Nel mondo dell’Oncoematologia Pediatrica il tempo è tutto. Ogni passaggio viene scandito dal tempo ed ogni tempo diventa passaggio, sia esso breve, lungo, prezioso, interminabile, accartocciato, in relazione ad ogni fase precisa della malattia. C’è un tempo del prima: quando si affacciano i primi sintomi e sono sintomi banali per i quali neanche ritieni sia opportuno consultare il pediatra; ma i sintomi poi diventano persistenti e iniziano le prime valutazioni, i primi esami e a questi seguono i primi consulti fino a quando non si approda nel regno nel quale mai si vorrebbe entrare: l’oncologia pediatrica. Inizia il tempo dell’attesa lungo, lento, carico di aspettativa, quello che speri non finisca mai oppure che finisca rapidamente con una certezza: non tocca a noi. Si spera che tutto sia un sogno dal quale ci si risveglierà, che la parola definitiva sia favorevole, che i medici dicano: va tutto bene, è solo un problema transitorio. Ma c’è poi il tempo della diagnosi, quel tempo interminabile durante il quale le parole arrivano come ovattate, incomprensibili, dure, ma anche incoraggianti, futuribili. In questo tempo sospeso resta una parola: ‘tumore’. La comunicazione della diagnosi rappresenta uno degli aspetti più importanti nel processo di cura ma è anche uno dei più difficili. Non si è mai sufficientemente preparati né a ricevere né a trasmettere una parola così difficile. Per chi ascolta una diagnosi il tempo viene spazzato via in un attimo; scompare il futuro, il passato diventa remoto, il presente incerto. Ma anche per chi comunica una diagnosi è un momento difficile: il tempo dell’operatore sanitario si ferma, rimane sospeso tra il dire ed il sentire, tra l’ascoltare ed il parlare. Non ricordi più quale era il modo migliore per definire quella particolare malattia: hai in mente solo gli occhi persi e disperati dei genitori che hai davanti e un bambino che continua a giocare ma si chiede cosa stia succedendo ai propri genitori e in che cosa ha sbagliato per aver causato tutto quello che sta succedendo. Il tempo della diagnosi è lungo e ripete il tempo del cha-cha: due passi avanti ed uno indietro. “Consapevolezza e speranza, diade indissolubile della malattia”: la comunicazione della malattia si articola in un tempo lungo o breve che sia, fino a raggiungere il tempo della cura. Il tempo della cura è anche il tempo che cura. Ed in questo tempo il ritmo è scandito dalle terapie, dalla durata delle flebo, dall’intervallo tra una flebo e l’altra, tra un controllo e l’altro. È il tempo degli esami radiologici e dell’attesa dei risultati, un tassello accanto all’altro, nel tentativo di completare il grande puzzle della guarigione. È il tempo della pazienza, dell’accettazione, della solitudine, del dolore ma è anche il tempo delle risposte, della ricerca di uno spiraglio di luce, della gioia di ricominciare a programmare. In questo tempo gli altri hanno un grande valore, tutti gli altri: i genitori, le sorelle ed i fratelli, gli amici, i compagni di scuola, i compagni di gioco. Prende corpo ed acquista valore la figura del volontario, cioè tutte quelle persone che silenziosamente o rumorosamente ruotano attorno ai bambini e ai ragazzi malati e alle loro famiglie, tutte quelle persone che dedicano il loro tempo a cercare di tessere nel regno dell’oncologia una rete fitta fatta di impegno, di interesse, di supporto, di servizio. Persone che fanno del tempo un dono. Il principio fondamentale che governa il regno di oncologia pediatrica è l’alleanza terapeutica e cioè la capacità, condivisa da tutti gli operatori di un reparto pediatrico sanitari e non, di aiutare e supportare il bambino e la sua famiglia con l’obiettivo di attivare tutte quelle “energie positive” che ognuno di noi ha dentro di sé in maniera “sopita”, invisibile, e di convogliarle verso l’obiettivo principale e comune, cioè la guarigione, laddove raggiungibile, e comunque, in tutti i casi, una buona qualità di vita. Questo obiettivo viene raggiunto se operatori sanitari (medici, infermieri, psicologi e assistenti sociali) e operatori non sanitari (insegnanti, clown, volontari, genitori e ragazzi guariti) uniscono le forze e le competenze e le convogliano sul progetto di cura. Il tempo della cura è il tempo che cura. E infine arriva il tempo del dopo: un bambino o un adolescente guarito continua ad avere bisogno di essere seguito anche dopo. Una malattia non termina con la sospensione del trattamento farmacologico: le emozioni e i vissuti ad essa collegati rimangono e bisogna occuparsi della loro elaborazione psichica, perché chi è stato malato possa affrontare il futuro senza il bagaglio di angosce accumulate nel percorso di cura. E poi anche il corpo, soprattutto un corpo che cresce e si sviluppa, ha bisogno di essere seguito nel tempo del dopo. E se il tempo del dopo non c’è, resta il tempo della fine o la fine del tempo.
In questo susseguirsi del tempo in tutte le sue declinazioni c’è il tempo del medico che, come dice Jung, è chiamato in causa con tutto il suo essere, che deve conoscere e riconoscere. E il tempo del medico intercetta il tempo del prima, il tempo della diagnosi, il tempo della cura, il tempo del dopo, il tempo della fine. E ogni aspetto del tempo diventa il suo tempo, il dono del tempo, la corsa contro il tempo, prendersi il tempo che serve. Ma c’è un tempo ancora più importante? Sì, è il tempo del conoscere, il tempo della ricerca. Il tempo che ogni operatore dedica allo studio, alla ricerca, alla discussione, al confronto, per mettere il proprio tempo al servizio della tutela del tempo del paziente. Il tempo che resta è quello più importante, quello che può consentire di raggiungere una nuova vittoria: aggiungere tempo e magari riuscire ad utilizzarlo per aggiungerne ancora altro, ma sicuramente e soprattutto per imparare a darne il giusto valore.
Letture consigliate
Lingiardi V. “Diagnosi e destino”, Einaudi editore, 2018.
Natalicchio P. “Il regno di OP”, Einaudi Editore, 2012.
Jankovic M. “Ne vale sempre la pena. Il dottor sorriso, i suoi pazienti e il vero valore della vita”,
Ed.Baldini-Castoldi, 2018.
Schmitt E. “Oscar e la dama rosa”, Ed. e/o, 2015.
Assunta Tornesello, (U.O.C. Oncoematologia Pediatrica)