Laureata presso l’Università di Modena, specializzata in Chirurgia Generale presso la stessa Università. Ha prestato servizio presso l’ Ospedale di Carpi (MO) e l’ ASL Modena, occupandosi soprattutto di Chirurgia Oncologica, in particolare ha partecipato alla Breast Unit. Dopo 20 anni in Emilia Romagna è tornata in Salento, attualmente Dirigente Medico presso il Reparto di Chirurgia di Gallipoli
- I suoi impegni professionali sono immensi. Essere donna l’ha mai penalizzata?
«Ancora oggi nell’accezione comune il chirurgo è uomo, di mezza età… È difficile immaginarsi un chirurgo donna, e anche giovane. Eppure io non mi sono mai sentita penalizzata, essere donna non l’ho mai visto come uno svantaggio. A volte bisogna “prendere con filosofia” le battute dei pazienti quando chiedono “ma è lei che mi opera?” In genere io rispondo “si, vedrà che si troverà benissimo”, facendo finta di non capire perché mi facciano questa domanda, e sinceramente la soddisfazione è tanta quando poi sono i pazienti stessi a ringraziarci per il nostro lavoro e la nostra sensibilità.
Oltre ad essere una donna sono anche una mamma: forse questo mi ha penalizzato un po’. La gravidanza ed i primi mesi di maternità inevitabilmente ti tengono lontana dalla sala operatoria per più di un anno, e questo è svantaggioso per un chirurgo, perché significa perdere il ritmo, l’allenamento. All’inizio, ricominciare può sembrare un po’ alienante ma poi ce la si fa, basta credere di più in noi stesse, non sentirsi diverse. Quando abbiamo di fronte a noi un collega maschio, dobbiamo vedere in lui solo un collega, e non un uomo, sentirci e rapportarci alla pari. A volte sono le stesse donne a penalizzarsi a vicenda. Una volta una collega mi disse: «O fai la mamma o fai il chirurgo!», io le risposi, senza alcun dubbio: «la mamma chirurgo!». Bisogna vedere l’essere donna come un’arma in più, perché significa essere multitasking. A volte, poi, la nostra femminilità può addirittura aiutare: durante i miei anni modenesi mi sono occupata molto di chirurgia oncologica, in particolare facevo parte della Breast Unit. La patologia oncologica è devastante per una donna, soprattutto il tumore del seno. “Tirare via” un pezzo di seno ad una donna non è un semplice intervento chirurgico, ma è qualcosa di mutilante, che richiede tanta professionalità e sensibilità… e da donna a donna è bello sentirsi alleate!»
- Quale consiglio darebbe alle ragazze desiderose di intraprendere gli studi per diventare medico?
«Diverse ragazze mi chiedono se valga la pena diventare Medico, e soprattutto Chirurgo. Io rispondo sempre di sì, bisogna chiedersi solo se c’è la passione, nient’altro… Le difficoltà arriveranno inevitabilmente, sia nel percorso di studi che risulta abbastanza lungo, che durante gli anni di Specialità, un po’ lontani dalla realtà, forse troppo accademici e poco pratici. Proprio per questo motivo io ho frequentato gli ultimi anni di specializzazione in realtà ospedaliere e non presso la Clinica Universitaria, ero l’unica Specializzanda e proprio perché ero l’unica non potevano farmi compilare solo cartelle… ero più utile in corsia o in sala operatoria. Altro trucco: la curiosità. Chiedete tutto, toglietevi ogni dubbio, non abbiate paura di chiedere e di stupirvi. Naturalmente anche io, all’inizio della Specialità, ho chiesto ad una collega se valesse la pena o no diventare Chirurgo, mi rispose di “lasciar perdere”, per fortuna non l’ho ascoltata».
- Lei ha vissuto, studiato e lavorato per vent’anni in Emilia Romagna, come mai è tornata in Salento? Che realtà ha trovato?
«Casa dolce casa… si dice così, no?»
Quando a 19 anni sono partita per Modena per studiare Medicina non avevo nessuna idea di quello che avrei fatto dopo, dove avrei vissuto, dove avrei messo radici…poi è arrivata la Specializzazione e subito dopo sono stata assunta.È stato un percorso naturale, un susseguirsi di eventi che si concatenavano perfettamente, così mi sembrava fisiologico vivere e lavorare a Modena. Tornavo a casa per le vacanze e niente più. Mi sentivo realizzata, non mi mancava niente, se non il MARE! Un giorno, per caso, ho provato il concorso di mobilità per l’ ASL Lecce, senza nessuna aspettativa particolare. Il concorso è andato bene ed ho quindi deciso di accettare. All’inizio è stato difficile: in Emilia-Romagna c’è il sistema sanitario pubblico migliore d’Italia, ci sono dei percorsi prestabiliti, il paziente è al centro delle cure, è il vero protagonista. In Salento non mancano certamente le professionalità, ci sono sicuramente dei medici eccellenti, sia dal punto di vista professionale che umano, forse mancano un po’ i percorsi, ma ora si sta lavorando sempre di più in questo senso. Proprio per questo ora non mi pento di essere tornata a casa, perché bisogna portare qui le nostre conoscenze, metterle a disposizione del territorio ed aiutarci a migliorare…e poi qui c’è sempre il mare!»