di Leda Cesari
In Puglia è di casa, perché – oltre ad avere molti amici indigeni – ne ama il mare, le coste, i paesini di pietra bianca e rovente. E viene spesso e volentieri invitata dalle scuole di Puglia per parlare ai ragazzi, non solo dei suoi libri. Che fanno di lei una delle donne più lette d’Italia: perché Dacia Maraini è probabilmente la più grande scrittrice italiana vivente, e certamente la più tradotta al mondo. Ma non per questo, dall’alto dei suoi splendidi 86 anni – e non è un modo di dire – non mantiene una vena comunicativa fresca e alla mano che la rende particolarmente capace di dialogare con i più giovani. E di parlare di donne, protagoniste sempre vivide dei suoi libri, da Marianna Ucrìa a Chiara d’Assisi.
Le sue opere sono quasi sempre storie di universi femminili. Qual è il loro comune denominatore? C’è una caratteristica che accomuna tutte le donne dei suoi racconti?
«È la storia che unisce le donne, le rende simili e con simile destino. Il fatto di essere state escluse dall’apprendimento, dalla creatività, dalla rappresentanza ha forgiato dei caratteri che qualcuno considera di origine biologica, ma sono solo il risultato di una formazione culturale. La divisione dei compiti e la introiezione dei ruoli non ha niente a che vedere con la natura».
Lei ha vissuto gli anni più caldi del femminismo, che hanno portato a non poche conquiste sociali, soprattutto per le donne, dalla liberazione sessuale all’aborto al divorzio. E oggi? Siamo ancora in cammino verso la parità reale dei generi o siamo tornati indietro? Le donne oggi sono più o meno libere degli anni Sessanta?
«Sono più libere perché godono delle conquiste fatte dal femminismo, ma sono – anzi, siamo – meno libere come sistema di valori. La recente libertà e autonomia femminile ha preoccupato e messo in allarme quegli uomini che si aggrappano testardamente ai loro privilegi storici. Da lì prendono corpo le violenze, che sembrano fine a se stesse, ma hanno un preciso fine, anche se non sempre consapevole: sono finalizzate al controllo e al dominio sulle donne che stanno mostrando troppa voglia di autonomia».
La mancata parità, secondo lei, è dovuta alla tradizionale misoginia della cultura italiana – che sembra nuovamente dilagante, per una serie di motivi – o le donne hanno anche qualche responsabilità per questo stato di cose?
«Non riprendiamo a colpevolizzare le donne. È stato fatto per troppi secoli, anzi millenni. È chiaro che, per sopravvivere, molte donne hanno fatto proprie, anche obtorto collo, molti valori del mondo patriarcale, ma per l’appunto sono quasi sempre forzate».
È appena finito Sanremo, e delle cinque conduttrici al fianco di Amadeus la più apprezzata è stata Drusilla Foer, ovvero un uomo che interpreta una donna. Vorrà dire qualcosa?
«Io non ho seguito il festival. Ho visto Drusilla solo nei commenti alle serate. Mi è sembrata una donna intelligente, serena, forte. Non mi scandalizzerei che sia in realtà un uomo. Lei si dichiara donna e si presenta come tale. Segno che si sente donna e chiede di essere rispettata come tale. Mi fa piacere che non si sia proposta come una donna convenzionale, tutta ammicchi e seduzione, ma come una persona seria, responsabile, fuori dai codici della divisione dei ruoli tradizionali».
È indispensabile per una donna diventare madre, per essere completa, o la maternità è un modo di essere che prescinde dall’avere figli?
«Non è certo indispensabile, soprattutto adesso che il mondo sta scoppiando perché troppo popolato. Siamo quasi nove miliardi e la Terra non ce la fa a dare da mangiare e da bere a tutti. Lo spirito materno è un’altra cosa e secondo me ce l’hanno anche molti uomini, anche se lo nascondono perché non fa parte dei sentimenti considerati maschili. È una generosità di cura e di affetto che secondo me appartiene all’essere umano, donna o uomo che sia».
In una prossima vita, potendo scegliere, rinascerebbe donna?
«Certo. Purché nascessi in Europa, non certo nei paesi di totalitarismo religioso».
Femminicidi. Perché secondo lei questa piaga dilagante? Cosa c’è che gli uomini non riescono ad accettare di una donna che li lascia, e quanto questo senso del possesso – o di superiorità di genere – è frutto dell’educazione impartita da altre donne, le madri?
