da “Puglia tutto l’anno” aprile 2020
Non è ininfluente il luogo dove si viene al mondo. Si conosca o si ignori del tutto la storia della terra che calpestiamo, tutti ci portiamo dentro la memoria del tempo passato e degli uomini che l’hanno attraversato. Deve pure significare qualcosa essere stati messi alla luce in questo ponte che si allunga nel mare Adriatico e guarda da una parte a Est e dall’altra sempre più a Sud. La stessa morfologia, un ponte lungo 400 chilometri, ti dà subito la sensazione del passaggio, della condivisione; lo sguardo che si allunga e spazia da un mare all’altro ti suggerisce l’attesa, qualcuno che prima o poi verrà a trovarti. Così, infatti, è sempre avvenuto.
Non sempre, in verità, si è trattato di visite pacifiche e di cortesia. La Puglia, crocevia di popoli, ha visto il suo suolo calpestato da popolazioni preromane e preelleniche (Dauni, Peucezi e Messapi); poi è stata la volta dei Greci che hanno lasciato numerose tracce non solo nelle forme d’arte, di cui è testimone il patrimonio archeologico della Magna Grecia, ma anche nella letteratura, nella filosofia, nella lingua. Ancora oggi nel Salento c’è una piccola isola linguistica (la Grecìa salentina) in cui il grico, conosciuto e parlato dagli anziani, costituisce un patrimonio letterario e musicale che viene custodito e tramandato. Dopo i Greci furono i Romani a fare della Puglia un teatro di guerra contro i Cartaginesi e Annibale. La pianura di Canne della Battaglia racconta ancora oggi con l’aiuto di Polibio e Tito Livio lo scontro che non fu solo tra due eserciti, ma tra due civiltà.
Dopo i Romani vennero i Goti, i Bizantini, i Longobardi, i Saraceni, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Spagnoli, gli Austriaci. E ognuno di questi popoli ha lasciato un segno: nel nord della Puglia resistono eredità linguistiche franco-provenzali a Faeto e Celle San Vito collegabili a una colonia di provenzali, il cui arrivo in Puglia fu voluto da Carlo II d’Angiò per conquistare Lucera, dove Federico II precedentemente aveva insediato una comunità di Saraceni, deportati dalla Sicilia, costituendo una vera e propria isola islamica.
Le sopravvivenze albanofone a Chieuti ci riportano alla fuga degli albanesi dopo l’invasione della loro terra da parte dei Turchi nel 1466. A questo proposito Paolo II (1464-1471) scriveva in una lettera di provare dispiacere “per quelle navi che dai porti dell’Albania riparano ai porti d’Italia, quelle famiglie nude e miserabili che, cacciate dalle loro case, seggono sulla spiaggia del mare, protendono le mani al cielo, riempiono l’aria di gemiti”. E guardando la storia del passato ancora non è tutto: tracce degli Armeni a Bari e degli Ebrei dappertutto anche nei piccoli paesi dove ancora quartieri conservano il nome di “Giudecca”. A metà del secolo scorso i flussi migratori verso la Puglia partono soprattutto dall’Africa, il sud più a sud cerca ospitalità nel suo nord. Vu’ comprà li chiamavano sulle spiagge e nei paesi, occupati a vendere mercanzie più varie. Hanno trovato accoglienza soprattutto nei centri storici, hanno messo nuove radici, hanno creato nuove famiglie. Negli ultimi 50 anni la caduta di alcuni muri ha favorito la mobilità dai paesi dell’Est, le lingue e le culture si sono confuse, è stato necessario uno sforzo maggiore delle realtà ospitanti. C’è anche da dire che non sempre i processi migratori sono stati gestiti bene e in maniera coerente. Ma la Puglia è rimasta fedele alla sua natura di terra aperta all’accoglienza, all’ospitalità. Basta riportare alla memoria quello che fu l’esodo albanese negli anni Novanta, quello che più di un esodo, dal punto di vista numerico, sembrava un’invasione. Ma anche allora la Puglia per la maggior parte dei casi ha funzionato da ponte, di passaggio, cioè, verso altre realtà. Ha dato il suo contributo ospitale, alcuni sono rimasti, ad altri ha dato le ali per volare.
E allora l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione appartengono al Dna della Puglia, vengono da lontano e sono state messe alla prova numerose volte. Se il turismo pugliese ha un volto “più umano” è merito sì di quanti hanno contribuito alla sua promozione, ci hanno messo impegno, dedizione, creatività, fantasia, generosità. Però l’essere nati su questo lungo ponte lanciato verso sud est, l’aver disteso lo sguardo su due mari, l’aver respirato culture diverse e l’esserne stati contaminati, non è stato davvero ininfluente.
di Maria Rosaria De Lumé