Damiano Donato Merico
Medico Psichiatra, Specialista in Psicologia Clinica, Psicoterapia analitica, già Direttore del Centro di Salute Mentale di Maglie (ASL LE).
Quali sono le sue considerazioni in merito a ciò che questa pandemia ci lascerà, a livello comportamentale e relazionale?
Da sempre le pandemie hanno creato nei popoli allarmismi e paure reattive tradotti nell’angoscia di morte. Da qui la spasmodica ricerca di rimedi sanitari salvifici. Quanto più è estesa la morbilità a livello planetario tanto più l’angoscia si traduce nel taedium vitae che influenza ciascuno di noi in maniera differente. Da tutto ciò emerge una “nuova” modalità comportamentale e relazionale che inficia il rapporto tra individui minando l’interazione dell’arte dell’incontro, cuore energetico dei popoli. Da ciò si evince la drammatica condizione della difficoltà che ne scaturisce di avvicinare l’altro, con l’imperativo di evitare qualsivoglia contatto personale, sia somatico sia verbale che affettivo. Si snatura così la convivenza umana che da sempre si esprime nel contatto tra simili esaltandone la simpatia. Quando il contatto viene proibito per tanto tempo ci si abitua alla lontananza fisica e affettiva, facendo maturare addirittura il sospetto e proiettando sull’altro la minaccia del contagio. Il “virus”, oltre a trovarsi all’esterno nell’aria e sugli oggetti, prospera soprattutto al nostro interno, creando sempre più allarmismi, spesso ingiustificati, lasciandoci in eredità distanze infinite di incomunicabilità sempre più stratificata e confidando nelle promesse salvifiche altrui, estranee al nostro benessere.
Quali sono le sue proposte per la gestione immediata di questa difficoltà?
Le proposte che timidamente sento di consigliare per affrontare la difficoltà dell’incomunicabilità e della gestione della pandemia sono soprattutto due: riprendere in mano la propria vita confidando nel proprio Sé per avvicinare l’altro e costruire ponti di amicizia che conducano a progetti corali condivisi di benessere psicosomatico; affidarsi a cure salutari per il proprio corpo e la propria mente: esercizi corporei quali le arti marziali, yoga, meditazione, ecc., assumere prodotti naturali immunostimolanti e preventivi, osservare tutte le pratiche igienistiche per scongiurare il diffondersi di agenti virali, rispettarsi nella condotta della propria esistenza. Infine è opportuno affidarsi ai consigli terapeutici del proprio medico di fiducia circa le terapie più appropriate ed innovative.
Quali saranno i primi passi da affrontare?
I primi passaggi da fare sono indirizzati alla cura della propria persona che è fine a se stessa e a nessun altro e di conseguenza alla cura dell’altro. In tal modo si crea un’alchimia di energia che fa prosperare fiducia ed entusiasmo reciproco. E poi affidarsi agli sforzi sanitari degli esperti e fidarsi delle cure che vengono proposte.
Quale a suo avviso potrebbe essere la tempistica di ripresa per tornare alla normalità?
Non vi sono tempi certi per riabbracciare la vita normale e naturale che conoscevamo. Confidando nella natura delle cose ci sarà un tempo che dipanerà la fitta nebbia esistente lasciando intravedere “la luce in fondo al tunnel”. Trascorso un anno abbondante di tragedia pandemica sento che i tempi siano maturi per una lenta ripresa della vita naturale.
E quanto ritiene ci vorrà per sentirci “nella normalità”?
La normalità è un concetto prestabilito che spesso lascia delusi. Dopo aver vissuto un anno di dolore pandemico che non è soltanto costituito dalla paura del virus e della morte ma soprattutto è pregnato da insicurezze sociali e incertezze per il futuro, è molto difficile pronosticare un ritorno alla “normalità”. Esperire un anno di sacrifici pandemici ha prodotto lacerazioni personali e sociali profonde che richiederanno tempo e cure per risanarsi. E dipenderà dalla responsabilità di ognuno confidare in tempi brevi o lunghi.
Ci saranno comportamenti, abitudini o timori che ci porteremo oltre la pandemia?
La pandemia ha esacerbato vizi e virtù in ognuno di noi. Gli obblighi di legge che sono stati imposti hanno fortificato tendenze all’isolamento che alcuni hanno sfruttato per coltivare interessi personali che la vita precedente aveva mortificato, mentre altri hanno reiterato atteggiamenti lamentosi e vittimistici, accentuando comportamenti già preesistenti. Ad ognuno il suo. Sicuramente ci porteremo la convinzione della nostra precaria esistenza che finalmente abbatterà il delirio di onnipotenza che sovrastava sulle nostre teste prima della pandemia, forte delle conquiste della scienza e che dovrà fare i conti, d’ora in poi, con l’umiltà di sentirsi meravigliosamente piccoli ma artisti della propria vita.
A cura di Gioia Catamo