«Il senso di possesso, che alcuni uomini identificano con la loro virilità, non viene dalle madri ma dalla cultura dei padri. Le madri nella storia hanno sempre dovuto insegnare ai figli e alle figlie le regole dei padri. Non avevano scelta. Se volevano sopravvivere dovevano trasformarsi in poliziotte del regime paterno. Alcuni uomini pensano ancora oggi che, per privilegio di nascita, hanno il diritto di possesso e di controllo sulle donne che amano o credono di amare. Quando questa donna si rivela autonoma, e chiede libertà, entrano in una tale crisi devastante da trasformarsi in assassini, a volte perfino dei propri figli. Una orribile aberrazione, ma che è un prodotto storico e culturale, niente a che vedere con la natura e con la differenza di genere».
Freud diceva che noi donne cresciamo con l’angoscia di non possedere il pene. È vero, secondo lei, o invece sono gli uomini a invidiare la nostra possibilità di diventare madri?
«Freud si riferiva a un tempo in cui le donne non avevano diritti. Potevano fare solo le mogli e le madri chiuse in casa. È normale che spesso sognassero di avere un pene che avrebbe loro permesso di uscire di casa, di viaggiare, di esprimere i propri talenti. Ma era un sentimento indotto. Oggi per fortuna le donne sono più libere (nei Paesi occidentali) e non viene in mente a nessuno di desiderare di avere un pene».
Condivide il detto che a volte le donne sono le peggiori nemiche di se stesse?
«Anche questo è un prodotto storico. Per tenerle soggiogate, il patriarcato ha sempre puntato sulla divisione delle donne. Era considerato pericoloso che si unissero, che solidarizzassero. Perciò diffondeva storie di rivalità atroci (vedi Biancaneve, vedi Cenerentola, insomma Eva contro Eva). Le raccontava nemiche, in rapporti di competizione e di odio. Ma per soggiogarle meglio, non certo perché le donne veramente si odiassero. Ma erano spinte culturalmente a farlo».
Cosa vorrebbe vedere realizzato, tra cent’anni, per le donne?
«Parità. Non superiorità. Se le donne prendessero il potere come hanno fatto gli uomini col patriarcato, diventerebbero insopportabili. Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe assolutamente, come diceva qualcuno».
Come vede il futuro del mondo? È vero, come teorizzano oggi anche molti scrittori maschi, che saranno le donne a salvare il mondo?
«Oggi, storicamente, proprio per la loro lunga condizione di schiavitù e di servilismo, secondo me le donne sono migliori, più umili, più modeste, più coraggiose e vogliose di creare e partecipare. Sono (sempre per essere state escluse dai giochi di potere) meno corrotte, meno prepotenti, meno legate a una logica di potere, meno affascinate dalla violenza fisica. Per questo starebbero bene nei posti di decisionali. Ma senza sostituire il sistema patriarcale con un sistema matriarcale, che non farebbe bene né alle donne né agli uomini».
Quali sono le caratteristiche delle donne del Sud secondo lei che ne ha raccontate tante? Ci sono peculiarità delle donne pugliesi?
«La mia, come avrà capito, è una visione storica. Le donne del Sud per me non hanno caratteri diversi. Ma hanno subito una storia diversa, di colonialismo, di repressione, di segregazione e naturalmente fanno più fatica a uscire da certi condizionamenti».
Il suo rapporto con la Puglia.
«Ho molti amici pugliesi. Tanti purtroppo lasciano la regione, che promette poco lavoro e poca riconoscenza ai suoi figli migliori. Ci vengo invitata dalle scuole e trovo sempre più vitalità, più coraggio e sapienza di quanto si pensi».
Quali sono i luoghi pugliesi che più l’hanno colpita e che sono rimasti nel suo cuore, e quale è stata la sua esperienza più forte in Puglia.
«Il suo mare prima di tutto, i suoi scogli, i suoi olivi, le sue piccole città di pietra, i suoi palazzi antichi. Forse il reperto storico che più mi ha impressionato è Castel del Monte, il castello di Federico II, una costruzione che sembra uscita da una fiaba e ti rovescia addosso una grande Puglia antica fatta di sapienza e di saggezza contadina».