se invece dobbiamo valutare la Cop26 rispetto agli incontri precedenti, il quadro cambia nettamente. Al tempo della conferenza di Parigi, nel 2015, lo stesso Climate action tracker calcolava che con le politiche allora in vigore l’aumento della temperatura avrebbe raggiunto i 3,6 gradi. L’ondata di entusiasmo suscitata da quel vertice “storico” si era ben presto esaurita, anche perché l’anno successivo Donald Trump era stato eletto presidente degli Stati Uniti e aveva annunciato di voler abbandonare l’accordo. Nei quattro inconcludenti vertici annuali che si erano succeduti dopo Parigi, la distanza tra le parti e la chiara mancanza di impegno condiviso avevano portato molti a dubitare della possibilità stessa di un approccio coordinato a livello globale per limitare il cambiamento climatico. A Glasgow il cambio di passo è stato evidente: a fare la differenza, oltre allo sviluppo di un movimento globale per il cli- ma sempre più vasto e all’uscita di scena di Trump, è stata soprattutto l’enorme impressione creata dagli eventi climatici estremi degli ultimi due anni: stavolta i negoziatori sapevano che al momento di leggere le conclusioni del vertice avrebbero avuto letteralmente gli occhi del mondo addosso. Con almeno vent’anni di ritardo, l’emergenza climatica si è finalmente imposta tra le priorità globali. La conferenza di Glasgow lo ha certificato, e questo era probabilmente il risultato più importante che potesse ottenere».
Come si inserisce la Puglia nelle proposte che sono state avanzate? Quale proposta può essere intrapresa subito in Puglia? Da dove partire?
«In Puglia stiamo lavorando già da tempo sul tema cli- matico e dello sviluppo sostenibile in generale. Oltre a promuovere scelte strategiche radicali attra- verso una strategia regionale di sviluppo sostenibile che delinea in maniera chiara gli obiettivi cogenti di sviluppo nella sfera ambientale, sociale ed economica, abbiamo avviato progetti di accompagnamento agli enti locali attraverso la promozione dello strumento del Patto dei Sindaci, affinché i comuni pugliesi si dotino di piani di adattamento locali (PAESC) e stiamo lavorando alla definizione di una specifica Strategia regionale di adattamento ai Cambiamenti Climatici. Le azioni pro- mosse e avviate sono numerose e sinergiche tra loro».
Ci sono esempi virtuosi di aziende o di comuni che hanno deciso di ridurre le emissioni e di avere un impatto minore sull’ambiente?
«In Puglia esiste un comparto virtuoso privato che sta operando da tempo nella riduzione degli impatti, anche progetti finanziati dalla regione con fondi comunitari in cui strutture specifiche regionali integrano la sostenibilità ambientale nelle procedure di concessione dei finanziamenti. Inoltre attraverso i procedimenti autorizzatori specifici (VIA, VIncA e AIA) gli uffici regionali sono attivamente coinvolti nella valutazione attenta degli impatti e della loro minimizzazione. Con i Comuni ci sono fluide sinergie di integrazione sia attraverso specifici percorsi di affiancamento (Patto dei sindaci) sia nella promozione di strategie locali di sostenibilità».
a cura di Ilaria Lia