Contare sulle proprie gambe, immettersi su una strada
e andare senza paura di quello
che ci sarà dietro una curva.
La strada non sarà sempre rettilinea,
potrebbero essere necessarie delle deviazioni,
qualche buca, qualche pietra a sbarrare il percorso,
ma bisogna continuare ad andare.
A piedi, un passo dopo l’altro,
o in bicicletta con lo sguardo concentrato
sulla ruota che gira, quando si è troppo stanchi
e si crede di non farcela più
e si è tentati di lasciar perdere.
Perché alla fine la fatica si scioglie.
Come i pensieri.
Si credeva che questo periodo di pandemia,
di chiusura necessaria,
avrebbe limitato la voglia di camminare.
I dati ci dicono che una diminuizione c’è stata,
ma non di molto.
Si sono scelti solo i cammini più vicini,
poco battuti, più brevi, si è ridotto il tempo,
ma si è continuato ad andare.
D’altronde mettersi in cammino significa
non solo fare esercizio fisico necessario,
ma è un aprirsi all’esterno,
è un mettersi in gioco, calibrare i propri obiettivi,
fare delle scelte nell’uso del proprio tempo e spazio.
La lentezza contro la frenesia,
il silenzio contro il rumore.
Se si è costretti a restare nella propria regione,
i percorsi da conoscere e da fare sono tanti,
c’è solo l’imbarazzo della scelta per armonizzarli
con il proprio carattere e con i propri obiettivi.
Noi ve li presentiamo nella loro diversità:
c’è quello del ciclonauta, c’è chi sceglie antichi tratturi,
c’è chi si accontenta di un cammino breve “in solitaria”.
E poi ci sono altri percorsi, altre transumanze.
Ci sono quelle teatrali e quelle poetiche,
così ai cammini si aggiunge un ulteriore senso.
Si tratta in ogni caso di “andare”,
uscire anche da se stessi, guardando avanti
senza dimenticare che accanto a noi, in questo periodo,
qualcuno a volte rallenta
e ha bisogno di essere sostenuto.
E che la speranza nella ripartenza si costruisce insieme.
A cura di Maria Rosaria De Lumè